La Corte dei Conti solleva la questione di legittimita’ costituzionale
delle norme in materia di definizione agevolata del giudizio d’appello su richiesta
della parte.
Si tratta delle norme introdotte dall’art.1 dell’ultima legge finanziaria, legge
23
dicembre
2005
n.
266
(“Legge
Finanziaria
2006”), ai commi 231, 232 e 233:
“231. Con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi
di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente
alla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti nei cui confronti
sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente
sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito
mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore
al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza.
232. La sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il
procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento,
determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno
quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento.
233. Il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di
deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di
appello”.
Di seguito, il testo dell’ordinanza di rimessione.
. . . . . .
Corte dei Conti
Sezione giurisdizionale d’Appello per la Regione Sicilia
Ordinanza n.19/2006/A del 11 aprile 2006
(presidente Cilia, estensore Cozzo)
(…)
Fatto
Con sentenza del Tribunale di Messina, sez. I^, n. 762/2001 in data 27 febbraio
2001, L. P., sottufficiale appartenente al Nucleo di Polizia tributaria della
G.d.F. di Messina, veniva condannato a 4 anni di reclusione per il reato di
concussione, pena poi ridotta a tre anni con sentenza n.899 emessa dalla Corte
d’Appello di Messina in data 30 giugno 2003, passata in giudicato. Il P.M.
contabile citava, pertanto, il predetto per il danno patrimoniale conseguente
alla mancata acquisizione di entrate tributarie per l’importo di £. 20.000.000
(euro 10.329,14), determinato in misura pari alla tangente dallo stesso percepita,
nonché per il danno arrecato all’immagine ed al prestigio del Corpo
della Guardia di finanza, determinando il relativo importo in £. 40.000.000
(euro 20.658,28), pari al doppio dell’importo della tangente stessa.
La sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana,
con la sentenza n. 1676/2005 del 19.5 – 1.7.2005, respinta l’eccezione
di prescrizione proposta dal convenuto, lo ha condannato al pagamento in favore
del Ministero dell’economia e delle finanze della somma di euro 10.329,14,
oltre rivalutazione monetaria della medesima, da calcolarsi secondo gli indici
ISTAT, dal 15 dicembre 2004, data di passaggio in giudicato della sentenza
penale di condanna, sino alla pubblicazione della sentenza ed agli interessi
legali sulle somme così rivalutate da quest’ultima data sino al soddisfo.
Avverso tale sentenza il sig. L. ha proposto appello, sostenendo la prescrizione
e l’infondatezza dell’azione di responsabilità amministrativa.
Il P.M., nelle sue conclusioni, ha chiesto il rigetto dell’appello.
Con istanza depositata il 21.2.2006 l’appellante ha chiesto che, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 231, l. 23 .12.2005, n. 266,
la somma dovuta per la definizione del procedimento di appello sia determinata
in una somma non inferiore al 10% e non superiore al 20% del danno quantificato
nella sentenza impugnata. Il P.M., con atto depositato il 17.2.2006, ha chiesto
che tale istanza non sia accolta in considerazione della particolare gravità dell’addebito.
Nella camera di consiglio del 21.3.2006 le parti hanno confermato le rispettive
posizioni.
Diritto
L’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, intervenuta nel corso
del processo di appello promosso da L. P. per la riforma della sentenza della
sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana n. 1676/2005
del 19.5 – 1.7.2005, ha previsto un sistema di regole secondo cui: con
riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilità dinanzi
alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata
in vigore della presente legge, i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata
sentenza di condanna possano chiedere alla competente sezione di appello, in
sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento
di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento
del danno quantificato nella sentenza (comma 231); la sezione di appello, con
decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera
in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta
in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza
di primo grado, stabilendo il termine per il versamento (comma 232); il giudizio
di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta
di versamento presso la segreteria della sezione di appello (comma 233). Tali
disposizioni, in sostanza, introducono nella fase dell’appello un procedimento
camerale diretto alla definizione agevolata del giudizio di responsabilità amministrativa.
La sezione dubita della legittimità costituzionale di un simile sistema
di regole, applicabili nella specie poiché il mutamento di diritto sostanziale è avvenuto
prima dell’accertamento definitivo della responsabilità dei soggetti
intimati, in relazione agli artt. 3, 97, 101 e 103 Cost.
Dalla giurisprudenza costituzionale (sentt. nn. 68 del 1971, 63 del 1973 e
1032 del 1988) sembra desumersi che la concreta garanzia dei principi costituzionali
di eguaglianza, del buon andamento e del controllo contabile, i quali ultimi
sono legati dal comune fine di assicurare l’efficienza e la regolarità della
gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici, sia sostanzialmente
affidata alla legge ordinaria. Sono riservate, infatti, al discrezionale apprezzamento
del legislatore non solo la determinazione e la graduazione dei tipi e dei
limiti di responsabilità che, in relazione alle varie categorie di dipendenti
pubblici o alle particolari situazioni regolate, appaiano come le forme più idonee
a garantire l’attuazione dei predetti principi costituzionali (sent. n. 411
del 1988; ord. n. 549 del 1988, nonché, in relazione all’art. 28 Cost.,
le sentt. nn. 2 del 1968, 123 del 1972, 164 del 1982, 26 del 1987), ma anche
la possibilità di stabilire un limite patrimoniale della responsabilità amministrativa
(sent. n. 340 del 2001). Ciò significa in ultima analisi, per un verso,
che, ancorché non sia possibile trarre dall’ordinamento (artt.
