Residenza
e domicilio professionale
requisiti
alternativi per l’iscrizione all’albo
§
§ §
Documenti
utili:
1.- La legge
526/99.
2.- Il parere
del Ministero della Giustizia del 14.3.2000.
3.- Il parere
del Consiglio Nazionale Forense del 27.10.2000.
1.- La legge
526/99.
La
legge 21 dicembre 1999 n. 526, recante "Obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunita’ europee", ha
previsto, all’art. 16 ("Norme in materia di domicilio
professionale") che "per i cittadini degli Stati membri
dell’Unione europea, ai fini dell’iscrizione o del mantenimento
dell’iscrizione in albi, elenchi o registri, il domicilio
professionale è equiparato alla residenza".
2.- Il parere
del Ministero della Giustizia del 14.3.2000.
Riportiamo
di seguito la Circolare della Direzione Generale degli affari civili
e delle libere professioni, Ufficio VII, del 14 marzo 2000
(pubblicata nel sito del Ministero
della Giustizia) in merito alla
legge 526/99:
"A
tutti i Consigli Nazionali sottoposti alla vigilanza del Ministero
della Giustizia
Oggetto:
Interpretazione
dell’art. 16 della legge 21 dicembre 1999 n. 526 – requisiti per
l’iscrizione negli albi professionali – residenza – domicilio
professionale.
Poiché
sono giunti a questo Ufficio richieste in merito all’interpretazione
da dare all’art. 16 della legge 21 dicembre 1999 n. 526 – ferma
restando l’autonomia dei Consigli Nazionali in indirizzo
nell’interpretazione delle norme di legge -, si ritiene opportuno
osservare quanto segue.
Preliminarmente
si deve rilevare che l’art. 16 della L. n. 526/99, pur facendo parte
della ‘legge comunitaria’ – che recependo alcune direttive
comunitarie, fissa alcuni principi generali e attribuisce al Governo
la delega ad emanare i successivi decreti legislativi – non trova
riferimenti in direttive specifiche e, quindi, per la sua attuazione
non è necessario attendere l’emanazione di un apposito decreto
legislativo.
L’immediata
precettività della norma pone problemi a livello
interpretativo, poiché, disponendo che "per i cittadini
degli Stati membri dell’Unione Europea, ai fini dell’iscrizione in
albi, elenchi o registri, il domicilio professionale è
equiparato alla residenza", sembra non prevedere differenze tra
cittadini italiani e cittadini stranieri appartenenti a Stati facenti
parte dell’Unione Europea.
A
parere di questo Ufficio, la ratio della norma è senz’altro
quella di svincolare la facoltà di iscrizione all’albo dalla
residenza dell’interessato.
Il
tenore letterale del citato art. 16 non consente di differenziare la
posizione del cittadino italiano rispetto a quella dei cittadini di
altri Stati membri dell’Unione Europea.
Peraltro,
mantenere il requisito della residenza per i cittadini italiani non
sembra giustificato neanche sotto il profilo del potere di vigilanza
attribuito al Consiglio dell’Ordine o del Collegio.
Vi
è chi sostiene che l’Organo professionale potrebbe svolgere
meglio il suo potere di vigilanza se l’iscritto fosse residente
nell’ambito territoriale ove ha sede l’Ordine o il Collegio.
Ma
tale argomentazione non appare fondata, poiché l’iscritto può
svolgere la sua attività ovunque (nel territorio nazionale) e,
quindi, i compiti di vigilanza possono essere meglio svolti dal
Consiglio che ha sede nel luogo ove l’iscritto ha la sede
professionale anziché nel luogo ove l’iscritto è
residente ma che non costituisce la sede principale dei suoi affari.
E’
nello studio professionale, infatti, che il professionista svolge la
sua attività e ciò rileva sotto l’aspetto della
vigilanza.
