Presentato al Senato il disegno di legge di riforma del processo del lavoro. Sono
ormai passati più di trent’anni dalla fondamentale legge 11 agosto 1973 n. 533
sul
processo
del lavoro, approvata all’indomani dello Statuto dei lavoratori, introdotto
nell’ordinamento con
legge
20
maggio
1970
n. 300.
E’ tempo di intervenire sul processo del lavoro, con “l’intenzione
-si legge nella relazione introduttiva-
di garantire
celerità e certezza alla soluzione delle controversie che riguardano i
licenziamenti e i trasferimenti, e con l’obiettivo altresì di risolvere
questioni che riguardano il processo previdenziale, in particolare con riferimento
agli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e alle controversie
in serie. Inoltre, si predispone una riforma complessiva delle tecniche normative
di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo
sulla conciliazione, sull’arbitrato, sulla formazione di conciliatori e
di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie”.
Di seguito, si riporta la relazione
di accompagnamento al disegno di legge e l’articolato normativo che è in discussione
al Senato.
. . . . . . . .
Disegno di legge n. 1047/AS
Riforma del processo del lavoro
d’iniziativa del senatori Salvi, Treu, Roilo, Adragna, Bobba, Di Siena,
Livi Bacci, Mercatali, Mongiello, Casson, D’Ambrosio, Magistrelli, Manzione
e Rubinato (comunicato alla Presidenza il 28 settembre 2006)
1.
La relazione introduttiva
Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge affronta e propone
una riforma del processo del lavoro con l’intenzione di garantire celerità e
certezza alla soluzione delle controversie che riguardano i licenziamenti e
i trasferimenti, e con l’obiettivo altresì di risolvere questioni
che riguardano il processo previdenziale, in particolare con riferimento agli
accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e alle controversie
in serie. Inoltre, si predispone una riforma complessiva delle tecniche normative
di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo
sulla conciliazione, sull’arbitrato, sulla formazione di conciliatori
e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie.
Il disegno di legge adotta una prospettiva di continuità evolutiva
rispetto alla legge 20 maggio 1970, n. 300, recante lo Statuto dei lavoratori,
e alla legge 11 agosto 1973, n. 533, in materia di riforma del processo del
lavoro.
L’articolato si ispira e recepisce larga parte dell’analisi e delle
proposte già formulate, durante la XIII Legislatura, dalla Commissione
per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro, presieduta
da Raffaele Foglia, costituita con decreto del Ministro della giustizia del
24 luglio 2000. Per altro verso, il testo trae riferimenti, a livello comunitario,
alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, firmata a Nizza
il 7 dicembre 2000, che ha reso più visibile il valore fondamentale
della tutela contro ogni licenziamento ingiustificato (articolo 30).
Al pari degli altri settori della giustizia, per i quali importanti modifiche
sono state recentemente introdotte, il contenzioso del lavoro attraversa, non
da poco, una crisi determinata essenzialmente dal progressivo allungamento
dei tempi di definizione dei processi, crisi ancor più evidente per
la peculiarità del rito introdotto dal legislatore del 1973, informato
a princìpi di oralità e celerità che oggi stentano a trovare
effettività.
L’urgenza del recupero di funzionalità del processo del lavoro
suggerisce, pertanto, un intervento normativo con riferimento alle controversie
che trattano i momenti più delicati e patologici del rapporto di lavoro.
Il bilanciamento degli opposti interessi – del lavoratore alla conservazione
del posto, del datore di lavoro all’organizzazione del lavoro – consiglia,
nella specie, di ridisegnare la tutela reintegratoria contro il licenziamento
ingiustificato nelle forme di un’azione tipica urgente a cognizione sommaria,
sì da imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.
La riforma intende garantire celerità al giudizio, mediante una procedura
d’urgenza, con la conseguenza di escludere queste controversie dalla
procedura preventiva obbligatoria di conciliazione.
Non si intende peraltro escludere totalmente queste controversie dalla conciliazione
e dall’arbitrato, sia perché è da ritenere che anche le
controversie per licenziamento possano utilmente trovare soluzione in sede
conciliativa o arbitrale, sia perché non si può dimenticare che,
pur restando nell’area dell’accesso volontario alla giustizia «alternativa»,
esiste già nell’ordinamento una procedura conciliativa ed arbitrale
applicabile: quella prevista per le sanzioni disciplinari (articolo 7 della
legge 20 maggio 1970, n. 300), che potrebbe essere migliorata e implementata.
Nel disegno di legge è, pertanto, collegata l’introduzione di
una specifica procedura d’urgenza giudiziale e la promozione della procedura
conciliativo-arbitrale prevista per le sanzioni disciplinari, con un collegio
che opera presso la direzione provinciale del lavoro o con un collegio espressamente
previsto dal contratto collettivo.
Per quanto riguarda il licenziamento disciplinare (per giusta causa e per giustificato
motivo soggettivo) è ormai indubitabile la sua qualificazione come sanzione
rientrante nella tipologia prevista nell’articolo 7 dello Statuto dei
lavoratori di cui alla citata legge n. 300 del 1970. Questo anche nel settore
del lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, ad opera della contrattazione
collettiva di comparto. Ciò vale anche sotto il profilo delle conseguenze
in caso di mancato rispetto delle garanzie procedimentali poste all’articolo
7 dello Statuto dei lavoratori (illegittimità e non nullità;
con conseguente applicazione della tutela reale o della tutela obbligatoria
a seconda del campo di applicazione).
La scelta è quella di rafforzare il canale costituito dal ricorso al
collegio di conciliazione ed arbitrato dell’articolo 7 dello Statuto
dei lavoratori, escludendo però qualsiasi altra applicazione di procedure
di conciliazione e/o di arbitrato (tranne quelle eventualmente introdotte dalla
contrattazione collettiva):
. sempre mantenendolo quale alternativa volontaria
al ricorso alla giustizia ordinaria, chiarendo alcuni passaggi interpretativi,
. introducendo
o migliorando alcuni elementi a carattere promozionale.
Già nella formulazione attuale del citato articolo 7 dello Statuto
dei lavoratori è rinvenibile il favore dell’ordinamento per la
procedura conciliativo-arbitrale, collegandovi vantaggi quali: la perdita di
efficacia del provvedimento disciplinare qualora il datore di lavoro non provveda
a nominare il proprio rappresentante e, soprattutto, la sospensione della sanzione
(sospensione cautelare in caso di licenziamento per giusta causa), con permanenza
di questo effetto anche nel caso in cui il datore di lavoro opti per l’accertamento
in via giudiziale. Si consideri che la specialità che già ora è riconosciuta
alla disciplina procedimentale del citato articolo 7 consente di separare questa
fattispecie dalla regolamentazione generale in materia di conciliazione ed
arbitrato.
La procedura di conciliazione ed arbitrato, così come prevista dal
citato articolo 7 con i correttivi in chiave promozionale sopra visti, viene
affiancata da una speciale procedura d’urgenza, che si estende anche
a risolvere alcuni nodi interpretativi in materia di risarcimento del danno
e di ripetibilità o meno delle somme percepite dal lavoratore, escludendo
l’obbligo di conciliazione preventiva.
