L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’adunanza del 14 febbraio 2002, ha condannato la Federazione Nazionale degli Ordini dei Farmacisti, la Federazione Nazionale Unitaria dei Titolari di Farmacia Italiani – Federfarma, vari Ordini e associazioni territoriali, per avere posto in essere tre tipologie di intese, aventi rispettivamente ad oggetto:
a) limitazioni all’attività pubblicitaria,
b) limitazioni alla consegna dei farmaci a domicilio,
c) coordinamento dei comportamenti di prezzo dei farmacisti.
La pronunzia si segnala in quanto ribadisce che "la pubblicità, proprio in quanto favorisce i raffronti tra operatori economici, costituisce un elemento idoneo a stimolare il confronto concorrenziale tra gli operatori medesimi … Più in generale, la consapevolezza di non poter promuovere confronti da parte dei consumatori non può che ridurre la spinta all’adozione di politiche commerciali differenziate, nonché gli incentivi a migliorare il servizio offerto".
A ciò si aggiunge che "… data la peculiare regolamentazione del settore farmaceutico -caratterizzato da prezzi imposti per i farmaci, pianta organica, limiti agli orari e turni delle farmacie, ecc.- i prezzi dei parafarmaci e la pubblicità della farmacia costituiscono le principali leve concorrenziali che residuano ai farmacisti. In tale contesto, realizzare una intesa sui prezzi ovvero sulla pubblicità (o, addirittura, entrambe) si presta a pregiudicare ogni effettivo confronto concorrenziale tra gli operatori del settore.
Riportiamo di seguito le valutazioni conclusive dell’Antitrust.
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(…)
IV. VALUTAZIONI
i) Qualificazione della fattispecie
180. I titolari di farmacia, in quanto svolgono un’attività economica, consistente nella commercializzazione di medicinali e prodotti parafarmaceutici, costituiscono imprese ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 287/90.
La FOFI e gli Ordini dei farmacisti di …, nonché Federfarma, Federfarma Emilia Romagna, Federfarma Lombardia, Confservizi Cispel Emilia Romagna e le Associazioni provinciali dei titolari di farmacia di …, in quanto enti rappresentativi di imprese che operano sul mercato, costituiscono associazioni di imprese, ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 287/902233 (si veda, sul punto, la sentenza del TAR del Lazio, n. 466 del 28 gennaio 2000; sentenza dello stesso Tribunale del 21 giugno 2001, n. 5486/01. Provvedimenti dell’Autorità INAZ Paghe, n. 7983 del 3 febbraio 2000 e Fasdac/Ordine dei Medici n. 8720 del 27 settembre 2000. Sentenza della Corte di Giustizia CE, C-180/98 e C-184/98, Pavlov Sticting Pensionfonds Medische Specialisten, del 12 settembre 2000, nonché sentenza del Tribunale di Primo Grado, CNSD/Commissione, del 30 marzo 2000).
181. Ai fini della qualifica di associazioni di imprese, non rileva la natura di associazioni di secondo grado di alcune di esse.
In proposito il Tar del Lazio ha recentemente ribadito che "sono ininfluenti le peculiarità dell’organizzazione ed in particolare che questa si esprima a livello centrale in una struttura di secondo grado (federazione di ordini provinciali)" (cfr. sentenza del 21 giugno 2001, n. 5486/01 Fasdac/Ordine dei medici).
Con particolare riferimento alla FOFI e agli Ordini provinciali, poi, non rileva il fatto che alcuni iscritti all’albo dei farmacisti siano lavoratori dipendenti e, quindi, non qualificabili come imprese.
Una tale circostanza, infatti, non osta a che tali enti siano in grado di influenzare il comportamento economico degli iscritti titolari di farmacia.
182. Del pari, non può essere accolta l’argomentazione secondo cui le valutazioni circa la restrittività delle intese non sarebbero riferibili a Confservizi Cispel Emilia Romagna in quanto ente rappresentativo delle farmacie comunali.
Le farmacie pubbliche, infatti, hanno interessi economici diretti e concorrenti con quelli delle farmacie private.
Ai fini dell’applicabilità delle regole del diritto della concorrenza, come noto, non è rilevante la natura giuridica, pubblica o privata, del soggetto autore del comportamento anticoncorrenziale, bensì il suo svolgere un’attività economica Non rileva, poi, la circostanza secondo la quale a Confservizi Cispel Emilia Romagna aderiscono anche imprese che operano in settori diversi dall’esercizio farmaceutico (cfr. articolo 2093 c.c.; cfr. anche la citata sentenza del Tar Lazio n. 466/2000).
183. Le iniziative adottate dagli enti esponenziali dei farmacisti concernenti limitazioni all’attività pubblicitaria dei farmacisti … in quanto espressioni della volontà collettiva di tali enti esponenziali dei farmacisti, rappresentano decisioni di associazioni di imprese, qualificabili -per ciascun ente nel proprio ambito territoriale di competenza- come una intesa ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 287/90.
184. L’imposizione di limiti all’attività di consegna dei farmaci a domicilio … rappresenta una decisione di associazione di imprese qualificabile come intesa ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 287/90.
185. Le indicazioni in materia di prezzi dei prodotti parafarmaceutici per il tramite della predisposizione e/o diffusione di listini prezzo, dell’invito a rispettare i prezzi dei produttori, ovvero del divieto di adottare forme individuali di sconto anche per il tramite di carte fedeltà, in quanto espressioni della volontà collettiva dei sottoindicati enti esponenziali dei farmacisti, rappresentano decisioni di associazioni di imprese, qualificabili per ciascun ente nel proprio ambito territoriale di competenza-come una intesa ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 287/90.
186. Si osserva, poi, che la nozione di decisione di associazione di imprese, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza nazionale e comunitaria, include ogni atto anche non formale attraverso cui si sia espressa la volontà collettiva di una pluralità di imprese (cfr. ad esempio sentenza n. 605/96 del TAR Lazio del 12 aprile 1996, caso ANIA).
187. Ai fini dell’applicabilità del diritto della concorrenza, vale sottolineare che non possono essere condivise le affermazioni dei rappresentanti della FOFI e dell’Ordine di Torino circa l’attività dei farmacisti che, sostanziandosi nella erogazione di un servizio pubblico -la distribuzione di farmaci -, sarebbe inquadrabile nelle previsioni di cui all’articolo 8, della legge n. 287/90.
