‘Una recente decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la n. 1207 del 2006, afferma che anche del diritto leso dal potere avrebbe titolo a conoscere il giudice ordinario, giudice dei diritti soggettivi. Sarebbe solo accordata al giudice amministrativo la facoltà di scendere in campo quando la lesione del diritto sia da ricondurre ad un atto annullato e a condizione che la riparazione del diritto sia domandata dalla parte nello stesso processo nel quale l’annullamento è stato richiesto e conseguito.
Si realizzerebbe così una giurisdizione concorrente e non esclusiva del giudice amministrativo contrastante con l’art. 103 della Costituzione che consente deroghe alla clausola generale di riparto con attribuzione in via esclusiva del diritto soggettivo al giudice amministrativo e non attribuzione di giurisdizione in via concorrente con il giudice ordinario’.
Queste alcune tra le riflessioni svolte dal presidente del Consiglio di Stato, Alberto De Roberto, nel corso della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario a Palazzo Spada.
Si riportano di seguito i passi concernenti proprio il ruolo della Giustizia Amministrativa dopo la sentenza 204 del 2004.
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“Il nuovo confine assegnato alla giurisdizione amministrativa dalla giurisprudenza: la tutela dell’interesse pretensivo sostanziale.
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Si è venuto affermando dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – facendo leva su talune proposizioni della citata sentenza n. 204 della Corte Costituzionale – [6][7] un orientamento rivolto a riconoscere, quando l’interesse (pretensivo) sostanziale garantito dal provvedimento non riesca ad ottenere “fisiologica” soddisfazione con l’emanazione (o la tempestiva emanazione) dell’atto vantaggioso, la riparazione per equivalente della lesione sopportata per il mancato o tardivo conseguimento dell’utilitas attesa.
Il che conduce a riconoscere cittadinanza nel giudizio amministrativo (come è detto espressamente nella sentenza n. 7 del 2005 dell’Adunanza Plenaria) ad una più vigorosa figura di interesse legittimo (pretensivo) [8] al “bene della vita”, ignota al nostro ordinamento prima della storica svolta di cui alla sentenza n. 500 del 1999 della Corte di Cassazione: un interesse legittimo capace di manifestarsi come pretesa al conseguimento, innanzi al giudice amministrativo, della riparazione per equivalente (e, perciò, in chiave patrimoniale) [9] quando non possa essere conseguita tutela in forma specifica con l’emanazione (o la tempestiva emanazione) del provvedimento. [10]
La giurisdizione amministrativa in tema di giurisdizione esclusiva dopo la decisione n. 204 del 2004 della Corte Costitituzionale.
Anche per quel che concerne la giurisdizione esclusiva la giurisprudenza del giudice amministrativo non ha mancato di prendere posizione dopo la sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale con orientamenti interpretativi che almeno fino alla recentissima sentenza n. 1207 del 2006 della Cassazione (sulla quale avrò occasione di ritornare) si sono sviluppati in sostanziale sintonia con la giurisprudenza del giudice ordinario e del giudice regolatore della giurisdizione.
Il punto di partenza della linea interpretativa del giudice amministrativo (condivisa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 4 del 2005) è che la sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale cit. si sia proposta di ricondurre con la dichiarazione di illegittimità parziale degli articoli 33 e 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998 (nella formulazione di cui alla legge n. 205 del 2000), a legittimità costituzionale le dette norme che conferivano, nella originaria versione, al giudice amministrativo la potestà di conoscere di qualunque diritto soggettivo leso dall’amministrazione nelle aree dei servizi pubblici e dell’edilizia-urbanistica.
Con la pronuncia “amputatoria” della norma (art. 34 cit.) concernente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in area urbanistica-edilizia (la soppressione della parola “comportamenti” collocata all’interno dell’art. cit.) e l’intervento “manipolativo-surrogatorio” condotto sull’art. 33 in campo di servizi pubblici (una sostituzione normativa rivolta, anch’essa, a dar vita ad un precetto di più limitata estensione rispetto a quello originario della stessa norma) si è ottenuto dalla Corte Costituzionale di ricondurre a legalità costituzionale l’attribuzione al giudice amministrativo delle liti relative a diritti soggettivi nelle due aree ora ricordate.
Dopo la pronuncia del giudice delle leggi la giurisdizione amministrativa viene chiamata a conoscere di diritti soggettivi solo quando la loro lesione possa venir ricondotta alla pubblica amministrazione nella sua veste di autorità.
