Il Tar Catania, in un ricorso proposto dal PRI, assistito dagli avvocati
Agatino Cariola e Carmelo Giurdanella, avverso l’esclusione dalla
tornata elettorale svoltasi per il rinnovo del Consiglio Provinciale di Ragusa, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’impedimento di ricorso immediato avverso l’esclusione o l’ammissione ad un procedimento elettorale; l’ordinanza numero 97 del 2008, ora pervenuta davanti alla Corte Costituzionale (di seguito riportata per esteso) affronta con ampia motivazione, le ragioni che hanno condotto il giudice a quo a sospendere il giudizio per attendere il giudizio della Consulta.
Si legge, tra l’altro, che “l’impedimento a proporre il ricorso immediatamente contro
l’esclusione o l’ammissione ad un procedimento elettorale, unico caso
nell’Ordinamento di preclusione processuale all’esercizio dell’azione
in presenza di fatto o evento o atto lesivo, costituisce una
limitazione del diritto di difesa a particolari mezzi di impugnazione
(e cioè soltanto alla tutela di merito, con esclusione della tutela
cautelare) ed a particolari categorie di atti (e cioè soltanto quelli
conclusivi del procedimento, con esclusione di quelli
endoprocedimentali immediatamente lesivi, posti in essere prima della
proclamazione degli eletti nell’ambito del procedimento elettorale) . Tale limitazione è illegittima anche se
temporanea e, comunque, diviene impedimento vero e proprio della difesa
giudiziale (non solo temporaneo), se l’interprete si colloca sul piano
sostanziale dell’interesse elettorale, in quanto determina l’inammissibile elisione della tutela cautelare e con
essa di interessi sostanziali, perché, per quanto provvisoria, la
tutela interinale risponde comunque a precisi requisiti e presupposti,
riassunti nella formula del “danno grave ed irreparabile”: in questi
casi, invero, o la tutela è interinale o, per definizione, non è
tutela”.
. . . . . .
REPUBBLICA ITALIANA
N.97/08 Reg.Ord. N.934/08 Reg.Gen.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia -Sezione staccata di Catania – Sezione Prima, composto dai Signori Magistrati:
Dott. Vincenzo Zingales Presidente
Dott. Pancrazio M.Savasta, Giudice
Dott. Salvatore Gatto Costantino, Giudice rel.est.
ha pronunciato la seguente
Nei ricorsi:
1) nr. 934/2007 proposto da: CALVO Biagio e LA TERRA Rita,
rappresentati e difesi da CARIOLA AVV. AGATINO e GIURDANELLA AVV. CARMELO
con domicilio eletto in CATANIA VIA E.A.PANTANO, 118 presso lo studio del primo;
l’UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE DI RAGUSA, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dalI’AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO, con domicilio eletto in CATANIA, via Vecchia Ognina 149, presso la sua sede;
Pasquale Ferrara, Giuseppe Di Natale, Giuseppe Caldarera, Giovanni Francesco Antoci, Giuseppe detto Uccio.Barone, Mario Coco, Agosta Giuseppe, Bellassai Rosario, Di Martino Marco, Battaglia Biagio, La Perna Rosario, Roccuzzo Paolo, Guerrieri Pietro, Maria L.Tavolino, Di Prima Ezechiele, Bellone Giovanni, DiStefano Giuseppe, Bocchieri Salvatore, Di Giacomo Giovanni, Baldanza Antonino, Battaglia Salvatore, Camillieri Andrea, Amato Angela, Bocchieri Sebastiano, Storaci Barbara, Schemhari Alberto, La Mesa Sebastiano, Corallo Franco, Dipasquale Giuseppe, Licitra Giorgio, Blandino Salvatore, Burgio Rosario, Cugnata Giovanni, Occhipinti Giovanni, tutti non costituiti ad eccezione di:
Giuseppe Barone, Paolo Roccuzzo ed Angela Amato, rappresentati e difesi dall’Avv. Andrea Scuderi e dall’Avv. Giovanni Mania, con domicilio eletto presso il loro studio in Catania, via Vincenzo Giuffrida nr.37;
la PROVINCIA REGIONALE DI RAGUSA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Alì, con domicilio eletto in Segreteria
Cutello Mario, Genovese Giuseppe e Bertucci Lucia, rappresentati e difesi da PATERNITI LA VIA AVV. PIETRO, con domicilio eletto presso il suo studio, in Catania Viale XX Settembre 19;
del verbale dell’Ufficio circoscrizionale Elettorale presso il Tribunale di Ragusa del 21 aprile 2007 e del relativo provvedimento di eliminazione della lista PRI Partito Repubblicano Italiano dalla consultazione elettorale per il rinnovo del Consiglio della Provincia Regionale di Ragusa, indetta per i giorni 13-14 maggio 2007 e di ogni altro atto connesso, ivi compresa, ove occorra, la nota del medesimo ufficio del 20 aprile 2007;
2) nr. 935/2007 proposto da: CALVO Biagio e ROCCUZZO Giovanni,
rappresentati e difesi da CARIOLA AVV. AGATINO e GIURDANELLA AVV.CARMELO con domicilio eletto in CATANIA VIA E.A. PANTANO, 118, presso lo studio del primo;
l’UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE DI MODICA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO, con domicilio eletto in CATANIA, via Vecchia Ognina 149;
