Onnicomprensivita’ del trattamento economico

Il Consiglio di Stato, con recente parere della Commissione speciale sul pubblico impiego, deliberato nell’adunanza del 4 maggio 2005, è intervenuto in ordine al trattamento economico dei dirigenti e alla sua onnicomprensività. Nel riportare in calce il testo integrale del parere, è utile riassumere in breve i termini della questione.

La fonte: art. 24 del T.U. sul pubblico impiego

L’art. 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 si occupa del trattamento economico dei dirigenti pubblici.

Il terzo comma prevede in particolare il regime di onnicomprensività.

E’ stabilito che il trattamento economico del dirigente pubblico deve remunerare:

– tutte le funzioni ed i compiti attribuiti;

– qualsiasi incarico conferito in ragione d’ufficio o comunque conferito dall’amministrazione di appartenza o su designazione della stessa.

Gli incarichi conferiti “in ragione dell’ufficio”

Gli incarichi conferiti in ragione dell’ufficio, ossia gli incarichi strettamente connessi alla pubblica funzione esercitata dal dirigente, rientrano pacificamente nel regime della onnicomprensività.

Può farsi l’esempio dell’inserimento, negli organi di taluni enti, dei dirigenti titolari di determinate funzioni pubbliche, in applicazione di specifiche disposizioni normative.

Il loro svolgimento, peraltro, si riflette spesso direttamente sul raggiungimento degli obiettivi assegnati al dirigente.

Gli incarichi conferiti “su designazione discrezionale” dell’Amministrazione di servizio

In questa ipotesi si ha preliminarmente una valutazione discrezionale in ordine alle qualità professionali possedute dal soggetto che dovrà rappresentare l’Amministrazione e curarne gli interessi pubblici.

Si tratta di incarichi conferiti quando sia normativamente prevista la partecipazione di un rappresentante dell’Amministrazione (con qualifica dirigenziale) in organi di diversi enti o in particolari commissioni.

E’ in definitiva attività connessa in maniera più o meno diretta al rapporto organico tra il dirigente e l’Amministrazione, della quale il predetto funzionario cura l’interesse ed esprime la volontà.

Gli incarichi “comunque conferiti” dall’Amministrazione di appartenenza

Può farsi riferimento agli incarichi conferiti “intuitu personae”, come ad esempio, l’incarico di docenza in un corso di aggiornamento riservato al personale dipendente, ovvero gli incarichi di presidente dei collegi di conciliazione di cui all’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

Secondo un’interpretazione ministeriale, la funzione del principio di onnicomprensività andrebbe correttamente individuata nella necessità di introdurre un meccanismo idoneo ad evitare di retribuire con somme aggiuntive tutti quegli incarichi che il dirigente sarebbe tenuto a svolgere sia per connessione (diretta o indiretta) con i doveri d’ufficio, sia in conseguenza del possesso dello specifico “status” di dirigente.

Secondo il Consiglio di Stato, occorre cosiderare che, dopo la “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego, ai dirigenti è stata attribuita la diretta responsabilità in materia di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, restando demandata agli Organi di governo la funzione di definire gli obiettivi ed i programmi da attuare, nonché di verificare la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite.

Un simile mutamento di prospettiva ha sensibilmente accentuato l’ambito delle pur ampie responsabilità già attribuite alla dirigenza dal d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, e la disciplina mediante lo strumento contrattuale dei singoli rapporti ha coerentemente consentito non solo di rapportare la retribuzione all’impegno ed alla complessità dei compiti connessi alle diverse posizioni organiche, ma anche di corrispondere un trattamento economico accessorio collegato ai risultati effettivamente conseguiti nell’espletamento dell’attività.

Trattasi di un impegno di carattere esclusivo, nell’espletamento del quale il funzionario deve prestare tutta la sua opera (con le sole eccezioni previste per gli incarichi non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, autorizzabili ai sensi dell’art. 53 del T.U. 165/2001).

Il Consiglio di Stato conclude pertanto nel senso della inclusione anche dei compensi derivanti da quest’ultima tipologia di incarichi nel regime di onnicomprensività, con la sola possibilità per il dirigente di non accettarne il conferimento.