Quindi,
è il Consiglio dell’Ordine o del Collegio che ha sede in tale
ambito territoriale che può meglio svolgere i suoi compiti
istituzionali.
Peraltro,
escludendo che l’art. 16 possa applicarsi anche agli italiani si
creerebbero ingiustificate disparità di trattamento, in quanto
allo straniero che, ad esempio, stabilisse il suo domicilio
professionale a Parma sarebbe consentito di risiedere a Parigi,
mentre il professionista italiano che svolgesse la sua attività
a Parma dovrebbe obbligatoriamente risiedere nella stessa città.
Alla
luce delle argomentazioni che precedono questo Ufficio ritiene che il
citato art. 16 della l. n. 526/99 debba essere applicato sia ai
cittadini italiani che ai cittadini stranieri appartenenti a Stati
membri dell’Unione Europea.
Tanto
si rappresenta per opportuna conoscenza e per le valutazioni di
competenza.
Il
Direttore dell’Ufficio (Stefano Racheli)"
3.- Il parere
del Consiglio Nazionale Forense del 27.10.2000.
Il
Consiglio Nazionale Forense, con parere del 27 ottobre 2000)
(pubblicato in "Attualità Forense", n. 1/2001) si è
adeguato al superiore orientamento, così ritenendo:
"Rilevato
che l’art. 16 legge 21 dicembre 1999, n. 526 dispone che "Per i
cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, ai fini
dell’iscrizione o del mantenimento dell’iscrizione in albi, elenchi o
registri, il domicilio professionale è equiparato alla
residenza";
rilevato
che l’ordinamento della professione di avvocato (r.d.l. 27 novembre
1933, n. 1538) impone la residenza come requisito soggettivo
necessario ai fini dell’iscrizione all’albo, e, più in
generale, costruisce intorno al requisito della residenza,
anagraficamente verificabile, il rapporto giuridico tra l’iscritto e
il Consiglio dell’ordine d’appartenenza, anche con riferimento ai
doveri di vigilanza e di controllo disciplinare, in funzione della
protezione degli interessi pubblici la cui cura è devoluta
all’ordine degli avvocati;
rilevato
che l’equiparazione in parola provoca difficoltà pratiche di
rilievo in capo alle amministrazioni competenti ad applicarla, è
cioè in capo ai Consigli dell’ordine degli avvocati;
ritenuto
utile, al fine di superare le succitate difficoltà
applicative, elaborare criteri che consentano di conciliare
l’innovazione normativa con l’assetto vigente della disciplina della
professione di avvocato;
approva
la seguente circolare interpretativa proponendo ai consiglio
dell’ordine degli avvocati di adottarla come atto interno di
regolamentazione delle proprie funzioni amministrative
La
residenza e il domicilio professionale sono requisiti soggettivi
alternativi per l’iscrizione all’albo degli avvocati, come disposto
dalla legge 21 dicembre 1999 n. 526 (art. 16).
L’avvocato
che intenda chiedere l’iscrizione all’albo secondo il proprio
domicilio professionale deve presentare al Consiglio dell’ordine
competente per territorio la documentazione atta a comprovare
l’esistenza di tale domicilio professionale, insieme con la
documentazione relativa alla propria residenza.
Il
domicilio professionale è la sede dove il professionista
esercita in maniera stabile e continuativa la propria attività.
Qualora
il professionista si avvalga, per l’esercizio della sua attività,
di una pluralità di sedi, il domicilio professionale va
intesto nel senso di centro principale di attività, tenuto
conto della durata, della frequenza, della periodicità e della
continuità delle prestazioni professionali erogate, nonchè
del numero di clienti e del giro di affari realizzato, secondo le
indicazioni della Corte di giustizia europea.
Il
Consiglio dell’ordine che delibera l’iscrizione sulla base del
domicilio ne dà informazione al Consiglio dell’ordine della
circoscrizione territoriale in cui l’iscritto risiede.
(Il
Consiglio nazionale forense)