In particolare, è prevista una procedura d’urgenza nelle vesti
di un’azione sommaria, basata su un’ordinanza, reclamabile in appello,
affiancata da una misura coercitiva forte che interviene in materia di risarcimento
del danno. Passaggio decisivo è quello della irripetibilità delle
somme, somme che corrispondono alla retribuzione versata nel periodo intercorso
tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma dichiarativa della
legittimità del licenziamento.
La tutela reintegratoria contro il licenziamento ingiustificato è ridisegnata
nelle forme di un’azione tipica urgente a cognizione sommaria, sì da
imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.
La procedura d’urgenza si applica sia nell’ambito della tutela
reale sia in quello della tutela obbligatoria; sia ai datori di lavoro privati
sia alle pubbliche amministrazioni. Contemporaneamente si chiarisce la questione
del regime da applicare in caso di nullità del licenziamento, con riconduzione
di tutte le ipotesi nell’ambito della tutela reale. Attualmente, infatti,
si tende a ritenere che in alcune ipotesi di licenziamento nullo si applichino
i princìpi civilistici ordinari e non, quindi, la tutela reale.
Un altro aspetto qualificante della riforma proposta è costituito dall’estensione
della procedura d’urgenza anche al campo dei rapporti di collaborazione
di cui all’articolo 409, primo comma, numero 3), del codice di procedura
civile e al lavoro a progetto, di cui all’articolo 61 e seguenti del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, con riferimento ai casi di recesso
del committente senza giusta causa ovvero secondo causali o con modalità (incluso
il preavviso) diverse da quelle stabilite dalle parti nel contratto di lavoro
individuale.
La procedura d’urgenza è inoltre estesa all’accertamento
della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro, alle controversie
in materia di trasferimenti, di cui all’articolo 2103 del codice civile,
e alle controversie individuali in materia di trasferimento d’azienda
o di suo ramo, di cui all’articolo 2112 del codice civile. Per queste
ultime ipotesi (termine, trasferimento, licenziamento non disciplinare) è confermata
l’esclusione dell’obbligo di qualsiasi procedura conciliativa,
ma nel contempo senza accesso a quella prevista dal citato articolo 7.
Il termine per l’impugnazione, a pena di decadenza, è di centoventi
giorni. Questo termine viene espressamente previsto anche in caso di nullità del
licenziamento. La competenza è del tribunale e l’ordinanza diventa
irrevocabile in mancanza di reclamo in appello. Successivamente si passa al
giudizio di legittimità in Cassazione.
Elemento qualificante della disciplina proposta è la predisposizione
di una misura coercitiva di carattere pecuniario che preveda il destino delle
somme corrisposte o da corrispondere al lavoratore, ad esempio nel periodo
che intercorre tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma.
Altro passaggio decisivo è la previsione che il giudice tratti con priorità tali
cause. È evidente però che si deve contemporaneamente passare
a individuare strumenti di deflazione del carico lavorativo dei giudici, completando
la riforma con quella della conciliazione e dell’arbitrato.
Nel capo II è previsto un intervento destinato a risolvere alcune questioni
che riguardano il processo previdenziale, in particolare con riferimento agli
accertamenti sanitari e alle controversie in serie.
Nel capo III è predisposta una riforma complessiva delle tecniche normative
di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo
sulla conciliazione, sull’arbitrato, sulla formazione di conciliatori
e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie.
Nel settore delle controversie di lavoro, conciliazione e arbitrato non hanno
mai registrato quella diffusione ed adesione auspicabile fin dalla riforma
introdotta dal legislatore del 1973, al fine di alleggerire il carico di lavoro
dei magistrati addetti alla trattazione delle controversie di lavoro e, al
contempo, di offrire, in un processo fortemente caratterizzato da una parte
debole, strumenti efficaci e veloci di risoluzione delle controversie.
Siffatta aporia, seguita all’intervento riformatore del legislatore del
1973, diventava vera e propria diffidenza ove gli strumenti alternativi di
risoluzione delle controversie si misuravano con il contenzioso del lavoro
pubblico, nei confronti del quale resisteva, tenacemente, la convinzione di
una sorta di incompatibilità tra controversie di competenza del giudice
amministrativo e composizione negoziale come alternativa alla tutela giurisdizionale
dei diritti del lavoratore. La riforma introdotta con i decreti legislativi
31 marzo 1998, n. 80, e 29 ottobre 1998, n. 387, preordinata, in primis, a
deflazionare e semplificare l’enorme contenzioso del lavoro, regolamentando
il circuito alternativo e parallelo a quello ordinario di giustizia, ha, invece,
rilanciato gli istituti della conciliazione e dell’arbitrato, partendo
proprio dal settore pubblico, aggiungendo alla conciliazione, relegata a strumento
occasionale e marginale dal legislatore del 1973, il predicato dell’obbligatorietà.
L’esperienza sin qui maturata nel settore pubblico induce a pervenire
ad un complessivo giudizio di favore verso lo strumento conciliativo, consolidatosi
anche nel confronto con le esperienze comparatistiche, specie in ambito comunitario,
in cui le alternative dispute resolutions (ADR) costituiscono un’esperienza
molto diffusa nella giustizia civile. Può dunque affermarsi che:
.
un numero
percentualmente irrisorio di domande si è riversato dalla
sede precontenziosa alla sede giudiziale;
.
raramente l’ente pubblico diserta la seduta così consentendo
un utile approfondimento dei termini della controversia;
. l’eventuale esperimento negativo della conciliazione va di norma riconnesso
alla peculiarità della questione sostanziale via via controversa e alla
complessità delle problematiche organizzative e gestionali sottese alle
questioni controverse.
Tali dati confortanti, unitamente ad un’oggettiva riflessione sull’insuccesso
del modello vigente per il lavoro privato – per la scarsa impegnatività dello
strumento, l’assoluta carenza di incentivi positivi e negativi per le
parti in lite e per il ceto tecnico-forense – hanno indotto a introdurre
nel disegno di legge un meccanismo che miri a fare della fase conciliativa
una fase precontenziosa, a giudizio formalmente già iniziato.
Il meccanismo disegnato conserva l’obbligatorietà del tentativo
di conciliazione giacché esso tende a soddisfare l’interesse generale
sotto un duplice profilo: evitando, da un lato, che l’aumento delle controversie
attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico
dell’apparato giudiziario, ostacolandone il funzionamento; favorendo,
dall’altro, la composizione preventiva delle liti e assicurando alle
posizioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello
conseguibile attraverso il processo (vedi la sentenza della Corte costituzionale
n. 276 del 6 luglio 2000).
Sulla base delle prime esperienze applicative del nuovo articolo 412-bis del
codice di rito e alla luce delle più recenti indicazioni della Corte
costituzionale, è apparso opportuno esplicitare l’esclusione dell’obbligo
di conciliazione, ratione materiae, per le controversie previdenziali (nelle
quali gli spazi di disponibilità sono ristretti in considerazione del
regime pubblicistico che le caratterizza), per i procedimenti sommari o d’urgenza
(per i quali la tutela del diritto azionato è tanto più efficace
quanto più è tempestivo l’intervento giudiziale), ivi comprese
le controversie in materia di trasferimenti e licenziamenti che, secondo quanto
previsto nel capo I, sono assoggettate ad una procedura sommaria tipica, per
le cause relative ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni
cosiddette privatizzate (per le considerazioni innanzi esposte).