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Consiglio di Stato

Commissione Speciale Pubblico Impiego

Adunanza del 4 maggio 2005

N° 173/2004 – Sezione II

Oggetto:

Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Quesiti in ordine alla onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti pubblici. Art. 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

La Commissione Speciale,

Vista la nota prot. n. 77, in data 8 gennaio 2004, e la successiva relazione prot. n. 1164, in data 7 aprile 2005, con la quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (Direzione generale degli affari generali, risorse umane e attività ispettiva) ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine all’argomento indicato in oggetto;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 532, in data 7 aprile 2004, con cui l’esame dell’affare è stato devoluto alla Commissione speciale per il pubblico impiego;

Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore consigliere Pier Luigi Lodi;

Premesso:

Con nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 8 gennaio 2004, integrata dalla successiva relazione in data 7 aprile 2005, sono stati prospettati taluni problemi riguardanti il regime di onnicomprensività del trattamento retributivo dei dirigenti, vigente ormai da diversi anni, in relazione ai sopravvenuti dubbi interpretativi in ordine alle norme applicabili, specie con riferimento alle modalità di inclusione dei compensi per incarichi aggiuntivi nel predetto regime di onnicomprensività.

Nel segnalarsi, in particolare, l’esistenza delle seguenti tre tipologie di incarichi: a) conferiti in ragione dell’ufficio; b) conferiti su designazione dell’Amministrazione di servizio; c) comunque conferiti dall’Amministrazione di servizio, il Ministero ha posto alcuni specifici quesiti in proposito.

L’affare in questione è stato sottoposto, in data 24 marzo 2004, all’esame della competente Sezione II, la quale ha osservato che tale quesito pone problemi la cui soluzione presenta alcuni dubbi interpretativi e riguarda, comunque, la competenza di tutte le Sezioni del Consiglio di Stato, per cui ha prospettato al Presidente del Consiglio di Stato l’opportunità di demandare l’esame dell’affare alla Commissione speciale per il pubblico impiego, per un approfondimento al riguardo.

Il Presidente del Consiglio di Stato, con decreto 7 aprile 2004, n. 532, ha disposto la devoluzione dell’affare alla Commissione speciale per il pubblico impiego.

Ai fini della risposta ai quesiti di cui sopra, il Presidente della Commissione speciale, in data 9 aprile 2004, ha invitato il Ministero riferente a trasmettere urgentemente anche l’avviso del Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell’economia e delle finanze.

Il predetto Ministero ha quindi provveduto ai richiesti adempimenti istruttori inviando, oltre ad altra documentazione sull’argomento, la nota del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento dell’amministrazione generale del personale e dei servizi del tesoro – prot. n. 49917 del 27 maggio 2004, nonché la nota del Dipartimento della funzione pubblica – Ufficio personale e pubbliche amministrazioni – prot. n. DPP/ 14318/85/1. 2. 3 del 2 aprile 2005.

Considerato:

1. – Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sottopone al Consiglio di Stato alcuni quesiti in ordine alle modalità interpretative delle norme vigenti, di cui all’art. 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, riguardanti il trattamento economico dei dirigenti, chiedendo in particolare indicazioni ai fini della corretta applicazione del previsto regime di onnicomprensività del detto trattamento economico.

2. – Per un migliore inquadramento dei problemi prospettati dal Ministero – sui quali sono stati acquisiti, in via istruttoria, i punti di vista anche del Ministero dell’economia e delle finanze e del Dipartimento della funzione pubblica – è opportuno preliminarmente rammentare che il citato art. 24, con il primo comma, demanda alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione del personale in possesso della qualifica di dirigente, specificando che il trattamento economico accessorio deve essere correlato alle funzioni attribuite ed alle connesse responsabilità.

Va, altresì, ricordato che, in base al secondo comma dello stesso art. 24, per gli incarichi di uffici dirigenziali di livello generale, il relativo trattamento economico fondamentale ed il connesso trattamento economico accessorio sono stabiliti mediante apposito contratto individuale.

