Legge
“Norme in materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato”
(approvata alla Camera il 5 novembre e in corso di pubblicazione sulla gazzetta ufficiale)
La Camera dei deputati, con una maggioranza schiacciante (398 sì e 3 no), ha approvato definitivamente, lo scorso 5 novembre, il disegno di legge che reintroduce l’assoluta incompatibilità tra l’esercizio della libera professione forense e la dipendenza pubblica, anche part-time.
Rimane ovviamente in vigore la precedente normativa che consente l’esercizio della libera professione forense ai dipendenti pubblici che svolgano attivià di docenza nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle Università degli Studi.
Nell’aula della Camera si è registrato un solo intervento (prudentemente) critico, da parte di Pierluigi Mantini, responsabile per le libere professioni del gruppo Margherita, DL-l’Ulivo, il quale, pur esprimendo una dichiarazione di voto favorevole, ha tuttavia tenuto a rimarcare che:
“Dagli avvocati e dall’ordine degli avvocati, che a noi è caro, sono venute forti pressioni in una logica che è volta, sì, a far maggior chiarezza, ma che tuttavia è un po’ esclusiva e riflette nei commenti di molti anche un’impostazione un po’ corporativa”.
Ed ancora:
“Ci accingiamo ad approvare un’incompatibilità che vale per gli avvocati, mentre non vale per tutti gli altri pubblici dipendenti che esercitano altre professioni”.
Mantini ha così concluso:
“La riforma delle professioni non può essere realizzata con interventi piecemeal, caso per caso (affrontando oggi la questione delle incompatibilità degli avvocati e domani quella degli psicologi), perché abbiamo la necessità di una modernizzazione vera del settore”.
(…)
Articolo 1
1. Le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 56, 56-bis e 57, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, non si applicano all’iscrizione agli albi degli avvocati, per i quali restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni.
Articolo 2
1. I pubblici dipendenti che hanno ottenuto l’iscrizione all’albo degli avvocati successivamente alla data di entrata in vigore delle legge 23 dicembre 1996, n. 662, e risultano ancora iscritti, possono optare per il mantenimento del rapporto di impiego, dandone comunicazione al consiglio dell’ordine presso il quale risultano iscritti, entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. In mancanza di comunicazione entro il termine previsto, i consigli degli ordini degli avvocati provvedono alla cancellazione di ufficio dell’iscritto al proprio albo.
2. Il pubblico dipendente, nell’ipotesi di cui al comma 1, ha diritto ad essere reintegrato nel rapporto di lavoro a tempo pieno.
3. Entro lo stesso termine di trentasei mesi di cui al comma 1, il pubblico dipendente può optare per la cessazione del rapporto di impiego e conseguentemente mantenere l’iscrizione all’albo degli avvocati.
4. Il dipendente pubblico part-time che ha esercitato l’opzione per la professione forense ai sensi della presente legge conserva per cinque anni il diritto alla riammissione in servizio a tempo pieno entro tre mesi dalla richiesta, purché non in soprannumero, nella qualifica ricoperta al momento dell’opzione presso l’Amministrazione di appartenenza. In tal caso l’anzianità resta sospesa per tutto il periodo di cessazione dal servizio e ricomincia a decorrere dalla data di riammissione.
Articolo 3
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.