In conseguenza di questa nuova regola si è ritenuto ad esempio che la tutela dei diritti vantati dal gestore del servizio pubblico verso l’amministrazione o in area urbanistica ed edilizia, la tutela della proprietà, dei diritti reali, del possesso etc. di beni immobili posti nel territorio, possano essere garantiti dal giudice amministrativo solo in quanto il vulnus sopportato dai diritti predetti risulti riconducibile all’amministrazione-autorità (e, perciò, all’adozione di provvedimenti amministrativi).
Ai fini di stabilire quando possa intendersi realizzato il presupposto voluto dalla legge (la lesione del diritto soggettivo da parte del potere) la giurisprudenza ha, ovviamente, ritenuto di dover escludere che possa considerarsi realizzata tale situazione in quelle ipotesi nelle quali l’atto amministrativo, incidente sui diritti, comprima o estingua legittimamente le dette posizioni soggettive: e ciò in quanto l’atto legittimo (ed efficace) non lede diritti ma produce secundum legem i suoi effetti e il soggetto che ha visto limitare o estinguere il suo diritto soggettivo potrà pretendere dall’Amministrazione, se spettante, solo un indennizzo per atto lecito (innanzi al giudice ordinario).
Del pari si è escluso, mancando, in questa ipotesi, la esplicazione di qualunque potere, la riparabilità da parte del giudice amministrativo di lesioni riconducibili a meri comportamenti materiali dell’amministrazione, ad azioni amministrative macroscopicamente divergenti dalla fattispecie legale (atti inesistenti o ad atti nulli ipotesi queste ultime, in cui la lesione del diritto va ricondotta a “fatti” e non ad “atti” dell’amministrazione).
Su tali presupposti si è ritenuto che la lesione del diritto soggettivo provocata dal potere pubblico si lasci ravvisare solo quando un atto amministrativo incidente sui diritti abbia esplicato, per l’efficacia che gli inerisce, secundum legem i suoi effetti compressivi o estintivi e sopraggiunga poi in conseguenza dell’annullamento dell’atto o per altra causa (ad esempio dichiarazione di pubblica utilità non seguita nei termini dagli espropri previsti) la retroattiva caducazione dell’atto e degli effetti spiegati dal provvedimento restando in campo, così, sine titulo gli interventi provocati dal potere.
Il quadro or ora ricostruito non presentava fino a qualche giorno or sono momenti di rottura con la giurisprudenza del giudice regolatore della giurisdizione: anzi qualche decisione della Corte di Cassazione suscitava l’impressione che i due orientamenti marciavano nella stessa direzione.
Si pone, peraltro, in evidente contrasto con la lettura offerta fin qui dal giudice amministrativo, nelle aree di cui agli artt. 33 e 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998 (novellato dalla legge n. 205 del 2000 e ridisegnato dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale) una recentissima decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: la n. 1207 del 2006. [11] [12]
La citata sentenza afferma che anche del diritto leso dal potere avrebbe titolo a conoscere il giudice ordinario, giudice dei diritti soggettivi. Sarebbe solo accordata al giudice amministrativo la facoltà di scendere in campo quando la lesione del diritto sia da ricondurre ad un atto annullato (non quindi ad un atto divenuto inefficace solo ex lege in via retroattiva come ad esempio la dichiarazione di pubblica utilità non seguita dall’esproprio) e a condizione che la riparazione del diritto sia domandata dalla parte nello stesso processo nel quale l’annullamento è stato richiesto e conseguito.
Dandosi vita, così, ad un assetto che – in contrasto con la nostra giurisprudenza e con quella della Corte Costituzionale e il testuale tenore degli artt. 33 e 34 cit. che parlano ancora di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – realizza una giurisdizione concorrente e non esclusiva del giudice amministrativo.
Una giurisdizione concorrente non solo al di fuori di ogni nostra tradizione ma contrastante con lo stesso art. 103 della Costituzione che consente deroghe alla clausola generale di riparto con attribuzione in via esclusiva del diritto soggettivo al giudice amministrativo e non attribuzione di giurisdizione in via concorrente con il giudice ordinario.
Si aggiunga a tutto questo l’affermazione, sempre della Corte di Cassazione secondo cui ai fini dell’esercizio dell’azione innanzi al giudice amministrativo andrebbe utilizzato il giudizio di ottemperanza.