Con riferimento agli arbitrati si propone di connotare l’istituto in
guisa tale da filtrare, in termini selettivi, il ricorso alla giustizia del
lavoro al fine di consentire, a quest’ultima, di intervenire nelle controversie
di maggiore rango con la dovuta professionalità e tempestività,
e da costituire una reale attrattiva per la celerità e stabilità del
ricorso all’arbitrato.
Ma soprattutto si ritiene necessaria una formazione completa e specialistica
della figura dell’arbitro (oltre che dei conciliatori), evitando di limitarsi
a un semplice trasferimento di sede della soluzione della controversia. L’arbitro
non può essere una figura analoga o derivata da quella del giudice e,
in ogni caso, anche le figure professionalmente più complete sotto il
profilo della conoscenza del dato giuridico vanno formate per i profili tipici
che devono essere posseduti da un arbitro.
È , pertanto, previsto il superamento della riforma introdotta nel 1998,
che non si è rivelata efficiente, essendosi spesso tradotta in un mero
allungamento dei tempi del giudizio.
L’obiettivo è quello di mantenere ferme:
.
sia le esigenze di mantenimento
di garanzie: vincolo del rispetto delle norme inderogabili di legge e di contratto
collettivo, con conseguente impugnabilità del
lodo;
. sia quelle di celerità della soluzione.
La nuova proposta prevede l’inserimento della conciliazione all’interno
del giudizio: la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore
da questi appositamente designato tra quelli iscritti in apposito albo, una
volta che la controversia sia conosciuta in tutti i suoi risvolti.
La conservazione della concorrente disciplina arbitrale, espressione dell’autonomia
negoziale collettiva, è volta a favorire un sistema integrato dell’arbitrato
nelle controversie di lavoro che si avvalga dell’apporto di importanti
accordi già perfezionati, o in itinere, taluni con disposizioni peculiari,
qual è la soluzione adottata, fra gli altri, dall’accordo che
consente di pervenire, nella medesima sede, ad un’interpretazione autentica
sull’efficacia e validità di una clausola del contratto collettivo
nazionale, introducendo, così, un efficace strumento di prevenzione
delle controversie seriali. Peraltro le divergenze che, nei vari accordi, emergono
in ordine all’ambito di impugnabilità dei lodi vengono risolte,
con l’articolato proposto, riconducendo ad unità il regime delle
impugnazioni sicché anche per l’arbitrato previsto dalla contrattazione
collettiva si applica il regime di impugnazione introdotto con la novella,
id est l’impugnabilità, per qualsiasi vizio, davanti alla Corte
d’appello.
In definitiva, si riconosce che, anche in ragione del quadro normativo vigente,
l’avvio della funzione arbitrale necessiti tuttora di essere accompagnato
dallo sviluppo di un’efficace funzione conciliativa che, se ben attuata,
potrebbe produrre effetti deflattivi importanti in materia di contenzioso di
lavoro. È noto infatti che attualmente la funzione, in ragione delle
storiche carenze organizzative delle strutture pubbliche preposte al suo svolgimento,
si riduce spesso ad un mero momento formale, nel corso del quale difficilmente
le parti sono stimolate al raggiungimento di una conciliazione.
Per valorizzare questa funzione, si ritiene dunque necessaria la costituzione
di una struttura composta da professionalità specifiche in grado di
proporre alle parti convincenti soluzioni conciliative, basate sul probabile
esito delle controversie e adeguate alle richieste delle stesse.
Allo stesso modo, si prevede che anche 1’avvio e la diffusione dell’attività arbitrale
non possano prescindere dall’utilizzo di professionalità specifiche,
in quanto la validità e la correttezza delle decisioni costituiscono
momenti decisivi per conferire autorevolezza alla camera arbitrale e per ingenerare
nei suoi confronti un clima di affidamento e fiducia.
Passando più direttamente al dettaglio dell’articolato, nel
capo I sono proposti:
1) aggiustamenti sostanziali funzionali ad un più spedito iter processuale;
2)
modifiche di natura procedurale;
3) interventi di natura ordinamentale.
La disciplina proposta si applica a tutte le ipotesi di licenziamento, nell’ambito
sia della tutela obbligatoria che reale, anche con riferimento alle ipotesi
di previo accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto ovvero
della legittimità del termine apposto al contratto. L’intervento
normativo si estende, inoltre, con opportuni adattamenti, alle controversie
in materia di trasferimenti di cui agli articoli 2103 e 2112 del codice civile.
L’intervento normativo si estende, altresì, al recesso del committente
nei contratti a progetto.
Sono stati inclusi nel campo di applicazione della proposta normativa i datori
di lavoro pubblico cosiddetti privatizzati, al fine di assecondare gli intenti
legislativi volti alla tendenziale uniformità della disciplina del settore
pubblico e di quello privato non differenziando, così, gli strumenti
processuali.
Il procedimento si svolge con una cognizione libera da formalità, in
contraddittorio delle parti, e si conclude con la conoscenza tendenzialmente
completa delle questioni, di fatto e di diritto, controverse (articolo 2).
La tipicità dell’azione prevede lo strumento del mutamento del
rito, anche in considerazione della peculiare connotazione del termine di impugnativa
del licenziamento: il giudice provvederà a disporre la regolarizzazione
dell’atto introduttivo nelle forme di cui al comma 3 dell’articolo
2 quando la domanda sia stata proposta irritualmente (se proposta ai sensi
degli articoli 414 e seguenti del codice di rito dispone procedersi con forma
sommaria, se proposta erroneamente con forma sommaria, dispone la regolarizzazione
a norma degli stessi articoli).
Quanto all’onere della prova, con riferimento al numero dei dipendenti
occupati in azienda ed ai motivi che hanno determinato il provvedimento espulsivo,
in linea con l’orientamento giurisprudenziale più recente della
Corte di Cassazione (da ultimo, sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, 10
gennaio 2006, n. 141), si prevede espressamente che esso gravi sul datore di
lavoro (articolo 2, comma 5), con ciò eliminando il margine interpretativo
fino ad oggi lasciato dalla legislazione vigente. Porre a carico del datore
l’onere della prova circa il cosiddetto «requisito dimensionale» corrisponde
alla necessità di garantire in concreto l’effettività – non
rendendone troppo difficile l’esercizio – del diritto alla reintegra
da parte del lavoratore. Quest’ultimo, infatti, a differenza del datore
di lavoro, è evidentemente privo della «disponibilità» dei
fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa.
Altro elemento qualificante dell’azione sommaria disegnata dal progetto
di riforma è l’idoneità dell’ordinanza a divenire
irrevocabile in mancanza di reclamo. L’azione tipica introdotta è peculiare anche quanto al regime
delle impugnazioni: l’ordinanza emessa dal tribunale, in funzione di
giudice del lavoro, è reclamabile alla sezione lavoro della Corte d’appello
(articolo 3).