la PROVINCIA REGIONALE DI RAGUSA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Alì, con domicilio eletto in Segreteria e nei confronti di: Ferrara Pasquale, Di Natale Giuseppe, Caldarera Giuseppe, Antoci, Giovanni Francesco, Barone Giuseppe, Coco. Mario, Ruta Carmelo, Mirabella Ignazio, Di Martino Angelo, Massenzio Natale, Di Giacono Giorgio, Occhipinti Angelo, Di Martino Salvatore, Marchisello Rosa Maria, Borrometi Paolo, Livia Ketty, Abate Ignazio, Di Rosa Giovanni, Iemmolo Rosario, La Terra Salvatore, Cavallo Vincenzo, Pitino Vincenzo, Crescenti Gaetano, Migliore Antonio, Minardo Riccardo, Baglieri Graziana, Assenza Giovanna, Baglieri Maria, Failla Sebastiano, Battaglia Pietro, Pellegrino Salvatore, Mavilla Giovanni, Agosta Giovanni, Eredia Giuseppe, non costituiti;
del verbale dell’Ufficio circoscrizionale Elettorale presso il Tribunale di Modica del 21 aprile 2007 e del relativo
provvedimento di eliminazione della lista PRI Partito Repubblicano Italiano dalla consultazione elettorale per il rinnovo del Consiglio della Provincia Regionale di Ragusa, indetta per i giorni 13-14 maggio 2007 e di ogni altro atto connesso, ivi compresa, ove occorra, la nota del medesimo ufficio del 20 aprile 2007;
3) nr. 1325/2007 proposto da: CALVO Biagio, in proprio come elettore e nella qualità di candidato del PRI alle elezioni per il Consiglio Provinciale di Ragusa, rappresentato e difeso da CARIOLA AVV. AGATINO e GIURDANELLA AVV. CARMELO con domicilio eletto in CATANIA VIA E.A.PANTANO, 118, presso lo studio del primo;
l’UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE DI RAGUSA, l’UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE DI MODICA, l’UFFICIO ELETTORALE PROVINCIALE PRESSO IL TRIBUNALE DI RAGUSA, ciascuno in persona del proprio legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO, con domicilio eletto in CATANIA, via Vecchia Ognina 149, presso la sua sede;
Provincia Regionale di Ragusa, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’Avv. Salvatore Mezzasalma e dall’Avv. Michele Alì, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Catania, via Crociferi 60; Giovanni Francesco Antoci; Giovanni Occhipinti; Salvatore Mandarà Giovanni Mallia; Riccardo Minardo; Salvatore Moltisanti; Giovanni Di Giacomo; Salvatore Crescione; Raffaele Schembari; Bartolo Ficili; Vincenzo Pitino; Enzo Pelligra; Salvatore Minardi; Marco Nanì; Sebastiano Failla; Rosario Burgio; Silvio Galizia; Ignazio
Nicosia; Alessandro Tumino; Franco Poidomani; Ignazio Abbate; Fabio Nicosia; Venerina Padua; Giuseppe Mustile; Giovanni Iacono; Angela Barone; Giuseppe Alfano; Giovanni Venticinque, non costituiti;
delle operazioni elettorali svoltesi nei giorni 13 e 14 giugno 2007 per l’elezione del Consiglio provinciale e del Presidente della Provincia Regionale di Ragusa, e dei risultati consacrati nei verbali dell’ Ufficio Elettorale Provinciale, rispettivamente, del 17 maggio 2007 di proclamazione dell’ Ing. Franco Antoci a Presidente eletto della Provincia Regionale di Ragusa e del 4 giugno 2007 di proclamazione dei consiglieri eletti nel Consiglio Provinciale di Ragusa per il quinquennio 2007-2012 e di ogni altro atto presupposto e connesso, ivi compresi -ove occorresse- i verbali dell’ufficio Elettorale Circoscrizionale presso il Tribunale di Ragusa dell’11 maggio 2007 di ammissione della lista Partito Repubblicano Italiano alle elezioni per il Consiglio Provinciale di Ragusa, Collegio di Ragusa; e dell’ Ufficio Elettorale circoscrizionale presso il Tribunale di Modica dell’11 maggio 2007, verbali nn. 15 e 16 di ammissione della lista Partito Repubblicano Italiano alle elezioni per il Consiglio Provinciale di Ragusa, Collegio di Modica;
Visti i ricorsi introduttivi del giudizio;
Visti gli atti e i documenti depositati con ciascun ricorso;
Visto l’atto di costituzione in ciascun giudizio dell’AVVOCATURA DI STATO; della Provincia Regionale di Ragusa; nel giudizio nr. 934/07, dei sigg.ri Giuseppe Barone, Paolo Roccuzzo, ed Angela Amato;
Visto l’atto di intervento ad opponendum nel giudizio nr. 934/07 dei sigg.ri Mario Cutello, Giuseppe Genovese e Lucia Bertucci;
Designato relatore, alla Udienza pubblica dellO gennaio 2008, il Referendario Salvatore Gatto Costantino;
Uditi gli avvocati come da verbale;
Vista la documentazione tutta in atti;
Ritenuto, in fatto ed in diritto, quanto segue;
Con il ricorso introduttivo n. 934/07, i sigg.ri Biagio Calvo e Rita La Terra, il primo nella qualità di candidato nella lista P.R.I. per l’elezione del Consiglio provinciale della ProvincLa Regionale di Ragusa, la seconda nella qualità di delegata alLa presentazione della medesima lista per il Collegio di Ragusa, hanno proposto gravame contro l’esclusione della lista medesina dalle consultazioni elettorali predette, contenuta nel verbale dell’ Ufficio Circoscrizionale Elettorale presso il Tribunale di Ragusa del 21 aprile 2007, deducendo articolate censure.
Medesimo gravame è stato proposto dal sig. Biagio Calvo e dal sig. Giovanni Roccuzzo (il primo nella qualità di candidato ed il secondo nella qualità di presentatore di lista) con il ricorso nr. 935/07 avverso l’esclusione della lista del suddetto Partito dalle competizioni elettorali per il Consiglio Provinciale di Ragusa, nel Collegio di Modica.