A tale riguardo, occorre rilevare che -a prescindere da qualsiasi valutazione in relazione all’applicabilità dell’articolo 8 all’attività di distribuzione di farmaci -, l’applicabilità del medesimo articolo non ricorre certamente in relazione all’attività di vendita dei prodotti parafarmaceutici da parte delle farmacie, la quale non costituisce servizio di interesse economico generale (cfr. di nuovo sentenza del Tar Lazio n. 466/2000).
In secondo luogo, anche laddove si volesse accogliere l’impostazione secondo cui le limitazioni oggetto di valutazione poste alla attività della farmacia -sia nella vendita di farmaci che di parafarmaci- fungerebbero da compensazione finanziaria all’onere di espletamento del servizio pubblico di vendita dei farmaci, tali limitazioni non appaiono in alcun modo necessarie e proporzionali rispetto a tal fine.
Dette limitazioni, infatti, appaiono ultronee rispetto alla regolamentazione del settore prevista dal legislatore che, nel porre una serie di vincoli all’accesso e all’esercizio delle farmacie, di fatto già si traduce in forme di salvaguardia dell’equilibrio finanziario delle stesse.
Quanto alle obiezioni relative al soggetto su cui ricade l’onere di provare l’applicabilità o meno dell’articolo 8, si osserva che la stessa giurisprudenza comunitaria richiamata dalle parti afferma, inequivocabilmente, che spetta al soggetto che invoca la necessarietà delle restrizioni a fini dell’adempimento della missione di interesse economico generale, "dimostrare che ricorrono i presupposti per l’applicazione della norma" (cfr. sentenza della Corte CE del 23 ottobre 1997, C-157/94).
Nel caso di specie, nulla dalle parti è stato documentato in merito alla indispensabilità delle restrizioni poste in essere per realizzare del detto equilibrio finanziario delle farmacie.
Le parti, inoltre, richiamano quanto specificato dalla Corte di Giustizia, secondo la quale l’onere della prova richiesto alla parte che invoca l’eccezione non può estendersi al punto di chiedere a tale soggetto di "dimostrare, in positivo, che nessun altro provvedimento immaginabile, per definizione ipotetico, potrebbe garantire l’assolvimento di tali funzioni alle stesse condizioni". Tuttavia, tale richiamo risulta inconferente nel caso di specie, laddove non è stata innanzitutto fornita dalle parti prova dell’indispensabilità della restrizione.
188. Con riferimento, infine, alla asserita non imputabilità agli Ordini provinciali di comportamenti attuati coerentemente con le disposizioni del Codice deontologico e dell’annesso Regolamento, vale quanto segue.
In primo luogo, i comportamenti degli Ordini, in quanto volti alla diffusione e alla applicazione delle suddette disposizioni sono da considerarsi distinti da quelli della FOFI (le parti richiamano sul punto la sentenza del Tribunale di Primo Grado del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e al. contro Commissione CE).
Al riguardo, va rilevato che la medesima sentenza sancisce che la diffusione e la sollecitazione a rispettare i contenuti di un accordo configura un comportamento distinto dalla predisposizione dell’accordo medesimo (cfr. par. 1326 della sentenza). Tali considerazioni si estendono anche alle attività di Federfarma e delle Associazioni dei titolari di farmacia riconducibili al Codice deontologico.
In secondo luogo, la documentazione agli atti evidenzia che, di fatto, alcuni ordini, nelle materie in esame, hanno assunto comportamenti autonomi, discostandosi dalle indicazioni della FOFI nei casi in cui hanno ritenuto opportuno assumere determinazioni diverse. La autonomia degli interventi degli Ordini emerge, in particolare, dal fatto che in alcune regioni non sono state assunte posizioni contrarie all’adozione di carte fedeltà (cfr. audizione SELEA), che gli stessi Ordini, in alcuni casi, hanno affermato di non avere effettuato richiami nei confronti dei farmacisti che si fossero dotati di carte fedeltà.
L’autonomia degli Ordini è, peraltro, evidenziata dal comportamento dell’Ordine di Torino, ed in particolare dal minor grado di restrittività delle direttive da questo emanate, in relazione alla pubblicità su Internet, rispetto alle disposizioni emanate dalla FOFI.
ii) Oggetto delle intese
189. Nell’ambito del presente procedimento è stata accertata l’esistenza di tre tipologie di intese, aventi rispettivamente ad oggetto:
a) limitazioni all’attività pubblicitaria,
b) limitazioni alla consegna dei farmaci a domicilio,
c) coordinamento dei comportamenti di prezzo dei farmacisti.
Vale preliminarmente osservare che alcuni enti esponenziali dei farmacisti hanno realizzato nel proprio ambito territoriale più di una intesa.
A) Le limitazioni all’attività pubblicitaria
190. Le intese volte a limitare l’attività pubblicitaria sono in gran parte riconducibili al Regolamento della pubblicità della farmacia del 1996, analizzato in dettaglio nella parte in Fatto. Si noti che tali limitazioni-in quanto si concretizzavano nel divieto, fatto alle farmacie, di apparire sui mezzi di comunicazione di massa anche al solo fine di segnalare la propria esistenza, nonché di pubblicizzare le proprie caratteristiche e i servizi offerti con qualsiasi strumento -, in buona sostanza, finivano con l’inibire quasi ogni forma di pubblicità.
Inoltre, le restrizioni all’attività pubblicitaria non direttamente riconducibili al Regolamento, poste in essere dalle Associazioni di Torino e di Genova, si caratterizzavano anch’esse per una significativa limitazione dell’autonomia del farmacista fino a giungere al divieto di qualsiasi forma individuale di pubblicità.
191. Ciò premesso, è da osservare come le limitazioni all’attività pubblicitaria appaiono idonee a restringere la concorrenza atteso che "la pubblicità è un elemento importante dello stato di concorrenza su un determinato mercato, in quanto consente una migliore valutazione dei meriti di ciascun operatore, la qualità delle loro prestazioni ed il loro costo" (così Tribunale di primo grado, sentenza del 28 marzo 2001, causa T-144/99, IMA/Commissione).
Attraverso la pubblicità, infatti, i consumatori possono acquisire informazioni relative alle caratteristiche dei beni e servizi loro offerti, sulla cui base formare le proprie scelte di acquisto.