A garanzia dell’attuazione effettiva del capo del provvedimento (ordinanza
o sentenza) di condanna alla reintegra, è prevista una forte misura
coercitiva di carattere pecuniario, individuata sul modello francese delle
astreintes, connotata dalla irripetibilità delle somme (corrisposte
o da corrispondere) in caso di successiva sentenza (di primo grado o d’appello)
dichiarativa della legittimità del licenziamento. Per evitare ingiustificati
arricchimenti del lavoratore, in caso di successiva sentenza dichiarativa della
legittimità del licenziamento, il lavoratore può trattenere solo
una somma corrispondente alla retribuzione per il periodo intercorso tra il
provvedimento di condanna e la sentenza di riforma, mentre le ulteriori somme
percepite o percipiende sono devolute ad un fondo speciale. La riforma del
provvedimento dichiarativo dell’illegittimità del trasferimento
comporta, invece, un obbligo di restituzione delle somme già percepite
(articolo 4).
Per attuare l’astreinte è data al lavoratore la procedura cautelare
dell’articolo 669-sexies e seguenti del codice di procedura civile, con
la quale richiedere al giudice, dell’ordinanza o della sentenza di reintegra,
la liquidazione delle somme dovute per i giorni di ritardo (articolo 4, comma
2). La relativa ordinanza è immediatamente eseguibile e reclamabile o al
collegio del tribunale o al collegio di appello, a seconda del provvedimento
reclamato.
La caratteristica urgente e sommaria del procedimento porta alla eliminazione
del tentativo di conciliazione e della relativa procedura extra giudiziale,
essendo questa in contrasto con i tempi ristretti della novella (articolo 6).
La modifica della normativa sostanziale concerne esclusivamente la decadenza,
nel quando e nel quomodo, dell’impugnativa del licenziamento: il termine,
innalzato a centoventi giorni, diventa anche termine di decadenza dall’azione
giudiziale (articolo 7). Il medesimo termine, salvo diversa indicazione, si
applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso, di
licenziamento inefficace di cui all’articolo 2 della legge 15 luglio
1966, n. 604, nonché agli altri casi disciplinati nel medesimo capo
(articolo 7, commi 2 e 3). Nel medesimo contesto è affrontata la questione
dell’estinzione del rapporto di lavoro per licenziamento orale, quando
essa sia attribuita in giudizio, dal datore di lavoro, a dimissioni orali del
lavoratore. A questo proposito si prevede che eventuali dimissioni in forma
orale non possano essere fatte valere dal datore di lavoro quali causa di estinzione
del rapporto di lavoro, a meno che egli abbia provveduto a richiedere, entro
il termine di due giorni dalle stesse e con atto scritto di data certa, conferma
delle dimissioni del lavoratore (articolo 7, comma 4).
Sul piano ordinamentale si prevede, per rafforzare la celerità dell’azione,
che il giudice tratti con priorità tali cause (articolo 8). Per altro
verso, il provvedimento intende risolvere anche la controversa questione della
riconduzione del licenziamento nullo per causa di maternità o
di paternità nell’ambito del licenziamento discriminatorio. A
tal fine, è proposta una riformulazione dell’articolo 3 della
legge n. 108 del 1990, che individui espressamente tutte le fattispecie di
licenziamento discriminatorio rinvenibili nell’ordinamento (articolo
9).
La sottrazione dall’obbligo di conciliazione non impedisce, anzi richiede
una valorizzazione della volontarietà del ricorso alla procedura di
conciliazione ed arbitrato già prevista dall’articolo 7 dello
statuto dei lavoratori (articolo 10).
Rispetto alla situazione data, si interviene:
.
vincolando con più determinazione il datore di lavoro alla sospensione
della sanzione e, quindi, a non eseguire la sanzione del licenziamento prima
dei venti giorni di tempo a disposizione del lavoratore per l’impugnazione
in sede di collegio di conciliazione ed arbitrato. È questo l’effetto
che rende conveniente il ricorso a questa procedura;
.
prevedendo vincoli di attività,
se non un vero e proprio termine per la pronuncia da parte del collegio, e
le relative conseguenze;
precisando il regime di impugnazione del lodo, vincolando al rispetto delle
disposizioni inderogabili di legge e di contratto collettivo, oltre ai vizi
del consenso, incapacità e vizi di eccesso di mandato;
. intervenendo sul costo economico della costituzione del collegio e sulla
riduzione degli oneri dovuti sulle somme acquisite dal lavoratore.
Il capo I si chiude con la previsione della istituzione di un fondo destinato
a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto di decisioni
che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del
licenziamento.
Il capo II prevede l’inserimento nel codice di procedura civile di
due nuovi articoli, rispettivamente dedicati a fornire certezza e celerità nell’ambito
degli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e assistenziali
obbligatorie e alle cosiddette controversie in serie o seriali (articolo 12).
Il capo III adotta, per quanto riguarda la conciliazione, una soluzione che
contempla:
.
la revisione dell’obbligo del tentativo di conciliazione, da cui sono
escluse le controversie previdenziali, le controversie che ricevono trattazione
sommaria o d’urgenza, le controversie nell’ambito del lavoro pubblico
(articolo 13, secondo capoverso);
.
la previsione di una fase conciliativa quale
fase precontenziosa a giudizio già iniziato (conciliazione endogiudiziale);
. l’ammissione della difesa tecnica, che è coinvolta nella fase
precontenziosa;
. la previsione secondo cui l’ingiustificata assenza del ricorrente o
di entrambe le parti all’udienza fissata per la conciliazione comporta
l’estinzione
del processo, mentre l’assenza della parte convenuta può dar luogo
all’emanazione di un’ordinanza provvisoria di pagamento totale
o parziale delle somme domandate o a provvedimenti anticipatori della decisione
di merito (articolo 15);
. il tentativo di conciliazione ad opera del giudice o del conciliatore appositamente
designato tra quelli iscritti in apposito albo;
. nei casi in cui la conciliazione è raggiunta, la previsione secondo
cui il relativo processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo con
decreto del giudice (articolo 14, quarto capoverso);
. nei casi in cui la conciliazione non è raggiunta, la redazione del
verbale con l’indicazione succinta delle ipotesi di soluzione della controversia
allo stato degli atti (articolo 15, quarto capoverso);
. in qualunque fase della conciliazione, ovvero in caso di esito negativo della
conciliazione, la possibilità per le parti di affidare allo stesso conciliatore
la decisione di risolvere in via arbitrale la controversia.
La proposta si fonda, quanto alla disciplina dell’arbitrato, sui seguenti
princìpi-base:
. la possibilità di affidare il mandato in via arbitrale allo stesso
conciliatore in ogni fase del tentativo di conciliazione (articolo 16, primo
capoverso);
. la
possibilità di ricorso all’arbitrato dopo il fallimento del
tentativo di conciliazione;
. la necessità che la richiesta di deferimento ad arbitri risulti da
atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine entro il quale
l’arbitro
dovrà pronunciarsi, ed i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti
all’arbitro (articolo 16, secondo capoverso);
. l’obbligo per l’arbitro del rispetto delle norme inderogabili
di legge e del contratto collettivo (articolo 16, terzo capoverso);
. l’impugnabilità del lodo, per qualsiasi vizio, davanti alla
Corte d’appello (articolo 17, comma 1);
. l’esecutività del lodo nonostante l’impugnazione (articolo
17, primo capoverso);
. il mantenimento della concorrente disciplina arbitrale eventualmente prevista
da accordi o contratti collettivi (articolo 18).