Si riporta, poi, qui di seguito il testo del terzo comma del ripetuto art. 24, che riguarda direttamente gli interrogativi del Ministero:

“3. Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza”.

3. – Sulla base delle disposizioni enunciate da tali norme il Ministero riferente ha ritenuto di individuare tre diverse tipologie di incarichi, cui potrebbero essere applicate discipline eterogenee.

4. – In primo luogo si fa riferimento agli “incarichi conferiti in ragione dell’ufficio”, ossia agli incarichi strettamente connessi alla pubblica funzione esercitata dal dirigente, il cui svolgimento può, fra l’altro, riflettersi direttamente sul raggiungimento degli obiettivi assegnati al medesimo dirigente.

In proposito si fa l’esempio dell’inserimento, negli organi di taluni enti, dei dirigenti titolari di determinate funzioni pubbliche, in applicazione di specifiche disposizioni normative.

Per tale categoria di incarichi non si sollevano dubbi, da parte dell’Amministrazione riferente, in ordine alla necessità di una rigorosa applicazione del regime di onnicomprensività.

Una simile conclusione non può che essere condivisa, tenuto conto della lettera della norma e delle chiare finalità della stessa.

5. – In secondo luogo il Ministero esamina l’ipotesi degli incarichi conferiti ai dirigenti “su designazione” dell’Amministrazione di servizio, effettuata sulla base di una valutazione discrezionale in ordine alle qualità professionali possedute dal soggetto che dovrà rappresentare l’Amministrazione stessa e curare gli interessi pubblici ad essa istituzionalmente affidati.

Trattasi, in sostanza, degli incarichi che vengono conferiti quanto sia normativamente prevista la partecipazione di un rappresentante dell’Amministrazione, di solito con qualifica dirigenziale, in organi di diversi enti o in particolari commissioni.

Anche in questo caso il Ministero riferente è dell’avviso che i relativi compensi siano assoggettati al regime dell’onnicomprensività, atteso che trattasi di attività connesse in maniera più o meno diretta al rapporto organico tra il dirigente e l’Amministrazione, della quale il predetto funzionario cura l’interesse ed esprime la volontà.

Su tale conclusione non può che convenirsi, dovendosi in particolare osservare che l’assolvimento di simili incarichi può logicamente farsi rientrare tra le normali incombenze dei dirigenti, la remunerazione delle quali viene conseguentemente determinata tenendo presente l’esigenza di far fronte pure ai suddetti ulteriori impegni.

6. – In terzo luogo il Ministero fa riferimento alla categoria degli incarichi “comunque” conferiti dall’Amministrazione di appartenenza

6.1. – Secondo l’Amministrazione riferente, una lettura acritica – sulla base della sola formulazione letterale – della citata norma dell’art. 24, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (come quella fornita dalla circolare n. 1/200, in data 1º marzo 2000, diramata in proposito dal Dipartimento della funzione pubblica) comporterebbe il rischio di una eccessiva compressione del rapporto tra quantità e qualità della retribuzione, da un lato, ed ammontare della retribuzione, dall’altro, incidendo su un’area regolata da principi costituzionali.

La stessa Amministrazione, peraltro, opera una prima distinzione in proposito, assumendo che per gli incarichi conferiti attraverso una scelta da effettuarsi tra i soggetti in possesso della qualifica dirigenziale, dovrebbe applicarsi il regime del onnicomprensività, in analogia a quanto già considerato con riferimento agli incarichi su designazione dell’Amministrazione di servizio, trattandosi sempre di attività che devono essere esercitate dal dirigente in conseguenza del rapporto organico esistente con l’Amministrazione.