Ciò significa, allora, che la pubblicità, proprio in quanto favorisce i raffronti tra operatori economici, costituisce un elemento idoneo a stimolare il confronto concorrenziale tra gli operatori medesimi.
Nel caso di specie, limitare l’attività pubblicitaria delle farmacie produce anche il risultato di disincentivare i tentativi di concorrenza sui prodotti parafarmaceutici tra gli operatori del settore.
Più in generale, la consapevolezza di non poter promuovere confronti da parte dei consumatori non può che ridurre la spinta all’adozione di politiche commerciali differenziate, nonché gli incentivi a migliorare il servizio offerto.
E’ rilevante sottolineare come l’osservanza del divieto di effettuare ogni forma di pubblicità sia stata sollecitata mediante il richiamo a una possibile valutazione sotto il profilo disciplinare.
Quanto alle contestazioni relative all’incompatibilità dell’attività pubblicitaria con il sistema della pianta organica, si osserva che con tale sistema il legislatore ha inteso garantire la distribuzione capillare delle farmacie sul territorio nazionale, determinando specifiche regole in ordine al numero di farmacie presenti sul territorio ed alla loro localizzazione, senza tuttavia prevedere alcuna limitazione in materia di iniziative pubblicitarie.
192. Pertanto, le intese volte a limitare l’attività pubblicitaria, poste in essere dalla FOFI (mediante l’emanazione del Codice Deontologico e del Regolamento della pubblicità della farmacia del 1996, nonché attraverso le circolari con cui la FOFI ha fornito agli ordini provinciali ulteriori indicazioni circa l’applicazione del Regolamento); da Federfarma (la quale ha fatto proprie le iniziative della FOFI in materia di pubblicità, indirizzando in tal senso anche le associazioni periferiche) … hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in violazione dell’articolo 2 della legge n. 287/90.
B) La consegna dei farmaci a domicilio
193. La FOFI ha posto in essere un’ulteriore intesa consistente nelle limitazioni alla consegna di farmaci a domicilio, previste dal Codice deontologico. Il servizio di consegna dei farmaci a domicilio, analogamente alla pubblicità, costituisce un elemento atto a differenziare tra loro gli esercizi farmaceutici concorrendo, quindi, ad influenzare le scelte commerciali dei consumatori che potrebbero, laddove il servizio venisse erogato, rivolgersi alle farmacie che lo offrono piuttosto che ai loro concorrenti. Vale, anche in relazione a tale intesa, la preclusione ai farmacisti di qualsiasi mezzo di distinzione del singolo esercizio-in questo caso sotto il profilo delle modalità del servizio reso -, finalizzata a neutralizzare qualsivoglia possibilità di diversificazione concorrenziale.
Pertanto, anche l’intesa volta a limitare l’espletamento di tali servizi ha un oggetto restrittivo della concorrenza e viola, quindi, l’articolo 2 della legge n. 287/90.
C) Il coordinamento dei comportamenti di prezzo
194. Le intese volte a coordinare i comportamenti di prezzo dei titolari di farmacia sono state realizzate da alcuni enti esponenziali dei farmacisti mediante l’adozione di uno o più dei seguenti comportamenti tra loro complementari: predisposizione e/o diffusione di listini prezzo, sollecitazione all’applicazione dei prezzi consigliati dai produttori, inibizione di utilizzare carte fedeltà-o iniziative simili-per l’applicazione di sconti sui prodotti parafarmaceutici.
i) Predisposizione e/o diffusione di listini prezzo
195. Le risultanze istruttorie hanno evidenziato come alcuni enti esponenziali dei farmacisti coinvolti nel procedimento hanno predisposto e/o diffuso ai propri iscritti listini contenenti prezzi di vendita al pubblico di prodotti parafarmaceutici, spesso raccomandandone l’applicazione. Tali attività miravano ad uniformare i prezzi praticati dai farmacisti ai prodotti a libera vendita. Infatti, il più basso livello dei prezzi praticato negli altri canali di vendita per prodotti fino ad allora venduti prevalentemente in farmacia si prestava a sollecitare riduzioni individuali nei prezzi da parte dei singoli farmacisti, idonee ad intaccare l’uniformità dei comportamenti di prezzo tipica della categoria (nel corso dell’audizione con i rappresentanti dell’Associazione di Lecco del 31 maggio 2001 è stato affermato che "la concorrenza di prezzo un tempo non rientrava nella mentalità dei farmacisti. Si è cominciato a ragionare in termini di concorrenza con l’apertura delle grosse catene di distribuzione che praticavano prezzi sensibilmente bassi").
In particolare, i listini relativi alle operazioni "prezzo controllato" rappresentavano lo strumento di coordinamento dei comportamenti di prezzo dei farmacisti per quei prodotti rispetto ai quali il consumatore, a seguito dell’emergere di nuovi canali di vendita, "aveva l’opportunità di effettuare legittimi confronti di prezzo".
Al riguardo, secondo le parti, sarebbe contraddittorio sostenere, da un lato, che la vendita di parafarmaci in farmacia costituisca un mercato distinto e, dall’altro, che i comportamenti contestati sarebbero stati originati dalla concorrenza esercitata dalla grande distribuzione.
Ciò non appare condivisibile in quanto, come già evidenziato, il principale fine perseguito con i listini era quello di impedire forme di concorrenza interne alla categoria che avrebbero potuto innescarsi laddove alcuni esercizi farmaceutici avessero tentato di seguire la grande distribuzione sul terreno degli sconti, magari in ragione della loro prossimità a punti vendita del dettaglio moderno. Ciò, infatti, avrebbe complessivamente potuto condurre a prezzi inferiori di quelli fissati a livello associativo (come emerge da alcune affermazioni delle parti che danno atto del mantenimento di ragionevoli margini di guadagno anche applicando i prezzi contenuti nei listini).
196. Che la preoccupazione delle associazioni fosse quella di garantire l’uniformità dei prezzi di vendita praticati dai farmacisti è confermato anche dalla frequente diffusione di listini prezzo per prodotti più tradizionalmente venduti in farmacia o riservati a tale canale per scelta commerciale delle imprese produttrici, non esposti ad un confronto con le condizioni di vendita praticate in altri canali.