Va, inoltre, rimarcato che l’autorevolezza del conciliatore deriverà dalla
sua nomina da parte del giudice, attingendo ad un albo dei conciliatori cui
possono iscriversi esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal presidente
del tribunale (articolo 21). Si tratta di un regime transitorio, giacché dopo
il primo anno di applicazione della legge l’iscrizione è condizionata
alla frequenza di appositi programmi di formazione professionale per la preparazione
allo svolgimento della funzione di conciliatore e di arbitro (articolo 21,
comma 2).
Infine, il capo IV reca, in un unico articolo, le disposizioni finali e le
abrogazioni. In particolare, si prevede che tutti i termini previsti dal provvedimento
siano da intendersi come perentori (articolo 22, comma 1). Quanto alle norme
abrogate, esse si indicano negli articoli 420-bis del codice di procedura civile
e 146-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura
civile e disposizioni transitorie. In particolare, si tratta delle disposizioni
che hanno introdotto l’istituto dell’accertamento pregiudiziale
sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e degli
accordi collettivi (articolo 420-bis del codice di procedura civile), estendendolo
in quanto compatibile anche al lavoro pubblico (articolo 146-bis delle disposizioni
per l’attuazione del codice di procedura civile). Lungi dal realizzare
gli auspicati effetti deflativi, tali istituti si prestano infatti a interpretazioni
divergenti e ad applicazioni che tendono semmai a dilatare i tempi del processo
del lavoro, in palese contrasto con l’esigenza di chiarezza, tempestività e
stabilità delle pronunce in materia di controversie sul lavoro, perseguita
dal presente progetto di riforma.
2. Il testo del Disegno di legge n. 1047 AS
“Riforma del processo del lavoro”
Capo I
CONTROVERSIE IN MATERIA DI LICENZIAMENTI, TRASFERIMENTI, APPOSIZIONE DEL TERMINE
Art. 1.
1. La disciplina di cui al presente capo si applica alle controversie individuali
in materia di:
a) licenziamenti, anche qualora presuppongano la risoluzione di questioni
relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, ovvero alla legittimità del
termine apposto al contratto;
b) recesso del committente nei rapporti di cui all’articolo 409, primo
comma, numero 3), del codice di procedura civile e nelle collaborazioni a progetto
di cui all’articolo 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, con riferimento ai casi in cui il recesso avviene secondo causali
o modalità diverse da quelle previste dall’articolo 67 del medesimo
decreto legislativo;
c) trasferimento ai sensi dell’articolo 2103 e dell’articolo 2112
del codice civile.
Art. 2.
1. Il ricorso avverso i provvedimenti di cui all’articolo 1, comma
l, si propone al tribunale in funzione di giudice del lavoro.
2. Il giudice, convocate le parti, omessa ogni formalità non essenziale
al contraddittorio, procede, nel modo che ritiene più idoneo allo scopo
urgente del procedimento, all’acquisizione ed alla valutazione degli
elementi di prova relativi ai fatti allegati, e provvede con ordinanza all’accoglimento
o al rigetto della domanda.
3. Ove la domanda sia proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice
di procedura civile, il giudice, anche d’ufficio, dispone con ordinanza
che la causa prosegua ai sensi del comma 2.
4. Il giudice adito in via sommaria, ove rilevi che la causa deve essere trattata
secondo le forme ordinarie, dispone, con ordinanza, il mutamento di rito per
la prosecuzione del processo ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice
di procedura civile.
5. Nelle controversie in materia di licenziamento l’onere della prova
relativa al numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro grava su quest’ultimo.
Resta fermo quanto previsto dall’articolo 5 della legge 15 luglio 1966,
n. 604.
Art. 3.
1. Contro l’ordinanza di cui al comma 2 dell’articolo 2 è ammesso
ricorso alla sezione lavoro della Corte d’appello, nelle forme di cui
all’articolo 414 e seguenti del codice di procedura civile, entro il
termine perentorio di trenta giorni dalla data di comunicazione alle parti
dell’ordinanza stessa, a pena di decadenza.
Art. 4.
1. Il giudice, con l’ordinanza di cui all’articolo 2, comma 2,
o la sentenza di condanna alla reintegrazione della lavoratrice o del lavoratore
nel posto di lavoro, determina la somma dovuta dal datore di lavoro per l’eventuale
ritardo nell’esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di
quattro retribuzioni globali di fatto giornaliere ed il limite minimo di due
retribuzioni globali di fatto giornaliere per ogni giorno di ritardo, tenuto
conto delle dimensioni dell’organizzazione produttiva.
2. La lavoratrice o il lavoratore può chiedere, con ricorso al giudice
che ha ordinato la reintegrazione, la liquidazione della somma dovuta. L’onere
della prova dell’effettiva reintegrazione grava sul datore di lavoro.
Il giudice provvede nelle forme di cui al primo comma dell’articolo 669-sexies
del codice di procedura civile e decide con ordinanza con la quale liquida
le spese del procedimento; il provvedimento è immediatamente esecutivo
e contro lo stesso è ammesso reclamo a norma dell’articolo 669-terdecies
del codice di procedura civile.
3. Le somme corrisposte o ancora da corrispondere alla lavoratrice o al lavoratore
ai sensi dei commi 1 e 2 sono irripetibili dal datore di lavoro in caso di
riforma del provvedimento con cui è stata ordinata la reintegrazione.
In tal caso, la lavoratrice o il lavoratore trattiene solo la somma corrispondente
alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna
alla reintegrazione ed il provvedimento di riforma. Le ulteriori somme percepite
o da percepire sono devolute al fondo di cui all’articolo 11.
4. In caso di riforma del provvedimento dichiarativo dell’illegittimità del
trasferimento, la lavoratrice o il lavoratore è tenuto a restituire
le somme già percepite ai sensi dei commi 1 e 2.
Art. 5.
1. All’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma dopo le parole: «il giudice con» sono inserite
le seguenti: «l’ordinanza o»;
b) al quarto comma dopo le parole: «Il giudice con» sono inserite
le seguenti: «l’ordinanza o»;
c) al quinto comma dopo la parola: «deposito» sono inserite le
seguenti: «dell’ordinanza o».
Art. 6.
1. Alle controversie instaurate ai sensi dell’articolo 1 non si applicano
le disposizioni di cui agli articoli dal 410 al 412-bis del codice di procedura
civile.
2. L’articolo 5 della legge 11 maggio 1990, n. 108, è abrogato.
Art. 7.
1. Il primo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito
dal seguente:
«Il licenziamento da parte del datore di lavoro o il recesso del committente
deve essere impugnato a pena di decadenza entro centoventi giorni dalla ricezione
della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale,
con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice
del lavoro».
2. Il termine di decadenza, di cui all’articolo 6, primo comma, della
legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo,
si applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso,
nonché di licenziamento inefficace di cui all’articolo 2 della
citata legge n. 604 del 1966, e successive modificazioni.
3. Il termine di decadenza, di cui all’articolo 6, primo comma, della
legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo,
si applica anche agli altri casi disciplinati dall’articolo 1 della presente
legge.
4. Le dimissioni del lavoratore sono rassegnate per atto scritto. Eventuali
dimissioni in forma orale non possono essere fatte valere dal datore di lavoro
quali causa di estinzione del rapporto di lavoro, qualora egli non abbia provveduto
a richiedere, entro il termine di due giorni dalle stesse e con atto scritto
di data certa, conferma delle dimissioni del lavoratore.