6.2. – Diversa sarebbe, invece, ad avviso del Ministero, l’ipotesi di incarichi conferiti “intuitu personae”, ossia prescindendo dal possesso della qualifica dirigenziale, atteso che l’Amministrazione, in detta circostanza, potrebbe rivolgersi anche a soggetti esterni, come ad esempio avviene per l’incarico di docenza in un corso di aggiornamento riservato al personale dipendente, ovvero anche per gli incarichi di presidente dei collegi di conciliazione di cui all’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

In questi casi, sottolinea il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (con il conforto anche del Dicastero dell’economia e delle finanze) il soggetto incaricato esprime giudizi, opinioni, volizioni unicamente riferibili al soggetto stesso e quindi non riferibili all’Amministrazione, ancorché l’incarico venga svolto da un dirigente, a seguito della libera scelta effettuata dall’Amministrazione stessa. Si tratterebbe, dunque, di fattispecie riconducibile allo svolgimento di una attività che potrebbe essere assimilata a quella libero-professionale, ossia di incarichi svolti su autorizzazione della propria Amministrazione, autorizzazione che in tali circostanze potrebbe risultare assorbita dal provvedimento di nomina.

Da parte del Ministero riferente si osserva, poi, che la trasformazione del precedente rapporto di impiego pubblico in un rapporto regolato da un contratto di lavoro di diritto privato, imperniato sul principio della sinallagmaticità delle prestazioni delle parti, darebbe ancora maggior rilievo al principio di proporzionalità tra quantità e qualità della prestazione lavorativa e l’ammontare della retribuzione. Non sarebbe, infatti, coerente con tale principio ammettere la possibilità che l’Amministrazione, nell’ambito di un rapporto di diritto privato, attribuisca incarichi ulteriori – non individuati, e talvolta neppure individuabili, al momento della stipula del contratto – senza la corresponsione di alcun compenso aggiuntivo. Se è vero, d’altronde, che il dirigente individuato dall’Amministrazione avrebbe la facoltà di rifiutare l’incarico, dovrebbe però considerarsi che ciò potrebbe riflettersi in senso negativo sulla valutazione dell’attività svolta e comporterebbe, altresì, un maggior costo per l’Amministrazione per i compensi da corrispondere ad un soggetto esterno.

Nella nota ministeriale in esame si assume, ancora, che l’incongruenza di cui sopra non verrebbe superata neppure con riferimento alla disposizione dell’art. 14 del contratto collettivo di area dirigenziale sottoscritto il 5 aprile 2001 (che prevede la possibilità di corrispondere al dirigente incaricato una somma pari al 30% del compenso previsto, in considerazione dell’aggravio di lavoro conseguente all’incarico aggiuntivo), ritenendosi che in tal modo, per unilaterale volontà di una delle parti, sarebbe corrisposto per la prestazione lavorativa un compenso fortemente ridotto, in violazione del principio di proporzionalità stabilito dall’art. 36 della Costituzione.

Conclude l’Amministrazione riferente che la funzione del principio di onnicomprensività andrebbe correttamente individuata nella necessità di introdurre un meccanismo idoneo ad evitare di retribuire con somme aggiuntive tutti quegli incarichi che il dirigente sarebbe tenuto a svolgere sia per connessione (diretta o indiretta) con i doveri d’ufficio, sia in conseguenza del possesso dello specifico “status” di dirigente. In tale prospettiva non sarebbe, pertanto, coerentemente applicabile il detto principio in situazioni diverse, nelle quali l’attività svolta non possa considerarsi connessa con i compiti dell’ufficio.

6.3. – La Commissione speciale deve osservare, in proposito, che il principio dell’onnicomprensività, di cui si discute, risulta ispirato al soddisfacimento di una pluralità di esigenze, ed in ispecie risulta legato con un rapporto di stretta conseguenzialità alla particolare posizione che assumono i dirigenti, nell’ambito dell’organizzazione della pubblica amministrazione, specie dopo la riforma relativa alla “privatizzazione” del rapporto di pubblico impiego, di cui al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni. Come è noto, in base alla normativa suddetta ai predetti dirigenti è stata attribuita la diretta responsabilità in materia di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, restando demandata agli Organi di governo la funzione di definire gli obiettivi ed i programmi da attuare, nonché di verificare la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite.

Un simile mutamento di prospettiva, quindi, ha sensibilmente accentuato l’ambito delle pur ampie responsabilità già attribuite alla dirigenza dal d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, e la disciplina mediante lo strumento contrattuale dei singoli rapporti ha coerentemente consentito non solo di rapportare la retribuzione all’impegno ed alla complessità dei compiti connessi alle diverse posizioni organiche, ma anche di corrispondere un trattamento economico accessorio collegato ai risultati effettivamente conseguiti nell’espletamento dell’attività.