Interessa, ancora, porre in rilievo che l’adozione di comportamenti concorrenziali da parte dei farmacisti, ancorché concernenti inizialmente un numero di prodotti limitato rispetto al totale delle vendite di parafarmaci nelle farmacie (segnatamente, quei prodotti sottoposti ad un maggiore confronto con altri canali), avrebbe potuto influenzare l’intera attività di vendita dei parafarmaci in farmacia (e, quindi, anche dei prodotti tradizionalmente venduti solo in farmacia e di quelli a questa riservati per scelte commerciali delle imprese produttrici). E’ in questo contesto, quindi, che va considerata la portata restrittiva dei listini, anche di quelli concernenti un numero esiguo di prodotti.
197. Atteso quanto precede, l’argomentazione avanzata da alcune parti, secondo cui il fine ultimo dei listini sarebbe stato quello di "calmierare" i prezzi anche a vantaggio del consumatore, non appare condivisibile. Come visto, tramite i listini, le associazioni hanno teso ad evitare le riduzioni ancor maggiori dei prezzi che sarebbero derivate da iniziative autonome dei farmacisti, salvaguardandone l’uniformità.
Laddove, poi, la diffusione di listini si è accompagnata al divieto di iniziative individuali di sconto o all’invito ad attenersi ai prezzi dei produttori, risulta ancor più chiaro che l’obiettivo perseguito era quello di contrastare forme di concorrenza interne alla categoria.
Vale, ancora, richiamare, come in alcuni casi nell’ambito delle iniziative di controllo dei prezzi le associazioni abbiano, rispetto al listino del produttore, ridotto i prezzi di alcuni prodotti talora aumentato quelli di altri.
Non rileva, infine, l’obiezione delle parti concernente l’assimilabilità -e, quindi, la legittimità- dell’attività delle associazioni a quella svolta dalle centrali d’acquisto che avrebbero svolto le associazioni. Infatti, sebbene sia emerso che le associazioni spesso negozino con i produttori i prezzi di cessione, occorre ricordare che le intese oggetto di valutazione concernono non già accordi sui prezzi di acquisto, bensì l’attività successiva volta a uniformare i prezzi di vendita al pubblico dei parafarmaci.
198. In relazione alla predisposizione e/o diffusione dei listini prezzo, alcuni enti esponenziali dei farmacisti hanno affermato che la vendita di parafarmaci configurerebbe solo un aspetto marginale dell’attività dei farmacisti, rappresentando una percentuale delle vendite totali non superiore al 15-20%.
In proposito, va preliminarmente chiarito che ai fini della valutazione delle intese di prezzo, la vendita di parafarmaci, per quanto incida in misura minoritaria sul fatturato globale della farmacia, costituisce un distinto mercato rilevante, che, peraltro, costituiva l’unico ambito nel quale i farmacisti avrebbero potuto farsi concorrenza di prezzo. Che gli enti esponenziali dei farmacisti tenessero in particolare rilievo l’attività in materia di prezzi dei prodotti parafarmaceutici, trova poi conferma nel fatto che tale attività è, in numerosi casi, il frutto di progetti strutturati e organizzati. Ciò emerge con particolare evidenza nei casi in cui le associazioni hanno istituito apposite commissioni esclusivamente preposte alla elaborazione e/o alla diffusione di listini prezzi.
199. Alcune parti del procedimento hanno, inoltre, sostenuto che i listini diffusi non integrerebbero violazioni della concorrenza in quanto gli stessi contenevano solo prezzi massimi o indicativi.
Si osserva, preliminarmente, che, alla stregua di una costante giurisprudenza, ogni indicazione orizzontale dei prezzi si presta a costituire un punto di riferimento tale da alterare il gioco della concorrenza, in quanto idoneo ad eliminare la naturale incertezza che, invece, dovrebbe caratterizzare un mercato concorrenziale. Più in particolare, le alterazioni concorrenziali derivanti dall’esistenza di simili punti di riferimento prescindono dalla natura fissa, minima o massima delle indicazioni di prezzo (cfr. ad esempio provvedimento dell’Autorità del 29 ottobre 1998, I317 Imprese di costruzione e manutenzione ascensori, in Boll. 44/1998), dal carattere vincolante o meno delle stesse, sulla restrittività della diffusione di prezzi solo ‘indicativi’ cfr. provvedimento dell’Autorità I317 Imprese di costruzione e manutenzione ascensori, cit., sentenza della Corte di giustizia del 17 ottobre 1972, causa n. 8/72, Vereeniging Van Cementhandelaren / Commissione, decisione della Commissione del 5 giugno 1996, caso IV/34.983, FENEX, sentenza del Tribunale di primo grado, ICI c. Commissione, in Raccolta, 1992, II, pag. 1021.]47, nonché dal fatto che abbiano o meno trovato effettiva applicazione. Con particolare riferimento alle indicazioni di prezzi massimi, si segnala come l’Autorità abbia ritenuto che la fissazione di limiti massimi "costituisce una forma di coordinamento del comportamento delle imprese associate con riferimento ad una variabile concorrenziale determinante" (cfr. provvedimento dell’Autorità del 26 luglio 2001, I363 – Accordo distributori ed esercenti cinema). Un prezzo massimo, infatti, "riduce il grado di incertezza delle imprese relativamente alle strategie dei concorrenti e può dunque costituire un punto di riferimento verso il quale è naturale che le imprese tendano" (cfr. Autorità, I342, Farmindustria/Codice di autoregolamentazione, del 7 dicembre 1999; cfr., anche, la decisione della Commissione Europea dell’11 dicembre 1986 "Association belge des banques", in GUCE, serie L n. 7 del 9.1.1987 secondo cui la fissazione di una commissione da parte di un’associazione d’imprese, ancorché nel suo importo massimo, costituisce una restrizione della concorrenza, in quanto rappresenta un punto di riferimento per le politiche di prezzo delle banche e favorisce un allineamento del prezzo praticato da ciascuna di esse al livello indicato).
Va, comunque, rilevato che, in numerosi casi, i prezzi diffusi dalle associazioni erano definiti come ‘minimi’, ovvero accompagnati da circolari che esprimevano la volontà delle associazioni medesime a che le proprie raccomandazioni producessero effetto, sottolineando i vantaggi che ne sarebbero derivati2250 [La medesima rilevanza al tenore delle circolari che accompagnano i tariffari è stata riconosciuta dalla Commissione nella citata decisione Fenex.]50. Peraltro, la diffusione di prezzi-anche massimi o indicativi-deve essere valutata congiuntamente ai ripetuti richiami delle associazioni circa l’importanza del mantenimento di prezzi uniformi. Il riferimento a prezzi massimi o indicativi, infatti, se accompagnato a simili richiami, è idoneo a tradursi, di fatto, in un’indicazione di prezzi fissi.