Nel ricorso nr. 934/07, con D.P. nr. 548/07, del 3 maggio 2007, è stata concessa la misura cautelare prevista dall’art. 21 comma IX della l. 1034/71; medesima pronuncia cautelare monocratica, in pari data, è stata emanata nel ricorso nr. 935/07 con D.P. nr. 549/07.
Alla camera di consiglio del 1O maggio 2007, il Collegio ha accolto la domanda cautelare in entrambi i ricorsi, con distinte ordinanze (rispettivamente, nn. 571/07 e 572/07 entrambe depositate il 10 maggio 2007).
Celebratesi le elezioni, in data 13 e 14 maggio 2007, il sig. Biagio Calvo (in proprio quale elettore e nella qualità di candidato del PRI) , con il ricorso nr. 1325/07 ne ha impugnato il risultato, chiedendone l’annullamento e l’integrale ripetizione per articolate motivazioni in fatto ed in diritto.
All’accoglimento dei primi tre ricorsi resiste l’Avvocatura di Stato che ne sostiene l’inammissibilità per intempestività.
Si sono costituiti la Provincia Regionale di Siracusa nei ricorsi nn. 934/07 e 935/07; nel giudizio nr. 934/07, i sigg.ri Giuseppe Barone, Paolo Roccuzzo, ed Angela Amato; hanno inoltre proposto atto di intervento ad opponendum nel giudizio nr. 934/07 i sigg.ri Mario Cutello, Giuseppe Genovese e Lucia Bertucci, i quali, tutti, resistono all’accoglimento dei rispettivi ricorsi, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.
Alla Udienza Pubblica del 1O gennaio 2008 le cause sono state trattenute in decisione.
Con i primi due ricorsi trattenuti in decisione, i sigg.ri Calvo (candidato della lista P.R.I.), La Torre e Roccuzzo, (presentatori di lista), si dolgono dell’esclusione della propria lista dalle competizioni elettorali per il rinnovo degli organi elettivi della Provincia Regionale di Ragusa, assumendone l’illegittimità per articolate ragioni in fatto ed in diritto.
I suddetti ricorsi sono stati presentati immediatamente dopo l’adozione dei provvedimenti di esclusione della lista e dunque prima della tenuta della consultazione elettorale.
La lista dei ricorrenti non è stata ammessa alle competizioni elettorali per irregolarità nella presentazione delle sottoscrizioni, in quanto registrate in “moduli privi del contrassegno della lista e dell’elenco dei candidati in violazione dell’art. 11 lett. “e” 1. r. 9.5.1969 n. 14″.
Previa concessione delle misure cautelari monocratiche, avvenuta con decreti presidenziali D.P. nr. 548/07 e 549/07, del 3 maggio 2007, in accoglimento delle domande cautelari, con Le ordinanze richiamate in parte narrativa, il Collegio ha ritenuto che la CEC, escludendo la lista, ha errato nel non consentire La regolarizzazione ai sensi del comma 2 dell’art. 18 del DPRES Reg. Sicilia, nr. 3/1960, in quanto non ha fatto uso del proprio pote~e di “invito alla regolarizzazione previsto dal comma 2 dell ‘ art. 18 d.p.Reg.Sicilia n. 3/1960, nella ipotesi di irregolarità formali ed addirittura di mancanza di documenti e dichiarazioni come prescritti” (TAR Catania, II, 7 novembre 2003 nr. 1854; cfr. anche TAR Catania, II, 25 luglio 2003, nr. 1203).
Ottenuta l’ammissione provvisoria della lista per effetto delle pronunce cautelari di questa Sezione, il sig. Calvo ha poi riconosciuto, non impugnato il risultato elettorale, lamentando l’insufficiente spazio di propaganda elettorale che l’Autorità gli avrebbe avendo correttamente e tempestivamente ottemperato alle pronunce cautelari (specialmente quelle contenute nei decreti monocratici emessi sin dal 3 maggio 2007) e vanificando così, in concreto, il proprio diritto di elettorato. Afferma che, anche a voler considerare i termini delle sole ordinanze cautelari, la tutela del diritto di partecipare alle elezioni avrebbe potuto essere ottenuta anche mediante il differimento della data di celebrazione delle stesse.
Con il ricorso nr. 1325/07 ne ha chiesto dunque l’annullamento e l’integrale ripetizione.
All’ammissione alle elezioni della lista del P.R.I. si sono opposti l’Avvocatura di Stato ed alcuni tra i controinteressati, le cui difese sono affidate essenzialmente alla ritenuta inammissibilità per intempestività del gravame introdotto con i ricorsi nn. 934/07 e 935/07 (presentati prima della proclamazione degli eletti).
Più precisamente, richiamando la recentissima giurisprudenza formatasi sulla scorta della sentenza dell’Adunanza Plenaria nr. 10/2005, i controinteressati sostanziali sostengono che i gravami avverso le operazioni elettorali possono essere proposti, a norma dell’art. 83/11 del T.U. n. 570 del 1960 (introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di carattere procedurale sono tuttora vigenti in quanto richiamate dall’art. 19 dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034) , solamente dopo la proclamazione degli eletti, ossia ad operazioni elettorali concluse.
Sul punto, tale orientamento ha ricevuto recentissima conferma dalla sentenza del CGA nr.907/2007, con la quale ` stata riformata la sentenza di questa Sezione nr. 2380 del 28 novembre 2006. Gli orientamenti appena indicati del giudice di appello inducono pertanto il Collegio a dover esaminare gli odierni gravami alla luce di quella che, per il giudice di primo grado, è da ritenersi oramai una regola di diritto vivente, ossia la regola della inammissibilità per intempestività del gravarne avverso le operazioni elettorali proposto prima della proclamazione degli eletti.