Art. 8.
1. Le controversie, sommarie o ordinarie, relative alle materie di cui all’articolo
1 devono essere trattate dal giudice con priorità con la sola eccezione
dei procedimenti cautelari e di quelli previsti dall’articolo 28 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
2. La tempestiva trattazione e conclusione delle controversie relative a
provvedimenti di cui all’articolo 1 è assicurata dai responsabili
degli uffici anche con apposite misure organizzative.
Art. 9.
1. L’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, è sostituito
dal seguente:
«Art. 3. – (Licenziamento discriminatorio). – 1. Si considera
discriminatorio il licenziamento determinato dalle ragioni di cui alle seguenti
disposizioni:
a) articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604;
b) articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni;
c) articolo 54 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001,
n. 151, e successive modificazioni.
2. Il licenziamento discriminatorio è nullo indipendentemente dalla
motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati
dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall’articolo 18 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai dirigenti».
Art. 10.
1. In caso di licenziamento disciplinare, si applica l’articolo 7 della
legge 20 maggio 1970, n. 300.
2. Il datore di lavoro non può adottare il licenziamento prima che
siano trascorsi cinque giorni dalla data di ricevimento del provvedimento da
parte della lavoratrice o del lavoratore, durante i quali il lavoratore può comunicare
al datore di lavoro di essere intenzionato a scegliere tra il ricorso in giudizio
e la promozione della costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato
previsto dal sesto comma dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970,
n. 300. La richiesta scritta della promozione della costituzione del collegio
deve comunque essere presentata nel termine di venti giorni, così come
indicato nel citato comma sesto dell’articolo 7.
3. Il licenziamento intimato dal datore di lavoro rimane sospeso fino alla
pronuncia da parte del collegio di conciliazione ed arbitrato.
4. In caso di licenziamento per giusta causa il datore di lavoro adotta il
provvedimento della sospensione cautelare.
5. Se il datore di lavoro non consente l’attivazione del collegio di
conciliazione ed arbitrato, non adempiendo agli obblighi su di lui gravanti,
ovvero se adisce l’autorità giudiziaria, il licenziamento rimane
sospeso fino alla definizione del giudizio.
6. Il collegio di conciliazione ed arbitrato si pronuncia entro quarantacinque
giorni, determinandosi in mancanza la perenzione del procedimento e il mancato
pagamento dei compensi di cui al comma 8. È possibile un prolungamento
del termine di cui al primo periodo in casi di particolare complessità,
documentati da riunioni a cadenza almeno quindicinale. In caso di perenzione
del procedimento, la sospensione del licenziamento è revocata e il lavoratore
può adire l’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo
412-quater del codice di procedura civile, come sostituito dall’articolo
18 della presente legge.
7. In caso di emanazione del lodo, si applica quanto previsto dai commi terzo
e quarto dell’articolo 4l2-bis del codice di procedura civile, come sostituito
dall’articolo 16 della presente legge, e per l’impugnazione da
quanto previsto dall’articolo 412-ter del codice di procedura civile,
come sostituito dall’articolo 17 della presente legge.
8. La contrattazione collettiva determina i criteri per la liquidazione dei
compensi spettanti al terzo componente del collegio di conciliazione ed arbitrato
scelto di comune accordo tra le parti ai sensi dell’articolo 7, sesto
comma, della citata legge n. 300 del 1970.
9. Sugli importi monetari riconosciuti a favore della lavoratrice o del lavoratore è riconosciuto
il beneficio dell’abbattimento, in misura pari al 50 per cento, dell’aliquota
applicabile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale,
nonché della ritenuta ai fini dell’imposta sul reddito.
Art. 11.
1. Con regolamento del Ministro della giustizia è disciplinata l’istituzione
di un fondo, finanziato con modalità fissate dai contratti collettivi
nazionali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative,
e destinato a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto
di decisioni che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del
licenziamento.
2. Al fondo di cui al comma 1 sono destinate le somme di cui al comma 3 dell’articolo
4.
Capo II
ACCERTAMENTI SANITARI E
RELATIVE CONTROVERSIE
Art. 12.
1. Dopo l’articolo 443 del codice di procedura civile sono inseriti
i seguenti:
«Art. 443-bis. – (Accertamenti sanitari connessi a controversie di
previdenza e assistenza obbligatorie). – Nei casi in cui l’assicurato
o l’assistito abbia presentato ricorso contro un provvedimento relativo
a prestazioni previdenziali o assistenziali, che comportino l’accertamento
dello stato di condizioni psicofisiche, l’amministrazione competente, ove
non ritenga di accogliere il ricorso, sottopone l’accertamento ad un collegio
medico, composto da un sanitario designato dall’amministrazione competente,
da un sanitario nominato dal ricorrente o dall’istituto di patronato che
lo assiste, e da un terzo sanitario nominato dal responsabile della competente
direzione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale tra i medici specialisti
in medicina legale, o in medicina del lavoro di cui all’articolo 146 delle
disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni
transitorie ovvero tra i sanitari appartenenti ai ruoli di un ente previdenziale
diverso da quello che è parte della controversia.
Espletati gli accertamenti medico-legali, il collegio di cui al primo comma,
coerentemente alle risultanze degli accertamenti, tenta la conciliazione della
controversia. In caso di esito positivo, è redatto un verbale che, sottoscritto
dalle parti, è vincolante per le medesime. In caso di esito negativo
del tentativo di conciliazione, il presidente del suddetto collegio redige
una dettagliata relazione medico-legale nella quale dà atto degli accertamenti
effettuati e delle conclusioni conseguite nonché dei motivi del dissenso.
Il compenso dei componenti il collegio di cui al primo comma, a carico dell’amministrazione
competente per l’erogazione della prestazione, è determinato in
conformità di convenzioni stipulate con la Federazione nazionale degli
ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
Art. 443-ter. – (Controversie di serie). – In caso di controversie
in materia di previdenza e assistenza obbligatorie riguardanti, anche potenzialmente,
un numero consistente di soggetti ed avente ad oggetto questioni analoghe,
le amministrazioni interessate sono tenute ad informare i Ministeri competenti
e a promuovere incontri anche con gli istituti di patronato che hanno fornito
assistenza nelle medesime controversie, al fine di chiarire gli aspetti delle
questioni in discussione ed individuare, per quanto possibile, ipotesi di soluzione.
In attesa dell’esito dei suddetti incontri, il giudice, su istanza
di parte, può rinviare la trattazione della causa».
Capo III
CONCILIAZIONE E ARBITRATO
Art. 13.
1. L’articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito
dal seguente:
«Art. 410. – (Tentativo obbligatorio di conciliazione). – Chi
intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo
409 è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione previsto dai commi
terzo e seguenti.
Sono escluse da tale obbligo le controversie riguardanti le seguenti materie:
a) controversie previdenziali;
b) controversie per le quali siano stabiliti dalla legge procedimenti sommari
o da esperirsi in via d’urgenza;
c) controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 63
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Il giudice, ricevuto il ricorso, ove non possa fissare la comparizione delle
parti per condurre personalmente il tentativo di conciliazione o per la trattazione
entro il termine previsto dall’articolo 416, entro trenta giorni dalla
data del deposito, con proprio decreto, designa un conciliatore, liberamente
scelto tra quelli contenuti nell’apposito albo, con il compito di esperire
entro il termine suddetto il tentativo di conciliazione della controversia.