In ogni caso va opportunamente sottolineato che il carattere contrattuale del rapporto di impiego implica necessariamente un incontro della volontà delle parti, anche per quanto riguarda la determinazione del compenso, che non viene ora rapportato a parametri rigidamente predeterminati per legge, come avveniva precedentemente pure per la categoria della dirigenza.

Trattandosi, d’altronde, di un impegno di carattere esclusivo, nell’espletamento del quale il funzionario deve prestare tutta la sua opera (con le sole eccezioni previste per gli incarichi non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, autorizzabili ai sensi dell’art. 53 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001), la corresponsione di un trattamento economico onnicomprensivo appare coerente con i fondamentali principi di correttezza e di trasparenza che debbono caratterizzare l’organizzazione dei pubblici uffici, e si palesa, altresì, maggiormente rispondente all’opportunità di consentire un più equo e favorevole trattamento previdenziale e pensionistico per il personale in questione.

6.4. – Tenuto conto di quanto sopra, non appaiono fondate le perplessità prospettate dal Ministero riferente (cui si è associato anche il Ministero dell’economia e delle finanze) in ordine alla applicazione del principio della onnicomprensività pure con riguardo agli incarichi ulteriori, comunque conferiti dall’Amministrazione.

Anzitutto è da escludere che possa configurarsi, in una simile fattispecie, una prestazione imposta per unilaterale volontà di una delle parti, atteso che trattasi pur sempre di incarichi che debbono essere accettati dall’interessato e quest’ultimo, pertanto, può liberamente determinarsi nel senso di rifiutare l’ulteriore aggravio del carico di lavoro. Né appare pertinente l’obiezione secondo cui un simile rifiuto potrebbe riflettersi negativamente sulla valutazione finale dell’attività svolta, atteso che il conferimento di ampi poteri amministrativi e gestionali ai dirigenti comporta, inevitabilmente, la responsabilizzazione dei medesimi con riguardo a tutte le scelte ed alle opzioni effettuate nel corso dello svolgimento delle funzioni di competenza, anche con riferimento alla individuazione delle iniziative da intraprendere e alle attività da svolgere in concorrenza o in alternativa con altre, ai fini del conseguimento degli obiettivi di pubblico interesse da perseguire in base alle direttive generali impartite dagli Organi di governo.

Per quanto concerne il rispetto del canone costituzionale relativo alla proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità della prestazione lavorativa che, in ogni caso, deve essere sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia “una esistenza libera e dignitosa”, si rammenta che, come sottolineato dalla Corte costituzionale e come ampiamente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, la proporzionalità e sufficienza della retribuzione vanno valutate considerando la retribuzione nel suo complesso, e non in base ai singoli elementi che compongono il trattamento economico (Cfr. Corte Cost. 20 giugno 2002, n. 263; 12 marzo 2004, n. 91; Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2004, n. 7101).

Per quanto riguarda specificamente l’aspetto della durata degli incarichi, poi, deve convenirsi con quanto osservato dal Dipartimento della funzione pubblica in ordine alla irrilevanza del carattere non continuativo dell’impegno richiesto, ai fini dell’assoggettamento del relativo compenso al regime della onnicomprensività.

Nell’ipotesi di compensi dovuti dai terzi per incarichi aggiuntivi, dunque, ogni dubbio in proposito dovrebbe essere senz’altro superato con riguardo alla complessiva congruità del trattamento economico spettante al dirigente. Deve tenersi conto, inoltre, dalla previsione, di cui all’articolo 14, comma 2, del contratto collettivo per la dirigenza sottoscritto il 5 aprile 2001, già sopra ricordato, secondo cui, allo scopo di remunerare il maggiore impegno e la maggiore responsabilità dei dirigenti che svolgono detti incarichi aggiuntivi, viene loro corrisposta, ai fini del trattamento accessorio, oltre alla retribuzione di posizione e di risultato, una quota, in ragione del loro apporto, fino al 30% della somma che confluisce nel fondo di attuazione del principio di onnicomprensività. Può ritenersi, infatti, che una simile previsione, consentendo un trattamento differenziato e di particolare favore per i dirigenti maggiormente impegnati, sia comunque idonea a soddisfare le esigenze di carattere sostanzialmente perequativo segnalate dall’Amministrazione riferente.