Tuttavia, il Collegio dovendo applicare tale regola tratta dall’art. 83/11 del T.U. di cui al DPR 570/1960, introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di carattere procedurale sono tuttora vigenti in quanto richiamate dall’art. 19 dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella lettura che sostanzialmente il giudice di appello ha fatto propria e che quindi si impone al giudizio di primo grado, deve rilevare che essa non sfugge a gravi dubbi di incostituzionalità e pertanto va sollevata la questione di legittimità costituzionale delLa predetta disposizione, oppure dell’art. 83/11 del T.U. di cui al DPR 570/1960 (introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di carattere procedurale sono tuttora vigenti in quanto richiamate dall’ art. 19 dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034) laddove possa essere interpretato nel senso cii impedire l’immediata esperibilità di tutela giurisdizionale contro atti elettorali endoprocedimentali lesivi.
La questione costituzionale che si pone in relazione alla norma in esame, a giudizio del Collegio, è rilevante e non manifestamente infondata per le seguenti ragioni.
Sulla rilevanza della questione.
Essendo in decisione tre ricorsi tra loro connessi rivolti ad rinnovo avversare il risultato delle elezioni per il
dell’Amministrazione provinciale di Ragusa, sia in relazione ad atti endoprocedimentali compiuti nel relativo procedimento (esclusione di liste) e sia in relazione al risultato delle elezioni, si rileva che la risoluzione dei suddetti ;giudizi dipende pregiudizialmente dalla ammissibilità o meno dei primi due
gravami in relazione alla applicazione dell’ art. 83/11 più volte citato.
Infatti, applicando tale disposizione, nella lettura di essa
che ne ha formulato la giurisprudenza che sostiene il principio
della “concentrazione dei mezzi di tutela”, tutti e tre gli
odierni ricorsi andrebbero respinti, in quanto i primi due
inammissibili per intempestività ed il terzo improcedibile per
carenza di interesse sopravvenuta: mentre, infatti, i primi due
(nn. 934 e 935/2007) sono rivolti ad avversare l’esclusione della
lista dalla competizione elettorale, il terzo ricorso (nr.
l325/07) censura il risultato elettorale (impugnando la relativa
proclamazione degli eletti) solo per le ragioni e nella parte in
cui -presupponendo l’avvenuta ammissione -si lamenta che non è
stato dato ai ricorrenti sufficiente spazio per la propaganda
elettorale.
L’impostazione ermeneutica dalla quale scaturisce la lettura dell’ art. 83/11 del DPR 570/1960 (introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di carattere procedurale sono tuttora vigenti in quanto richiamate dall’art. 19 dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034) nel senso di escludere la possibilità immediata di impugnazione degli atti di ammissione o di esclusione di liste o candidati, discende, come indicato in premessa, dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ed, in particolare, dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria nr. 10/2005 (alla quale, peraltro, anche questa Sezione con diverso Collegio, ha mostrato adesione -cfr. sent. nr. 1357/06) cui ha fatto seguito la sent. nr. 907/07 del C.G.A. che ha riformato la sentenza di questa Sezione nr.2380/06.
Con quest’ultima pronuncia, la Sezione aveva accolto più ricorsi, tra loro connessi, presentati contro l’ammissione alle competizioni elettorali, per il rinnovo delle cariche elettive del Municipio della città di Messina, di una lista presentata per il “Nuovo P.S.I.”, da parte di chi, secondo i ricorrenti, non aveva titolo a presentarla (in quanto carente della necessari.a legittimazione assembleare e della carica di Segretario nazionale del partito). Nel primo dei ricorsi riuniti, proposto anteriormente alla proclamazione degli eletti, era stata concessa la pronuncia cautelare interdittiva dell’ammissione della lista (con decreto monocratico) e le elezioni si erano dunque svolt.e senza che la suddetta lista vi prendesse parte. Successivamente alla proclamazione degli eletti, la medesima parte ricorrente aveva riproposto il gravarne con autonomo ricorso rivolto ad impugnare la proclamazione degli eletti, così come, dal canto loro, facevano con diversi gravami altri elettori e/o candidati risultati eletti (tutti ricorsi rivolti a fare valere l’illegittimità della ammissione della lista del Nuovo PSI).
La circostanza che, a seguito della proclamazione degli eletti, fosse stato proposto l’identico gravame già sollevato all’atto dell’ammissione della lista, aveva indotto il Collegio a ritenere
non più rilevante ai fini del giudizio la problematica dell’ammissibilità o meno, nell’ attuale Ordinamento, dell’impugnabilità degli atti endoprocedimentali immediatamente lesivi nella fase anteriore alla proclamazione degli eletti, posto che, in ogni caso, sotto un profilo processuale, anche a valerIa ritenere non ammissibile, come sostenuto da A.P. 10/2005, ricorsi successivi erano da ritenersi tempestivi anche secondo l’orientamento dell’A.P. 10/2005.
Il CGA, nella pronuncia nr. 907/2007 ha invece disatteso tale impostazione, ribaltandola ed affermando che a nulla vale la presentazione dei ricorsi dopo la proclamazione degli” eletti quando, in esito ad un inammissibile ricorso anteriore a tale provvedimento (inammissibile ai sensi dell’art. 83/11 del T.U. n. 570/1960), l’effetto di una misura cautelare abbia influito sull’andamento delle elezioni alterandone (in maniera quindi irrimediabile) il corso.
Sulla base di ciò, il giudice di appello ha accolto il gravame, ritenendo inammissibili le questioni introdotte dagli altri ricorsi riuniti.