200. Ai fini della valutazione della restrittività delle indicazioni di prezzo rese da parte delle associazioni non rileva, poi, la circostanza che i listini fossero predisposti da altri soggetti-produttori o associazioni di livello superiore (regionale/nazionale). A tale riguardo, si osserva che la diffusione di prezzi da parte degli enti esponenziali, anche ove predisposti da altri soggetti, costituisce un comportamento autonomamente imputabile da valutare, nel caso di specie, congiuntamente alle ripetute indicazioni espresse da tali enti circa la necessità di mantenere l’uniformità dei prezzi. Peraltro, non può sottovalutarsi che anche la sola diffusione di prezzi, in quanto svolta da associazioni di categoria-incaricate della tutela degli interessi degli iscritti-si presta ad essere percepita da questi ultimi alla stregua di un invito al rispetto dei prezzi medesimi.
201. Alcune parti, peraltro, hanno affermato di essere inconsapevoli della incompatibilità della diffusione di prezzi indicativi di vendita con il diritto antitrust, in ragione di un parere diffuso sul punto da Federfarma (cfr. punto 59). Tale argomentazione non appare condivisibile. In primo luogo, al momento della diffusione del parere, l’illiceità di indicazioni orizzontali dei prezzi-anche non vincolanti-era già da tempo stata sancita sia a livello comunitario che nazionale. In secondo luogo, il parere inviato da Federfarma faceva implicito richiamo alla giurisprudenza nazionale e comunitaria in materia di intese verticali e, quindi, non si prestava, in ogni caso, a porre le suddette parti al riparo dalle censure loro mosse in questa sede che riguardano, invece, intese orizzontali.
202. Le evidenze agli atti mostrano che Federfarma, Federfarma Emilia Romagna, Confservizi Cispel Emilia Romagna, Federfarma Lombardia, le Associazioni dei titolari di farmacia di Torino, Genova, Milano, Bergamo, Lecco, Varese, Venezia, Trento, Bolzano, Vicenza, Udine, Reggio Emilia, Pesaro e Urbino, Ancona e Agrigento hanno predisposto e/o diffuso listini prezzo in relazione a prodotti parafarmaceutici. Inoltre, l’Ordine di Torino ha invitato gli iscritti ad applicare i listini prezzo predisposti dall’Associazione provinciale2251 (la predisposizione e/o diffusione di listini prezzo da parte di tali enti si differenzia in ragione della sistematicità di invio degli stessi, nonché il numero di prodotti interessati, come descritto nella sezione relativa alle risultanze istruttorie).
Per quanto riguarda Federfarma, si sottolinea che tale associazione oltre ad aver diffuso essa stessa listini, si è anche adoperata affinché l’attività volta all’uniformazione dei prezzi dei parafarmaci fosse svolta a livello locale. In proposito, Federfarma ha sollecitato l’adesione all’operazione prezzo controllato da essa proposta ed ha altresì fornito alle associazioni periferiche dati utili alla predisposizione di listini provinciali/regionali.
In particolare, si osserva che la gran parte delle attività delle Associazioni periferiche risulta ispirata da Federfarma e spesso condotta sotto l’egida della stessa. Un gran numero delle associazioni parti del procedimento, infatti, ha aderito all’operazione prezzo controllato; peraltro, questi stessi soggetti, in ipotesi di dubbio circa le proprie indicazioni di prezzo, hanno chiesto il parere o l’avallo di Federfarma.
ii) Invito a rispettare i prezzi dei produttori
203. Alcune parti del procedimento, contestualmente alla diffusione di listini prezzo, hanno invitato i propri iscritti a rispettare i prezzi di prodotti parafarmaceutici consigliati dai produttori ovvero ad utilizzarli come punto di riferimento. In particolare, è emerso che l’invito ad applicare i prezzi dei produttori è stato espresso in relazione a prodotti meno soggetti al confronto con i prezzi praticati negli altri canali di vendita-in quanto tradizionalmente venduti solo in farmacia o riservati alla stessa per scelta commerciale delle ditte produttrici. E’ evidente, pertanto, che anche tali raccomandazioni sottendono il fine di garantire l’uniformità dei prezzi di vendita al pubblico praticati dai farmacisti.
204. L’indicazione di fare riferimento ai prezzi dei produttori è stata formulata da Federfarma, da Federfarma Emilia Romagna e Confservizi Cispel Emilia Romagna, nonché dalle Associazioni di Torino, Genova, Bergamo, Venezia.
iii) Divieto di adottare iniziative individuali di sconto, in particolare per il tramite di carte fedeltà
205. La medesima preoccupazione di garantire l’uniformità dei prezzi dei parafarmaci venduti in farmacia sottende anche ai divieti di adottare iniziative individuali di sconto, in particolare per il tramite di carte fedeltà. In un contesto in cui esistono prezzi di riferimento (vuoi i listini dei produttori, vuoi quelli predisposti dalle associazioni) questi divieti mirano ad assicurarne il rispetto e, quindi, a frenare eventuali iniziative commerciali indipendenti da parte delle singole farmacie (ciò è confermato dal fatto che alcune comunicazioni degli enti agli iscritti, nel vietare l’adozione di iniziative individuali di sconto, individuavano come alternativa alle stesse l’adozione di listini diffusi nell’ambito delle operazioni "prezzo controllato", di cui veniva evidenziata l’idoneità a "garantire l’uniformità dei comportamenti dei farmacisti". Che le iniziative di sconto individuali fossero temute in quanto suscettibili di minare l’uniformità dei comportamenti di prezzo emerge, poi, dall’invito espresso da Federfarma nazionale a che ogni eventuale iniziativa promozionale, che potesse tradursi in sconti alla clientela, fosse in ogni caso organizzata sotto l’egida dell’associazione di appartenenza).
In particolare, l’adozione di carte fedeltà per l’applicazione di sconti, in quanto idonea ad indirizzare i consumatori verso le farmacie che l’avessero utilizzata, è stata espressamente definita dagli enti esponenziali come una forma di accaparramento della clientela.