Il decreto di cui al secondo comma è emanato entro quindici giorni
dalla data di presentazione del ricorso. Il decreto, con allegato il ricorso,
fissa il giorno, la data ed il luogo stabiliti per la comparizione delle parti.
Il decreto ed il ricorso sono notificati al convenuto, a cura dell’attore,
entro dieci giorni dalla pronuncia del decreto medesimo, salvo quanto disposto
dall’articolo 417.
Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima della data fissata
per il tentativo di conciliazione, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio
nel comune presso cui ha sede il giudice, e depositando nella cancelleria del
giudice una memoria difensiva. La memoria deve contenere tutti gli elementi
difensivi di cui all’articolo 416 e comporta i medesimi effetti processuali
della memoria difensiva di cui allo stesso articolo 416.
Qualora il giudice non abbia fissato l’udienza per il tentativo di conciliazione
presso di sé, subito dopo la scadenza del termine per il deposito della
memoria difensiva, l’intero fascicolo è trasmesso al conciliatore.
Qualora il convenuto proponga domanda in via riconvenzionale a norma del secondo
comma dell’articolo 416, con istanza contenuta nella stessa memoria,
a pena di decadenza della riconvenzionale medesima, deve espressamente chiedere
al giudice lo spostamento della data fissata per esperire il tentativo di conciliazione.
Il decreto che sposta la data di comparizione, unitamente alla memoria difensiva, è notificato,
a cura del convenuto, all’attore, entro dieci giorni dalla data in cui è stato
pronunciato.
Il tentativo di conciliazione di cui al quarto comma, ad istanza del ricorrente,
non è esperito nel caso che il ricorrente dimostri di aver effettuato
senza esito, prima del giudizio, un tentativo di conciliazione nel rispetto
delle modalità di cui ai commi terzo, quarto e quinto dell’articolo
412-quater».
Art. 14.
1. L’articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito
dal seguente:
«Art. 411. – (Processo verbale di conciliazione). – Il tentativo
di conciliazione è da espletare nel termine di trenta giorni e si svolge
in un’unica seduta, salvo che il giudice od il conciliatore non ravvisino
concrete possibilità di accordo; in tal caso possono rinviare una sola
volta la seduta entro un termine non superiore a trenta giorni dalla data iniziale.
Il giudice o il conciliatore svolgono un ruolo attivo al fine di pervenire
alla conciliazione e possono proporre, sulla base degli atti presentati, eventuali
proposte di soluzione.
Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto
dal giudice o dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori.
L’autografia della sottoscrizione, o l’impossibilità dei
soggetti di cui al primo periodo a sottoscrivere, è certificata dal
giudice o dal conciliatore.
Ove la conciliazione sia stata raggiunta davanti al conciliatore, questi trasmette
il relativo verbale entro cinque giorni alla cancelleria del giudice. Il giudice,
accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara
esecutivo con decreto.
Sugli importi monetari riconosciuti a favore della lavoratrice o del lavoratore è riconosciuto
il beneficio dell’abbattimento, in misura pari al 50 per cento, dell’aliquota
applicabile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale,
nonché della ritenuta ai fini dell’imposta sul reddito».
Art. 15.
1. L’articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito
dal seguente:
«Art. 412. – (Verbale di mancata conciliazione). – Se entrambe
le parti, o la parte che ha presentato il ricorso, non compaiono al tentativo
di conciliazione, il giudice od il conciliatore ne danno atto nel processo verbale
ed il giudice dichiara estinto il processo direttamente o dopo aver ricevuto
gli atti dal conciliatore, salvo il caso di motivo riconosciuto giustificato
dal giudice o dal conciliatore che, in tal caso, fissano una nuova data per la
comparizione entro il termine perentorio di trenta giorni.
In caso di mancata comparizione del convenuto, il giudice o il conciliatore
ne danno atto nel processo verbale.
In caso di mancata comparizione del convenuto, il giudice, ricevuti gli atti
nei termini di cui al sesto comma, su istanza di parte, può, con accertamento
allo stato degli atti, in via provvisoria, emettere un’ordinanza che
disponga il pagamento totale o parziale delle somme domandate e disporre con
lo stesso ulteriori provvedimenti anticipatori della decisione di merito.
Se la conciliazione non riesce si redige un verbale del tentativo di conciliazione.
In esso le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale
concordano, precisando, quando è possibile, l’ammontare del credito
che spetta alla lavoratrice o al lavoratore. In quest’ultimo caso, per
la parte su cui si è concordato, il processo verbale acquista efficacia
di titolo esecutivo secondo quanto stabilito dal quarto comma dell’articolo
411.
Nello stesso verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali
proposte indirizzate alle parti per pervenire ad un accordo, e quant’altro
ritenga utile portare alla conoscenza del giudice per il prosieguo del procedimento.
Il verbale del tentativo di conciliazione viene acquisito agli atti del processo.
Il conciliatore, salva l’ipotesi di cui all’articolo 412-bis, trasmette
il verbale di mancata conciliazione al giudice entro cinque giorni. Il giudice,
salvo che non debba dichiarare estinto il processo ai sensi del primo comma,
emette il decreto di fissazione di udienza davanti a sé entro quindici
giorni.
Il provvedimento di fissazione dell’udienza è depositato nella
cancelleria del giudice, dove le parti possono prenderne visione. Il decreto è notificato
a cura dell’attore al convenuto non costituito, senza pregiudizio degli
effetti processuali già verificatisi».
Art. 16.
1. L’articolo 412-bis del codice di procedura civile è sostituito
dal seguente:
«Art. 412-bis. – (Arbitrato facoltativo). – In qualunque fase
del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita,
le parti possono affidare allo stesso conciliatore il mandato a risolvere in
via arbitrale la controversia.
Il compromesso deve risultare da atto scritto contenente, a pena di nullità,
il termine per l’emanazione del lodo, nonché i criteri per la
liquidazione dei compensi spettanti all’arbitro.
L’arbitro decide sulla controversia nel rispetto delle norme inderogabili
di legge e del contratto collettivo, sulla base dei documenti in suo possesso
e acquisendo, ove necessario, altri mezzi istruttori. Si applica la disposizione
del terzo comma dell’articolo 429.
Il lodo acquista efficacia esecutiva con il deposito presso la cancelleria
del giudice.
Si applica quanto previsto dalla disposizione di cui al quinto comma dell’articolo
411».
Art. 17.
1. L’articolo 412-ter del codice di procedura civile è sostituito
dal seguente:
«Art. 412-ter. – (Impugnazione del lodo arbitrale). – Il lodo
arbitrale può essere impugnato, per qualsiasi vizio, ivi compresa la violazione
e la falsa applicazione di legge dei contratti e accordi collettivi, entro trenta
giorni dalla sua notificazione alle parti, davanti alla Corte d’appello
in funzione di giudice del lavoro.
L’impugnazione non sospende l’esecutività del lodo».
Art. 18.