Tale essendo il disegno ricostruttivo che il giudice amministrativo offre del tema della impugnabilità degli atti endoprocedimentali del procedimento elettorale, osserva il Collegio che, se è vero, ovviamente, che il giudice di primo grado non è tenuto al rispetto del precedente costituito dalle decisioni del giudice di appello, che nei suoi confronti non esplicano efficacia vincolante (a differenza di quanto è statuito dall’art. 384, I comma, c.p.c., per il giudice di rinvio che deve uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione allorché accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto), è altresì vero che la interpretazione del CGA al riguardo è – per il suo contesto motivazionale – di tale portata da assumere indubbio rilievo in relazione alla insopprimibile esigenza di assicurare, comunque nei limiti della libertà di coscienza del giudice, la certezza del diritto.
Invero, è appena il caso di richiamare i consueti principi ordinamentali, secondo cui la certezza del diritto, o sicurezza giuridica, è un vero e proprio corollario dell’astrattezza e della generalità della norma giuridica, posto che la efficacia e l’effettività del precetto dipendono dal grado di affidabilità che tutti i soggetti devono avere in ordine al trattamento che ad essi sarà riservato non appena divengano destinatari concreti di quelle situazioni giuridiche soggettive, attive o passive, che sono astrattamente contemplate dalla norma di riferimento, in dipendenza del verificarsi dei fatti giuridici o delle condizioni pure in essa norma previsti (cfr. TAR Catania, III, ord. nr. 35 dell’1 febbraio 1996, pubbl. su G.U. del 21 agosto 1996, I serie speciale, nr. 34).
Per come sarà meglio evidenziato nel prosieguo, nell’ambito della trattazione delle ragioni di non manifesta infondatezza della questione sollevata, il tema della possibilità di ricorrere immediatamente contro l’esclusione o l’ammissione ad un procedimento elettorale, costituisce uno dei temi forse più controversi nella giurisprudenza amministrativa italiana, fonte di una tale oscillazione di pronunce, sia di primo che di secondo grado (cfr. infra, sub IV), che neppure l’autorevole intervento dell’ Adunanza Plenaria, con la citata decisione nr. 10/2005, è stato in grado di sopire, non essendo essa riuscita a dirimere, come si vedrà, i gravi dubbi interpretativi e di tutela
sostanziale che pone la norma di cui all’art. 83/11 del DPR 570/1960 (introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di carattere procedurale sono tuttora vigenti in quanto richiamate dall’art. 19 dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034), norma che può essere definita come un vero e proprio relitto giuridico proveniente da un’ epoca segnata da un sistema assai diverso di tutela e sopravvissuta nell’attuale ordinamento, senza esservi più ben coordinata.
Ciò posto, deve osservare il Collegio che un contrasto giurisprudenziale così accentuato e prolungato nel tempo si rivela quanto mai dannoso sia in relazione all’azione della Pubblica Amministrazione a tutela degli interessi pubblici, che in relazione all’assetto degli interessi legittimi in contestazione, tanto più ove essi (come nel caso di specie) accedono alla tutela dell’esercizio dei diritti politici di elettorato attivo e passivo.
Pertanto, il Tribunale, prendendo atto dell’orientamento del proprio esclusivo giudice di appello, che assume come “diritto vivente”, osserva che la questione di costituzionalità di cui trattasi riveste necessariamente carattere di rilevanza al fine della decisione definitiva sulle domande introdotte con i gravami in esame: come accennato prima, applicando la regola della “concentrazione processuale” fatta propria dalla giurisprudenza del CGA, i primi due ricorsi dovrebbero essere respinti per “intempestivit” ed il terzo per carenza di interesse.
Come reiteratamente affermato dalla Corte Costituzionale, deve ritenersi rilevante e quindi ammissibile la questione di costituzionalità di una norma di legge allorché il giudice remittente, pur mostrando di non condividere l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza, non ne pretende una revisione sul piano ermeneutico, bensì, assumendo proprio quella interpretazione come “diritto vivente”, ne chiede una verifica sul piano della costituzionalità (che pacificamente rientra nel sindacato della Corte: cfr. Sento nr. 188 del 23 maggio 1995, n. 58 del 24 febbraio 1995, n. 110 del 6 aprile 1995, n. 345 del 21 luglio 1995; cfr.. inoltre la già richiamata ordinanza di rimessione del TAR Sicilia, III, nr. 35/1996).
La stessa Corte ha, del resto, significativamente precisato che la questione di legittimità costituzionale è validamente posta anche quando il giudice a quo, affermando motivatamente di dubitare dell’orientamento giurisprudenziale prevalente o dominante, ritiene di dovere applicare la disposizione contestata in un diverso od opposto significato normativo, semprechè l’interpretazione offerta non risulti del tutto implausibile ovvero arbitraria (Corte Cost. sent. nr. 58/1995, punto 2 della motivazione che richiama numerosi precedenti giurisprudenziali della medesima Cortei ord. TAR Sicilia, III, 35/1996).
Muovendo, pertanto, dalla constatazione del suesposto orientamento ermeneutico inerente la norma in esame, fatto proprio dal giudice di appello, e rilevandone l’evidente contrasto con le norme ed i principi costituzionali a tutela del diritto di difesa e di azione in giudizio, nonché del diritto di elettorato attivo e passivo e del relativo diritto di partecipare alla formazione della vita politica di governo degli enti locali, il Tribunale non può che trarne le logiche ed inevitabili conclusioni affermative in ordine alla sussistenza del primo requisito prescritto dalla legge (la rilevanza della questione) affinché il giudice a quo possa sollevare questioni di costituzionalità.
Sulla non manifesta infondatezza.