Sebbene tale statuizione possa, forse, non ritenersi vincolante per il giudice amministrativo (la Corte di Cassazione, come giudice regolatore della giurisdizione può definire solo i limiti esterni della potestas decidendi delle altre giurisdizioni e non le modalità processuali con le quali il contenzioso di queste ultime viene gestito) deve rilevarsi l’assoluta inadeguatezza di un processo, come quello di ottemperanza, a porsi quale congegno chiamato a garantire la tutela dei diritti compromessi dopo l’annullamento dell’atto amministrativo.
Ed invero l’ottemperanza (processo rivolto a consentire la realizzazione di obblighi che hanno ottenuto in sede di cognizione la loro puntuale definizione) si presenta come istituto che per l’incompletezza del contraddittorio, la sommarietà dei mezzi istruttori utilizzabili, la gestione in un unico grado, la posizione dominante riservata al commissario ad acta (figura di difficile decifrazione: organo amministrativo o longa manus del giudice?) mal si presta a divenire la sede per l’accertamento dell’an e del quantum del danno provocato al diritto dalla esplicazione del potere”.
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Consiglio di Stato, marzo 2006
presidente Alberto De Roberto
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NOTE:
[6] Il Consiglio di Stato è dunque – come ha ribadito anche la Corte costituzionale con la sentenza n.204 del 2004 cit. – in primo luogo giudice della funzione pubblica, un compito assolto con grande dignità e coraggio anche negli anni della dittatura fascista. E’ proprio in considerazione del ruolo che il Consiglio di Stato seppe assolvere anche in anni bui che la Costituzione volle la conservazione dell’Istituto nella sua strutturazione e nelle sue originarie attribuzioni.
[7] Si pensi a quella proposizione della sentenza della Corte in cui si afferma che si pongono non come materia ma come esplicazione della stessa situazione soggettiva le differenziate modalità di tutela (reintegrazione in forma specifica o per equivalente) con la quale la posizione individuale si manifesta.
[8] Il che può anche esprimersi prendendo atto dell’acquisizione al nostro ordinamento di una nuova una figura di interesse legittimo non più subalterna all’interesse pubblico perché capace di sopravvivere anche quando venga ad interrompersi l’anello che lega insieme interesse individuale e interesse pubblico e il primo di tali interessi non possa conseguire soddisfacimento insieme al parallelo interesse pubblico.
[9] La giurisprudenza della Cassazione non riconosce, per la verità, espressamente, che l’interesse legittimo riparato per equivalente resti ancora interesse legittimo: anzi se dovesse valorizzarsi qualche proposizione della sentenza n. 500 del 1999 della Cassazione dovrebbe pensarsi ad un contenzioso nel quale si configura come diritto soggettivo la pretesa al ristoro del danno patrimoniale. (Il diritto al ristoro per equivalente che prende vita dalle “ceneri” dell’interesse legittimo pretensivo non soddisfatto in forma specifica).
Non si mette in discussione, comunque, dalla Cassazione – almeno dopo la legge n. 205 del 2000 – che del diritto alla riparazione per equivalente sia unico giudice quello amministrativo (a titolo di giurisdizione esclusiva? O come giudice generale dell’interesse legittimo?).
[10] Si è peraltro esclusa la risarcibilità del ritardo nella pronuncia quando il bene della vita non venga riconosciuto al titolare dell’interesse pretensivo (v. sentenza n.7 del 2005 dell’Adunanza Plenaria).
[11] La decisione della Cassazione si riferisce solo alla materia dell’urbanistica e dell’edilizia (art. 34) ma il discorso, per la ratio che lo ispira, va esteso come relativo anche alla materia dei servizi pubblici regolati dall’art. 33.
[12] La Corte di Cassazione richiama nella sentenza n. 1207 del 2006 un brano della pronuncia della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 nel quale si afferma che non costituisce “materia” la previsione di ulteriori forme di tutela della posizione soggettiva rimessa al giudice amministrativo (tutela anche patrimoniale dell’interesse legittimo, tutela anche in via di reintegrazione del diritto soggettivo riparabile solo per equivalente quando la sua salvaguardia risultava attribuita al giudice ordinario). Viene anche richiamata l’enigmatica formula – collocata oggi nell’art. 35, quarto comma, della legge n. 205 del 2000 – nella quale si legge che il giudice amministrativo “nell’ambito della sua giurisdizione conosce di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.
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Il testo integrale della relazione del presidente Alberto De Roberto, pubblicata sul sito della Giustizia amministrativa (www.giustizia-amministrativa.it), è reperibile all’indirizzo http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione%5CRelazione_2006_9_3_06.htm#_ftnref7