1. L’articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito
dal seguente:
«Art. 412-quater. – (Altre modalità di conciliazione). – La
conciliazione, nelle materie di cui all’articolo 409, può essere
svolta presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni
sindacali maggiormente rappresentative, nonché presso le direzioni provinciali
del lavoro.
Gli accordi di conciliazione raggiunti in tali sedi, sottoscritti dalle parti
interessate e dal conciliatore, acquistano efficacia di titolo esecutivo, ove
depositati presso la cancelleria del tribunale competente. Si applica il quinto
comma dell’articolo 411.
Il tentativo di conciliazione effettuato ai sensi del primo comma, ove non
si pervenga ad una conciliazione, tiene luogo del tentativo di cui all’articolo
410 e determina la procedibilità dell’azione giudiziaria ove sia
stato esperito con le seguenti modalità:
a) sia stato esperito da un conciliatore su richiesta congiunta delle parti;
b) sia stato effettuato sulla base di memorie scritte dell’attore e
del convenuto che illustrino le ragioni di fatto e di diritto della pretesa
e della resistenza.
Il verbale del tentativo di conciliazione deve essere redatto e sottoscritto
dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. In tale
verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte
indirizzate alle parti per pervenire ad un accordo, e quant’altro ritenga
utile portare a conoscenza del giudice per il procedimento. Ad esso devono
essere allegate le memorie di cui al comma terzo.
Il verbale di mancata conciliazione è depositato presso la cancelleria
del giudice competente unitamente al ricorso di cui all’articolo 414.
Il giudice, ove accerti che sono state rispettate le condizioni di cui al terzo
comma, e che la domanda corrisponde all’oggetto per il quale è stato
esperito il tentativo di conciliazione, procede direttamente a fissare l’udienza
di discussione ai sensi dell’articolo 415.
Il verbale di conciliazione è acquisito agli atti del procedimento e
produce tutti gli ulteriori effetti del tentativo di conciliazione esperito
ai sensi degli articoli 410, 411, 412».
Art. 19.
1. Dopo l’articolo 412-quater del codice di procedura civile è inserito
il seguente:
«Art. 412-quinquies – (Arbitrato in materia di lavoro previsto dalla
contrattazione collettiva). – Nell’ambito delle sedi di cui all’articolo
412-quater le parti possono deferire ad arbitri la controversia.
Il lodo arbitrale è dichiarato esecutivo dal giudice cui sia trasmesso
a cura delle strutture interessate, nei modi e nei tempi stabiliti dal quarto
comma dell’articolo 412-bis e dall’articolo 412-ter, ove sia presente
la richiesta scritta con la quale le parti dichiarano di richiedere una pronuncia
arbitrale, l’indicazione dell’arbitro o del collegio arbitrale
al quale viene richiesto il lodo, la delimitazione dell’oggetto sul quale
viene richiesto il lodo, il termine entro il quale il lodo deve essere pronunciato.
Ai lodi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo
412-ter».
Art. 20.
1. All’articolo 415 del codice di procedura civile è aggiunto
il seguente comma:
«Per i procedimenti per i quali sia esperito il tentativo di conciliazione,
i termini di cui ai commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto decorrono
dalla data di trasmissione del verbale di mancata conciliazione».
2. All’articolo 418 del codice di procedura civile è aggiunto
il seguente comma:
«Per i procedimenti per i quali sia stato disposto il tentativo obbligatorio
di conciliazione, eventuali domande in via riconvenzionale sono disposte tassativamente
con le procedure di cui all’articolo 410».
3. All’articolo 420 del codice di procedura civile sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Nell’udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga
liberamene le parti presenti. La mancata comparizione delle parti, senza giustificato
motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione.
Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni
e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice»;
b) il terzo comma è abrogato;
c) il quarto comma è sostituito dal seguente:
«Quando il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono
questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o altre pregiudiziali
la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti
alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del
dispositivo».
Art. 21.
1. Presso ogni tribunale è istituito un albo dei conciliatori e degli
arbitri, esperti in materie giuslavoristiche, di seguito denominato «albo»,
tenuto dal presidente della sezione lavoro del tribunale stesso.
2. All’albo possono iscriversi professori e ricercatori universitari
di materie giuslavoristiche, avvocati e commercialisti di comprovata esperienza
nel campo del lavoro, consulenti del lavoro, funzionari delle direzioni provinciali
e regionali del lavoro. Trascorso il primo anno di applicazione della legge,
all’albo possono iscriversi esclusivamente coloro che, appartenenti alle
categorie suddette, abbiano frequentato programmi di formazione professionale
per la preparazione allo svolgimento della funzione di conciliatore e di arbitro
e ottenuto la relativa certificazione.
3. La domanda d’iscrizione, con allegati i titoli che dimostrino il possesso
delle necessarie competenze, è presentata al presidente del tribunale,
che vaglia i titoli per l’ammissione.
4. Gli iscritti all’albo svolgono, su nomina del giudice, la funzione
di conciliatori delle controversie di lavoro, ai sensi dell’articolo
410 del codice di procedura civile. Essi possono essere nominati in qualità di
conciliatori nelle strutture di cui all’articolo 412-quater del codice
di procedura civile, come sostituito dall’articolo 18 della presente
legge.
5. I giudici scelgono i conciliatori e gli arbitri tenendo conto della loro
esperienza in relazione al tipo di vertenza e con modalità tali da distribuire
gli incarichi tra gli iscritti all’albo, evitando profili di incompatibilità.
6. Il presidente della sezione lavoro del tribunale vigila sul comportamento
dei conciliatori, che deve essere improntato all’indipendenza ed all’imparzialità nella
prestazione del servizio. Egli dispone la cancellazione dall’albo quando
ravvisi che non sussistano più le condizioni per il mantenimento dell’iscrizione.
7. Il tentativo di conciliazione è svolto, per quanto possibile, negli
stessi locali ove hanno sede gli uffici giudiziari.
8. Per le conciliazioni effettuate ai sensi dell’articolo 410 del codice
di procedura civile ai conciliatori spetta un’indennità definita
con decreto del Ministro della giustizia per ogni vertenza trattata, senza
alcuna distinzione in relazione al valore della controversia. Nel caso in cui
in sede di conciliazione non vengano stabiliti i criteri per la ripartizione
dell’onere, esso è diviso in parti uguali tra le due parti.
9. Per le conciliazioni raggiunte ai sensi dell’articolo 412-quater del
codice di procedura civile, come sostituito dall’articolo 18 della presente
legge, il compenso è stabilito dalle strutture presso cui il conciliatore
venga chiamato, fermo restando che, in mancanza di un accordo per la ripartizione
dell’onere, esso è diviso in parti uguali tra le due parti.
10. Le domande per l’iscrizione all’albo, indirizzate al presidente
della sezione lavoro del tribunale, ai sensi del comma 3, possono essere depositate
nella cancelleria o inviate a mezzo raccomandata, a partire dal primo giorno
dalla data di entrata in vigore della presente legge.
11. Il presidente della sezione lavoro del tribunale, entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge, esaminate le domande,
determina l’elenco degli iscritti all’albo. L’albo è aggiornato
con cadenza semestrale.
Capo IV
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 22.
1. I termini previsti dalla presente legge si intendono di carattere perentorio.
2. Sono abrogati gli articoli 420-bis del codice di procedura civile e 146-bis
delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e
disposizioni transitorie.