Quanto al requisito della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità di cui si discute, ritiene il Tribunale che, alla stregua della interpretazione restrittiva del
C.G.A. e del Consiglio di stato dell’art. 83/11 del DPR 570/1960, introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (da assumere quale diritto vivente), tale disposizione (o la predetta disposizione intesa come limitativa della proponibilità immediata del giudizio contro l’atto di esclusione o di ammissione di una lista o di un candidato alle elezioni) appare gravemente illegittima per violazione degli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e, particolarmente, 113 della Costituzione.
I diversi profili di illegittimità costituzionale della norma in esame possono essere esposti come segue.
I) Violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione.
La norma tratta dall’art. 83/11 citata è in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che recita: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.. ” e con l’art.113 della Costituzione, che recita: “contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa… tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o a particolari categorie di atti“.
Come sarà meglio argomentato oltre, l’impedimento a proporre il ricorso ex art. 83/11 cit. , unico caso nell’Ordinamento di preclusione processuale all’esercizio dell’azione in presenza di fatto o evento o atto lesivo, costituisce una limitazione del diritto di difesa a particolari mezzi di impugnazione (e cioè soltanto alla tutela di merito, con esclusione della tutela cautelare) ed a particolari categorie di atti (e cioè soltanto quelli conclusivi del procedimento, con esclusione di quelli endoprocedimentali immediatamente lesivi, posti in essere prima della proclamazione degli eletti nell’ambito del procedimento elettorale) .
Tale limitazione è apertamente giustificata e sostenuta dalla giurisprudenza che aderisce all’impostazione di A.P. 10/2005 facendo proprio il principio della concentrazione processuale dei mezzi di tutela”, così come da essa è riconosciuto il carattere immediatamente lesivo degli atti infraprocedimentali di ammissione o esclusione della lista o del candidato, pervenendo, ciononostante, alla conclusione secondo cui è legittima la suddetta riduzione di tutela.
Tuttavia, viene esclusa la illegittimità costituzionale della suddetta limitazione, in quanto avente carattere di mera
temporaneità: invece, ad avviso del Collegio (come già affermato dalla Sezione, sia pure incidentalmente, nella sentenza nr. 2380/06 sopra richiamata e ritenuto, anche se con diverso contesto motivazionale, nella sentenza nr. 1357/06) tale limitazione è illegittima anche se temporanea e, comunque, diviene impedimento vero e proprio della difesa giudiziale (non solo temporaneo) ,se l’interprete si colloca sul piano sostanziale dell’interesse elettorale (in merito a quest’ultimo aspetto, si veda il successivo par. II).
Invero, a giudizio del Collegio, la norma nella interpretazione in esame determina l’inammissibile elisione della
tutela cautelare e con essa di interessi sostanziali, perché, per quanto provvisoria, la tutela interinale risponde comunque a precisi requisiti e presupposti, riassunti nella formula del “danno grave ed irreparabile”: in questi casi, invero, o la tutela è interinale o, per definizione, non è tutela.
In altre parole, è contraddittorio ritenere che essa possa essere posticipata nel tempo a fronte di un evento che per definizione è attualmente lesivo ed irreparabile: assumere che la tutela cautelare possa essere “ neutraliter” posticipata equivale ad un non senso, poiché il suo presupposto giuridico (parte del diritto alla difesa costituzionalmente garantito, Corte Cost. 27.12.1974 nr. 284; Corte Cost. nr. 403/2007 dep. il 30.11.2007) è costituito proprio della indifferibilità della tutela a pena della irreparabilità del danno.
La norma in esame determina, pertanto, a giudizio del Collegio (ed anche secondo la maggioranza dei più attenti commentatori che, .in dottrina, hanno trattato l’argomento), una .soppressione della tutela cautelare rispetto agli atti endoprocedimentali immediatamente lesivi, per tutta la serie dei casi in cui, una volta partecipato (o non partecipato a seconda dei casi) alle consultazioni elettorali, in relazione al concreto interesse fatto valere, l’eventuale ripetizione delle elezioni determinerà una differenza di contesto rilevante per le parti, cosa che potrebbe portare le parti medesime a non avere più interesse alle consultazioni successive (ciò che può avvenire per mutati contesti politici che, al momento delle elezioni contestate, erano invece favorevoli all’interessato).
Questi argomenti necessitano essere meglio sviluppati ed approfonditi.
la) In primo luogo, va ritenuto che, con la disciplina dell’istituto di cui al citato art. 83/11, il legislatore ha espunto la tutela cautelare dal giudizio elettorale, impedendo l’esperibilità di uno strumento di tutela, componente essenziale del diritto di difesa, senza che sussistano motivate ed effettive ragioni di tutela di interessi pubblici prevalenti su quest’ultimo diritto costituzionalmente garantito (cfr. in merito alla assenza di effettive ragioni giustificative della disparità di trattamento, quanto sarà esposto sub IV).
Tale limitazione deriva, da un primo angolo visuale, in via di fatto: pure ammettendo formalmente che dopo la proclamazione degli eletti il ricorrente elettorale può chiedere la sospensione cautelare dell’atto conclusivo del procedimento elettorale, per vizi attinenti alla fase dell’ammissione delle liste, è facilmente intuibile come, una volta celebratesi le elezioni e venuti così ad esistenza i rinnovati organi amministrativi elettivi, l’efficacia dei provvedimenti lesivi relativi alla ammissione o alla esclusione di candidati o liste è definitivamente consumata e quindi qualsiasi esigenza di tutela di posizioni dei singoli candidati o delle singole formazioni politiche sarà logicamente
recessiva, nel bilanciamento degli interessi, di fronte all’esigenza – di pubblico interesse di consentire il funzionamento degli organi elettivi proclamati in carica a fronte della richiesta di sospendere atti i cui effetti si sono oramai
completamente prodotti.