Muovendo da tali preoccupazioni, alcuni enti esponenziali sottolineavano come eventuali iniziative di sconto dovessero essere condotte sotto l’egida delle associazioni, così salvaguardando la perseguita uniformità dei comportamenti di prezzo. In altri casi, poi, è stato fatto notare come i vantaggi economici per una farmacia derivanti dalle carte fedeltà fossero destinati ad annullarsi una volta che tali strumenti si fossero ampiamente diffusi, in quanto avrebbero condotto a riduzioni generalizzate dei prezzi.
206. (…)
207. La maggior parte degli enti esponenziali dei farmacisti sentiti in audizione ha argomentato che il divieto di adottare carte fedeltà sarebbe stato motivato dal timore che attraverso tale strumento i farmacisti praticassero sconti sui farmaci.
Dalle risultanze istruttorie, invece, è emerso che la principale preoccupazione espressa dagli enti esponenziali dei farmacisti a fondamento dell’invito a non adottare carte fedeltà fosse quella di evitare iniziative di carattere commerciale volte all’acquisizione di clientela a scapito dei colleghi.
Al riguardo, poi, va rilevato che le modalità di funzionamento delle carte magnetiche per la fidelizzazione della clientela, come emerge dalla audizione tenutasi con la società segnalante (cfr. punto n. 170), non ostano a che il farmacista applichi lo sconto unicamente sui prodotti a prezzo non regolamentato. Il rispetto del divieto di legge di applicare sconti sui farmaci, rimesso al singolo farmacista, non risulta quindi compromesso dall’eventuale utilizzo di simili carte.
208. Si rileva, inoltre, che alcune delle parti hanno sostenuto la legittimità degli interventi volti ad impedire l’utilizzo di carte fedeltà, argomentando che quei meccanismi sarebbero sottoposti al regime per le operazioni a premio (cfr. in particolare articolo 43 del r.d.l. 1933/1938) e necessiterebbero, pertanto, di apposita autorizzazione ministeriale.
Tale posizione non è condivisibile. L’articolo 7, comma 4, del d.l. 30 settembre 1989 (convertito con modificazioni dalla legge 27 novembre 1989, n. 384), infatti, ha sancito la non assoggettabilità alla disciplina delle operazioni a premio-per le quali era richiesta l’autorizzazione ministeriale-delle manifestazioni i cui premi fossero costituiti da sconti di prezzo o da quantità aggiuntive del prodotto propagandato. In ogni caso, la normativa in materia di concorsi e operazioni a premio (si noti, peraltro, che il recente D.P.R. n.30 del 26 ottobre 2001 ha, da un lato, ricondotto alle operazioni a premio anche le manifestazioni i cui premi sono costituiti da sconto (art. 3), dall’altro, ha escluso per tutte le operazioni a premio la necessità dell’autorizzazione ministeriale, limitandosi a richiedere la redazione di un apposito regolamento autocertificato, da conservarsi presso la sede della ditta promotrice, art. 10.3) non ne impediva lo svolgimento, in sé legittimo, ma si limitava a subordinarne l’effettuazione all’espletamento delle condizioni poste dalle legge (autorizzazione amministrativa).
209. Ancora, diversamente da quanto affermato dai rappresentanti dell’Associazione di Venezia, il provvedimento disciplinare emanato nei confronti del consorzio Venetofarmacia, motivato anche dall’avversione di tale Associazione verso le carte fedeltà, manifesta il generale orientamento contrario a tali strumenti da parte dell’associazione.
210. Le intese realizzate attraverso l’utilizzo di uno o più dei descritti strumenti (la predisposizione e/o diffusione di listini prezzo, la sollecitazione all’applicazione dei prezzi consigliati dai produttori, l’inibizione di utilizzare carte fedeltà-o iniziative simili-per l’applicazione di sconti sui prodotti parafarmaceutici), in quanto volte ad uniformare i comportamenti di prezzo dei farmacisti in relazione ai prodotti parafarmaceutici hanno un oggetto restrittivo della concorrenza in violazione dell’articolo 2 della legge n. 287/90.
211. Ai fini del pieno apprezzamento della restrittività concorrenziale delle intese sopra descritte, giova ancora una volta ricordare il contesto in cui le intese medesime sono state realizzate. Data la peculiare regolamentazione del settore farmaceutico-caratterizzato da prezzi imposti per i farmaci, pianta organica, limiti agli orari e turni delle farmacie, ecc.-i prezzi dei parafarmaci e la pubblicità della farmacia costituiscono le principali leve concorrenziali che residuano ai farmacisti. In tale contesto, realizzare una intesa sui prezzi ovvero sulla pubblicità (o, addirittura, entrambe) si presta a pregiudicare ogni effettivo confronto concorrenziale tra gli operatori del settore.
Essendo idonee ad ostacolare forme di attrazione della clientela da parte di una farmacia a scapito dell’altra, simili intese ulteriormente irrigidiscono la già esistente compartimentazione territoriale dei mercati conseguente alla suddetta regolamentazione del settore. In questa stessa prospettiva, poi, anche i vincoli alla consegna dei farmaci a domicilio contenuti nel Codice deontologico assumono un rilievo significativo.
Con specifico riferimento, poi, ai mercati provinciali in cui sono state realizzate solo intese di prezzo, la restrittività delle stesse deve comunque valutarsi alla luce non solo della suddetta regolamentazione prevista dall’ordinamento, ma anche in ragione della autoregolamentazione introdotta, a livello nazionale, dalle norme del Codice deontologico e del Regolamento della pubblicità.
iii) Consistenza e applicazione delle intese
212. Le intese poste in essere dagli enti rappresentativi dei farmacisti appaiono idonee a restringere in maniera consistente la concorrenza sia a livello nazionale che su ciascuno dei mercati provinciali specificamente considerati.
Infatti, tutti i titolari di farmacia ed i collaboratori/gestori delle farmacie gestite da enti pubblici hanno l’obbligo-per legge-di essere iscritti agli ordini professionali.
Federfarma, inoltre, rappresenta la principale associazione sindacale della categoria. A quest’ultima aderiscono la quasi totalità dei titolari di farmacia privati e alcune farmacie pubbliche. Con specifico riferimento alle 19 associazioni provinciali dei titolari di farmacia parti del presente procedimento, si rileva, poi, che ben 17 rappresentano più dell’80% delle farmacie della provincia e che la rappresentatività delle altre due si aggira comunque intorno al 70%. Per quanto, infine, attiene al Confservizi Cispel Emilia Romagna, ad essa aderisce circa il 66% delle farmacie comunali della regione.