97 e 103, secondo comma, Cost.) un principio di inderogabilità delle
comuni regole della responsabilità, si può, tuttavia, da esso
ricavare la regola secondo la quale la discrezionalità del legislatore,
per essere correttamente esercitata, deve determinare e graduare i tipi e i
limiti della responsabilità, caso per caso, in riferimento alle diverse
categorie di dipendenti pubblici ovvero alle particolari situazioni, stabilendo,
per ciascuna di esse, le forme più idonee a garantire i principi del
buon andamento e del controllo contabile (sent. n. 371 del 1998) e, per l’altro,
che, in sede di giudizio di legittimità costituzionale, le leggi disciplinanti
la responsabilità dei pubblici dipendenti sono sindacabili, in riferimento
ai parametri invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina
adottata e delle differenziazioni introdotte (art. 3 Cost.).
Pur non potendosi negare, dunque, in linea di principio la possibilità di
un intervento legislativo del tipo di quello esaminato, è, tuttavia,
pur sempre necessario che esso sia, anzitutto, strettamente collegato alle
specifiche peculiarità del caso, tali da escludere che possa risultare
arbitraria la sostituzione della disciplina generale – originariamente applicabile
– con quella eccezionale successivamente emanata, tanto sotto il profilo del
rispetto del principio costituzionale di parità di trattamento, quanto
sotto il profilo della tutela del buon andamento e della salvaguardia da indebite
interferenze dell’esercizio della funzione giurisdizionale.
Sennonché,
nella specie le previsioni normative denunciate di incostituzionalità sono
caratterizzate da una indeterminatezza assoluta sullo scopo perseguito dal
legislatore, tale da precludere definitivamente la ricerca di una qualsiasi
ratio normativa che non sia quella della limitazione patrimoniale del risarcimento
per se stessa; pertanto, esse, connotandosi unicamente come effetto premiale
ingiustificato, si palesano come una negazione illogica e ingiustificata dei
principi del buon andamento e del controllo contabile, che non può certamente
rappresentare un termine di comparazione con gli altri valori coinvolti ai
fini della verifica del rispetto dei principi di eguaglianza e di buon andamento.
Le previsioni in questione appaiono viziate in relazione ai parametri costituzionali
indicati anche per altro aspetto. Infatti, nel sistema positivo vigente l’attenuazione
della responsabilità amministrativa, nei singoli casi, è rimessa
al potere riduttivo sul quantum affidato al giudice, che può anche tenere
conto delle capacità economiche del soggetto responsabile, oltre che
del comportamento, al livello della responsabilità e del danno effettivamente
cagionato. In contrasto con questi principi dell’ordinamento ed assolutamente
irragionevole è, pertanto, una riduzione predeterminata e pressoché automatica
della responsabilità amministrativa e della misura del risarcimento,
senza che possa soccorrere una valutazione sull’incidenza del comportamento
complessivo e sulle funzioni effettivamente svolte nella produzione del danno,
in occasione della prestazione che ha dato luogo alla responsabilità (cfr.
Corte cost. sent. n. 340 del 2001).
Ugualmente incostituzionale appare, infine, l’affidamento al giudice
contabile di un potere discrezionale illimitato nella individuazione delle
ragioni da porre a fondamento dell’accoglimento della domanda di riduzione
dell’addebito e della concreta determinazione della misura del risarcimento,
avendo il legislatore indicato solo i limiti quantitativi di tale potere fra
un minimo e un massimo risultanti dalla norma, senza fissare i criteri direttivi
ai quali il giudice stesso debba attenersi. Le norme in esame, infatti, oltre
a porsi in diretto contrasto con i principi di cui gli artt. 3, 97 e 103 Cost.,
essendo dirette ad introdurre una disciplina limitativa in forma generalizzata
della responsabilità amministrativa con riferimento indiscriminato a
tutti i pubblici dipendenti e a tutte le possibili situazioni, confliggono
con il principio secondo cui il giudice è soggetto alla legge (art.
101 Cost.), con grave vulnus del principio di separazione del potere legislativo
dal potere giudiziario.
La questione di legittimità costituzionale, non superabile in via interpretativa, è rilevante.
Qualora, infatti, le norme denunciate venissero dichiarate incostituzionali
non potrebbero più essere applicate nel presente giudizio che proseguirebbe
secondo il rito ordinario.
P.Q.M
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la regione
siciliana
Dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 231, 232 e 233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266,
in relazione agli artt. 3, 97, 101 e 103 Cost.
Ordina l’immediata trasmissione degli atti, a cura della segreteria, alla
Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente il processo sino all’esito
del giudizio incidentale di costituzionalità.
Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata
al presidente del Consiglio dei ministri e alle parti, e sia comunicata ai
presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Così provveduto
in Palermo, nella camera di consiglio del 21 marzo 2006. Depositata oggi in
segreteria nei modi di legge. Palermo,11 aprile 2006.