Ib) Inoltre, sotto un profilo di rigorosa interpretazione della disciplina dell’istituto del processo elettorale come
disciplinato dall’art. 83/11 cit., la tutela cautelare di cui all’art. 21 della l. 1034/71 non solo diviene praticamente
impossibile, ma è anche formalmente inapplicabile: se il termine per ricorrere viene fatto decorrere dalla proclamazione degli eletti (e si considerano quindi come non oppugnabili in sé gli atti infraprocedimentali lesivi, ossia come se non fossero produttivi di un “arresto”) tale deroga al sistema ordinario di tutela processuale amministrativa non può che condurre l’interprete a ritenere che la disciplina del processo elettorale è esaustivamente contenuta nella disposizione in esame che non contempla alcuna previsione di misure cautelari.
Considerazione quest’ultima facilmente sostenibile, se solo si pone attenzione al fatto che la genesi dell’istituto risale ad un contesto storico e normativo completamente differente dall’attuale, che, invece, conosce uno sviluppo della misura cautelare giudiziale amministrativa particolarmente articolato e complesso.
Se si considerasse, invece, come aveva ritenuto la precedente giurisprudenza, che l’art. 83/11 disciplina solo il termine finale per la proposizione del gravame, derogando quindi l’istituto di cui all’art. 21 l. 1034/71 solamente in relazione al computo finale del suddetto termine, allora potrebbero trovare applicazione i principi generali in tema di decorrenza del termine e, conseguentemente, sarebbe possibile l’integrazione della disciplina delle due disposizioni in esame (artt. 21 l. 1034/71 e 83/11 DPR 570/1969) anche con riferimento alla tutela cautelare; sul piano sostanziale, peraltro, ciò troverebbe corrispondenza nel fatto che, in presenza di un atto infraprocedimentale che non ha ancora esaurito gli effetti, è ancora materialmente possibile inter
venire per correggere l’azione della P .A. e consentire il regolare andamento del procedimento, funzione cui appunto assolve la misura cautelare.
A giudizio del Collegio, la non manifesta infondatezza della questione, nei termini esposti, è dimostrata anche dalla recentissima pronuncia della Corte Costituzionale, nr. 403 del 30.11.2007, pubbl. in GU del 5 dicembre 2007, emessa in relazione all’art. 1 comma 11 della l. 31 luglio 1997, nr. 249, nella parte in cui inibisce la proposizione del ricorso giurisdizionale prima del tentativo obbligatorio di conciliazione e, con essa, anche la tutela cautelare: in questa fattispecie, strutturalmente non dissimile da quella all’odierno esame del Tribunale, la Corte, richiamando la propria giurisprudenza in materia di tutela cautelare, ha respinto la questione sollevata, affermando (nonostante la dizione espressa della norma) che essa è comunque possibile anche prima del tentativo di conciliazione obbligatoria (ricorrendone i presupposti).
Tale principio, applicato alla questione della impugnabilità immediata degli atti elettorali endoprocedimentali, dovrebbe condurre a confermare la incostituzionalità
dell’oriemento del giudice di appello che questo remittente considera quale diritto vivente, posto che, a differenza della norma di cui all’art. 1, comma 11 della l. 249/97, l’art. 83/11 non è neppure certo che possa essere letto, sintatticamente, come vorrebbe la giurisprudenza della “concentrazione processuale” (cfr. oltre, quanto esposto sub IV e V).
II -Violazione degli artt. 24 e 113 sotto atro profilo; violazione degli artt. 48, 49 e 51 della Costituzione (violazione
del diritto di elettorato passivo ed attivo). Violazione art. 3 della Costituzione e del principio di eguaglianza sostanziale. Violazione dell’art 97 della Costituzione.
Consegue a quanto esposto che il legislatore, in caso di esito vittorioso della lite, limita il risarcimento in forma specifica (costituito dalla partecipazione al procedimento elettorale del ricorrente oppure dalla esclusione del controinteressato ammesso al procedimento elettorale) di colui o coloro i quali sono stati lesi dal provvedimento illegittimo dell’Autorità solo al rinnovo delle operazioni elettorali, che avverrà per ovvi motivi in un tempo successivo a quelle comunque già celebratesi.
Ma in questo modo viene gravemente compromesso, oltre che il diritto di difesa, anche il diritto di elettorato attivo e passivo, ed il diritto, connesso, di partecipare alla formazione della volontà politica dei Corpi Amministrativi locali, secondo la disciplina tutelata agli artt. 48, 49 e 51 della Costituzione.
Conseguentemente, viene altresì leso anche l’art. 97 della Costituzione, in quanto il deficit di tutela cautelare impedisce alle parti di ottenere l’azione correttiva del giudice quando ancora è possibile intervenire per ripristinare la legittimità dell’azione amministrativa, a maggiore garanzia della stabilità del risultato elettorale e degli organi eletti in carica.
IIa) Per i competitori politici, ottenere la ripetizione in un tempo successivo della competizione elettorale, in caso di ragione, non è realmente satisfattivo.
Il vizio di fondo di tale impostazione, sta nel fatto che – acriticamente e formalisticamente – si tratta la competizione elettorale come se fosse equivalente ad procedimento di gara d’appalto o un concorso per pubblici impieghi.
Questi ultimi, però, sono procedimenti interamente ed esclusivamente soggetti all’evidenza pubblica disciplinata dalle regole meccanicistiche contenute nella lex specialis e nelle norme di riferimento, presupposti normativi, quindi, che non mutano nella eventualità di una loro ripetizione nel tempo.
Invece, la competizione elettorale avviene in un contesto specifico, nel tempo mutevole, che costituisce specifico e peculiare oggetto di interesse per chi vi partecipa, nella sua attualità e concretezza storica.