7. – Da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali viene, poi, chiesto il parere di questo Consiglio in ordine a tre ulteriori questioni.

7.1. – La prima questione si riferisce alla fattispecie concernente gli incarichi, affidati a dirigenti di prima fascia, di componente effettivo dei collegi sindacali o dei consigli di amministrazione degli enti previdenziali, segnalandosi che, ai sensi dell’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479, trattasi di posti di funzione dirigenziale dell’Amministrazione. Si chiede di chiarire se in tali casi, realizzandosi la coincidenza tra incarico principale ed incarico fonte del compenso aggiuntivo, il trattamento economico in parola, previsto dei singoli contratti, venga per tale circostanza assorbito in quello principale, perdendo la caratteristica di “addizionale”.

Osserva il Collegio che, in assenza di eventuale definizione della questione in sede di contrattazione collettiva, non appare incongruo seguire il criterio – suggerito dal Ministero dell’economia e delle finanze – di includere il compenso in parola nel trattamento spettante a titolo di retribuzione di posizione, parte variabile, in base ai contratti individuali sottoscritti dai singoli dirigenti.

7.2. – La seconda questione concerne la esatta qualificazione, ai fini che qui interessano, dei “gettoni di presenza” previsti per i componenti di organi collegiali periferici dell’INPS, ai quali sono chiamati a partecipare “ratione officii” i direttori delle Direzione provinciale del lavoro, cui non viene corrisposto alcun compenso in misura fissa. Mentre non sussisterebbero incertezze sull’esclusione dal regime di onnicomprensività dei gettoni di presenza costituenti un mero rimborso spese forfetario, sorgerebbero dubbi in proposito qualora la somma, formalmente qualificata come gettone di presenza, costituisca un reddito soggetto a tassazione, come le somme erogate nella fattispecie in esame.

Sull’argomento deve ribadirsi che, alla stregua dei principi sopra enunciati, per le attività lavorative cui fa cenno il Ministero riferente risulta preclusa la possibilità di esclusione di qualsiasi tipo di compenso, comunque configurato e denominato. Si concorda, quindi, con quanto espresso sul punto dal Dipartimento della funzione pubblica, che fa salva esclusivamente la possibilità di “gettoni” o “medaglie” di presenza che abbiano carattere meramente restitutorio, in quanto costituiscano lo strumento per assicurare il rimborso delle spese minute connesse all’espletamento dell’incarico. Va inclusa, invece, nel regime di onnicomprensività, qualsiasi altra erogazione che, pur avendo eventualmente analoga denominazione, venga sostanzialmente ad assumere, per la misura del suo valore, un carattere indennitario, con conseguente assoggettamento anche agli oneri contributivi ed erariali.

7.3. – La terza questione, infine, riguarda il criterio di determinazione della quota – nella misura massima del 30% – del compenso spettante per l’incarico rientrante in regime di onnicomprensività, occorrendo precisare se tale somma sia da ritenersi al netto delle varie ritenute, se essa vada versata al dirigente direttamente dal soggetto presso il quale si svolge l’incarico, ovvero se da tale soggetto debba essere versata nel capitolo di bilancio dell’Amministrazione in cui affluiscono le somme in questione e poi, a cura dell’Amministrazione stessa, erogata in busta paga al dirigente interessato.

In proposito è agevole rilevare che, come sottolineato dal Dicastero dell’economia e delle finanze, dalla formulazione della norma dell’art. 24, comma 3, del ripetuto decreto legislativo n. 165 del 2001, discende con sufficiente chiarezza che il compenso in parola deve essere interamente versato all’Amministrazione di appartenenza del dirigente. Sarà poi compito di quest’ultima, sulla base degli accordi intervenuti con le parti sindacali, di provvedere a destinare al dirigente interessato la somma percentualmente dovuta, previa applicazione delle ritenute di legge.

Redazione

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