213. La natura anticompetitiva delle fattispecie esaminate e, soprattutto, la potenzialità delle stesse ad incidere in modo sostanziale sui comportamenti concorrenziali dei farmacisti sono indiscusse al punto di rendere superflua ogni ulteriore analisi che puntualmente individui precisi effetti ad esse direttamente riconducibili.
Secondo la più recente giurisprudenza comunitaria "Ai fini dell’applicazione dell’articolo 85, n. 1, del Trattato (divenuto articolo 81, n. 1, CE), è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti ch’esso ha per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. In un caso del genere la mancanza, nella decisione impugnata, di qualsiasi analisi relativa agli effetti dell’accordo sul piano della concorrenza non costituisce pertanto una causa di annullabilità della decisione. Così, dal momento che ha dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo, la Commissione non è più tenuta a dimostrare che da tale accordo sono derivati effetti restrittivi della concorrenza all’interno del mercato comune"2254 [Cfr. sentenza del Tribunale di Primo Grado del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e al. contro Commissione CE (punto 1531).]54.
Il principio è stato ribadito dalla giurisprudenza amministrativa in materia di concorrenza2255 [Cfr. sentenze del Consiglio di Stato, n. 652/2001 del 13 febbraio 2001 e del TAR Lazio, sez. I, n. 873 /2000 del 15 aprile 1999, relative al caso "Associazione Vendomusica".]55.
214. Peraltro, contrariamente a quanto affermato dalle parti, la documentazione agli atti mostra-perlomeno in alcuni casi-che le intese in esame hanno avuto concreta applicazione, nonché prodotto effetti sui mercati rilevanti.
Per quanto riguarda le limitazioni all’attività pubblicitaria previste dal Regolamento della pubblicità della farmacia, l’effettiva applicazione si evince, principalmente, dalla ampia corrispondenza intercorsa con regolarità tra la FOFI, Federfarma ed alcuni Ordini ed Associazioni provinciali. Tale corrispondenza, infatti, ha avuto ad oggetto richieste di pareri sulla legittimità di alcune forme di pubblicità, segnalazioni di presunte infrazioni, nonché richiami al rispetto delle disposizioni del regolamento.
In alcuni casi, peraltro, sono stati condotti procedimenti disciplinari in ragione del mancato rispetto delle norme deontologiche in materia di pubblicità2256 [ Si vedano, ad esempio, i procedimenti disciplinari condotti dall’Ordine di Torino (cfr. doc. 3.5).]56.
215. In relazione alle diverse forme di coordinamento dei prezzi di vendita, risulta che i titolari di farmacia hanno dato seguito, in taluni casi, alle indicazioni fornite dalle associazioni dei farmacisti. Ciò emerge sia da valutazioni formulate da parte di alcuni enti circa il successo incontrato presso gli iscritti delle iniziative intraprese2257 [Tali valutazioni si riscontrano, ad esempio, per Federfarma (cfr. doc. B.5), per l’Associazione di Torino (cfr. docc. E.33 e E.181), per Federfarma Lombardia e per le Associazioni di Milano e Bergamo (B.48, C.14, G.30, G.24), per l’Associazione di Genova (cfr. doc. P.A.21 in relazione alle iniziative promozionali). Per tale ultima associazione rileva, peraltro, che alcuni farmacisti, laddove non ritenessero congrui i prezzi consigliati dall’associazione, si siano sentiti in dovere di proporre modifiche alla commissione economica, come del resto gli era stato richiesto dall’Associazione stessa (cfr. docc. P.A.10 e P.A.18).]57, che da quanto riferito dalla società segnalante in relazione alle carte fedeltà.
A tale ultimo riguardo, infatti, la società Selea ha riferito che nelle province in cui gli organi esponenziali dei farmacisti hanno diramato il divieto di non adottare carte fedeltà, sebbene a volte una minoranza di farmacisti abbia comunque adottato il sistema di fidelizzazione da questa proposto, la maggioranza ha esplicitamente dichiarato di sentirsi vincolata dal codice deontologico e dall’orientamento contrario degli enti da cui sono rappresentati2258 [Nel corso dell’audizione, peraltro, il rappresentante della società Selea ha affermato che "nelle province, ove avevo in passato avuto rifiuti in ragione delle disposizioni degli ordini e delle associazioni, l’atteggiamento attuale che prevale tra i farmacisti è quello di attendere l’esito del presente procedimento prima di adottare le carte fedeltà. I farmacisti, infatti, mostrano ancora incertezza in quanto aspettano chiari segnali da parte degli ordini e delle associazioni circa l’opportunità di utilizzare le carte".]58.
iv) Gravità delle intese
216. Ai sensi dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90, l’Autorità, qualora ravvisi infrazioni all’articolo 2 della legge n. 287/90, diffida i soggetti nei cui confronti si è dato avvio al procedimento istruttorio a porre termine ai comportamenti in violazione della legge entro un termine prefissato. Lo stesso articolo prevede inoltre che l’Autorità nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della loro gravità e durata, disponga l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.
217. Al fine di assicurare la piena operatività e l’effetto utile del citato articolo 2, anche nei casi di violazioni commesse da associazioni di imprese, non può non trovare applicazione l’articolo 15 della legge n. 287/90, che prevede le sanzioni per le intese restrittive della concorrenza che rivestono carattere di gravità "(…) in misura non inferiore all’uno per cento e non superiore al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente (…)". Come si evince dal riferimento ad "imprese" o "enti", l’articolo 15 sancisce una regola generale, che sottopone a sanzione tutti i soggetti che, con i loro comportamenti, abbiano commesso illeciti antitrust, ricomprendendo certamente in tale categoria anche le associazioni di imprese. Ne discende, pertanto, che, al fine di evitare che la regola descritta sia in concreto privata della propria portata, il riferimento al concetto di fatturato contenuto nell’articolo 15 debba essere inteso in senso lato e tale da potersi adattare a tutti i destinatari della prescrizione, siano essi "imprese" o "enti". Conclusione che è pertinente anche con riferimento agli Ordini professionali, non potendo ammettersi che tali "enti" possano violare le norme a tutela della concorrenza, restando del tutto immuni dalle sanzioni pecuniarie previste dalla legge, ove emanino atti qualificabili come decisioni di associazioni di imprese restrittivi della concorrenza.
218. In ordine alla valutazione della gravità delle intese, rileva, in primo luogo, la loro natura. Con specifico riferimento al coordinamento orizzontale dei comportamenti di prezzo, occorre sottolineare come questo configuri, come noto, una delle ipotesi più gravi di violazioni della normativa antitrust, secondo costante orientamento dell’Autorità e degli organismi comunitari. Pertanto, ogni attività delle parti volta ad incidere sui comportamenti di prezzo dei farmacisti (la predisposizione e/o diffusione di listini prezzo, ovvero l’invito a non adottare carte fedeltà o altri meccanismi di sconto, ovvero il richiamo al rispetto dei listini diffusi dai produttori) configura un’intesa grave.
Le intese volte a vietare l’attività pubblicitaria, impedendo ogni raffronto tra operatori in ordine alle caratteristiche del servizio offerto, limitano sensibilmente la concorrenza tra gli operatori medesimi e pertanto devono considerarsi gravi.
219. Le intese sui prezzi e sulla pubblicità oggetto di valutazione risultano gravi anche in ragione del contesto in cui si sono sviluppate.
Ciò in quanto non può non tenersi in conto che dette intese restringono una effettiva concorrenza tra le farmacie anche nei pochi ambiti in cui la stessa si può realizzare.
Al riguardo, si osserva che la regolamentazione dell’esercizio farmaceutico restringe in maniera incisiva gli ambiti in cui le imprese possono confrontarsi (attraverso il contingentamento degli esercizi farmaceutici e la determinazione in via amministrativa della localizzazione degli stessi, nonché degli orari di apertura e dei prezzi dei farmaci), ma nessuna specifica limitazione è prevista in ordine all’attività pubblicitaria ed alla determinazione dei prezzi dei prodotti parafarmaceutici, su cui, invece, hanno inciso le intese poste in essere dalle parti del procedimento.
220. Nella valutazione della gravità delle intese deve anche tenersi conto del ruolo dei soggetti cui tali comportamenti sono imputati. Le indicazioni di tutti gli enti esponenziali dei farmacisti, infatti, rivestono una forza particolare agli occhi dei titolari di farmacia.
Ciò in quanto, diversamente dagli accordi che intercorrono tra soggetti posti su posizione paritetica, nel caso di specie, le indicazioni provenivano da organismi esponenziali dei farmacisti, cui questi ultimi riconoscono autorevolezza, sentendosi, pertanto, tenuti ad adeguarsi alle determinazioni degli organismi stessi.
Va, peraltro, osservato che la gran parte degli statuti istitutivi degli enti parti del procedimento prevedono l’obbligo per gli iscritti di conformarsi alle deliberazioni degli enti medesimi (e, quindi, evidentemente, anche a quelle deliberazioni aventi ad oggetto i prezzi da praticare per i parafarmaci e l’attività pubblicitaria), pena-in alcuni casi-l’irrogazione di sanzioni disciplinari. Ciò vale, in particolare, per le intese realizzate attraverso l’emanazione e l’applicazione di norme deontologiche.
221. Si aggiunga, infine, che gli enti rappresentativi dei farmacisti-ordini professionali e associazioni di titolari di farmacia-erano già da tempo consapevoli di essere destinatari, al pari di altre associazioni di imprese, delle norme a tutela della concorrenza. In particolare, nella riunione del Consiglio nazionale della FOFI, del 12 febbraio 1996, la discussione relativa all’approvazione del codice deontologico ha riguardato, tra l’altro, la possibile incompatibilità di talune disposizioni del codice con il diritto antitrust2259 [ Cfr. doc. 3.14. ]59. Federfarma, poi, già nel 1995, ha inviato a tutte le associazioni periferiche un parere in ordine ai possibili conflitti di talune indicazioni di prezzo con le norme di concorrenza2260 [ Cfr. doc. B.58.]60. Detta consapevolezza, del resto, appare del tutto coerente con il fatto che i farmacisti, nella vendita di prodotti parafarmaceutici, svolgono, sia pure in un mercato distinto, un’attività simile a quella delle altre imprese attive nella distribuzione commerciale.
Emerge, altresì, che gli enti in questione erano pienamente consapevoli della idoneità dei comportamenti posti in essere a restringere la concorrenza; il che era di immediata percezione in particolare per le intese che avevano ad oggetto la determinazione del prezzo. Nella documentazione descritta nella parte in Fatto si è visto, infatti, come gli enti esponenziali dei farmacisti abbiano, in numerosi casi, espressamente affermato che l’obiettivo perseguito per il tramite delle indicazioni di prezzo fosse quello di ostacolare lo sviluppo di comportamenti concorrenziali all’interno della categoria.
222. La durata delle intese viene indicata nella tabella di cui alla seguente sezione2261 [ Si ricorda che rileva, ai fini del presente procedimento, solo il periodo successivo all’entrata in vigore della l. 287/90.]61.
In relazione alle intese sulla pubblicità, si specifica che queste si considerano cessate con l’abrogazione del Regolamento della Pubblicità della Farmacia, ad eccezione delle intese poste in essere dalle associazioni di Genova e di Torino. Per tali associazioni, infatti, le limitazioni all’attività pubblicitaria sono contenute, rispettivamente, nel Patto di non concorrenza emanato dall’Associazione di Genova e nell’impegnativa di adesione all’Associazione di Torino, ad oggi non ancora abrogati.
Si specifica, poi, che ai fini del calcolo della durata delle intese di prezzo rileva l’aver riscontrato la sussistenza di almeno uno dei comportamenti volti al coordinamento dei prezzi di vendita.
Per quanto riguarda, in particolare, i listini prezzo-laddove questi siano stati l’unico strumento utilizzato-la diffusione episodica e non continuata nel tempo degli stessi fa sì che l’intesa abbia avuto breve durata (questo è il caso delle associazioni di Vicenza e Varese). Ciò in quanto, i listini, per loro natura, hanno validità limitata nel tempo.
Diversamente, i divieti di applicazione di sconti, in particolare per il tramite di carte fedeltà, si ritengono ancora in vigore ove non siano stati espressamente abrogati, come nell’unico caso dell’Ordine di Torino.
(…)