IIb) Il competitore elettorale sa bene, intanto, che preparare la candidatura implica una disposizione di risorse ed energie, sia organizzative che finanziarie ed economiche, non facilmente ripetibili (specie per le formazioni politiche minori, come i piccoli partiti nazionali o le liste civiche locali); in ogni caso, la loro reiterazione è sicuramente un impegno ed un onere rilevante che già di per sé incide, limitandolo senza ragione, sul diritto di elettorato passivo.
Ma, più radicalmente, si consideri che l’elettorato è esposto a comunemente noti fattori di influenza che alterano il quadro politico: si pensi, specie nelle elezioni comunali, a quanto varie si rivelano le disparate questioni locali; ma anche a quale incidenza esercitano sugli elettori quelle nazionali, o la percezione della situazione economica o del contesto sociale, gli avvenimenti di particolare clamore, e finanche gli scenari internazionali, a tacere poi degli schieramenti e delle alleanze politiche.
Infine, ciò che al Collegio pare dimostrare l’assoluta non omogeneità tra due procedimenti elettorali reiterati nel tempo – con conseguente violazione del principio di eguaglianza sostanziale, del principio di pari opportunità nell’accesso alle
cariche elettive e nell’esercizio del diritto di elettorato passivo -è che, nelle more del giudizio, chi ha ottenuto la vittoria nelle elezioni invalide continua a governare l’amministrazione locale per un determinato periodo di tempo (il tempo necessario a concludere il processo), il che non è ovviamente senza effetto sul consolidamento di posizioni di vantaggio politico ottenute a danno di chi da quelle elezioni è stato illegittimamente escluso o, di chi, in esse, si è dovuto confrontare – subendoli – con candidati o formazioni che non avrebbero dovuto esservi ammessi (cfr. quanto esposto oltre, sub IV) .
Il decorrere del tempo, nella materia elettorale, non è dunque un fattore neutrale: ed anche il legislatore mostra apertamente di considerarlo discriminante, quando vieta il rinnovo della candidatura al Sindaco dopo il secondo mandato.
Anche in tal senso, infatti, si riconosce nell’esercizio del mandato elettorale della massima carica politico – amministrativa locale un fattore di influenza del contesto politico atto a consolidarsi in posizioni di vantaggio sostanzialmente idonee a creare rigidità tra le opportunità di altri candidati e, come tale, viene appunto limitato in un tempo massimo, posto che, intuibilmente, la ricaduta politica della leadership di un primo cittadino influenza,
avvantaggiandola, anche la posizione dei componenti della sua coalizione.
IIc) Anche le ricadute negative sull’elettorato della reiterazione delle votazioni per motivi di illegittimità nell’ammissione o esclusione di liste, sono virtualmente irreparabili e ciò comporta la violazione delle norme costituzionali in epigrafe sotto l’aspetto della lesione del diritto di elettorato attivo, connesso alla esigenza di tendenziale certezza nella stabilità e nell’affidabilità degli schieramenti che si sottopongono al giudizio dell’elettorato (aspetto e ragione di tutela, questa, che la Sezione aveva particolarmente, considerato nella citata pronuncia nr. 2380/06).
Si pensi, a tacer d’altro, all’impatto negativo in termini di sfiducia da parte degli elettori nei confronti del sistema
elettorale (e delle regole democratiche che lo connotano), che si determinerebbe in chiunque fosse chiamato a ritornare nuovamente alle urne dopo poco tempo dalla precedente consultazione e, magari, dopo un lungo lasso di tempo con il Comune retto da organismi commissariali (come appunto è accaduto nel caso della città di Messina, nella fattispecie esaminata da TAR Catania nr. 2380/06, e CGA 907/07).
Non a caso, peraltro, sono legittimati a ricorrere in materia elettorale i cittadini elettori, perché ciascuno di loro ha
interesse giuridicamente tutelato a poter contare su un quadro politico certo, nell’ambito del quale formare la propria scelta ed esprimere il voto, la cui centralità nel sistema democratico è di tale evidenza che non necessita commento o esposizione alcuna.
Quindi, sottrarre l’interesse al ricorso del cittadino elettore alla possibilità di una tutela immediata, significa costringere colui che, nella espressione del voto, sente di essere leso dall’ammissione o dalla esclusione che reputa illegittima a
sopportare la celebrazione di una competizione elettorale che egli chiederà di annullare e, in definitiva, concorre a scoraggiare l’affluenza alle urne e la partecipazione al voto.
II d) Per le suesposte ragioni appare evidente anche il profilo di illegittimità che induce a ritenere violato l’art. 97 della Costituzione: il differire l’impugnazione degli atti endoprocedimentali all’esito della competizione elettorale finisce con il fare gravare con assoluta sicurezza il rischio della invalidità dell’intero procedimento e della invalidità dell’insediamento dei nuovi organi rappresentativi, con necessità di ricorrere a gestioni commissariali che interrompono il naturale andamento del governo dell’Ente locale (il commissario è un organo di governo per definizione straordinario, perché non legittimato da una votazione popolare e dunque derogante al principio della democraticità del governo dell’Ente).
Vero è che tale rischio non è eliminato dall’ammissione della immediata impugnazione degli atti endoprocedimentali lesivi (cfr. oltre sub IV): ma, in ogni caso, tale considerazione induce il Tribunale a ritenere (come, appunto, sarà meglio esposto sub IV e V) che è proprio la disciplina dell’art. 83/11 ad essere carente sotto questo aspetto, qualsiasi possa essere la sua differente interpretazione.
E comunque, tra l’ammettere la tutela immediata contro gli atti endoprocedimentali ed il differirla al momento successivo alla proclamazione degli eletti, non pare dubitabile che la efficacia e la efficienza del procedimento elettorale, sotto l’aspetto della stabilità del risultato elettorale, sono certamente aiutate dall’intervento tempestivo del giudice, quantomeno nella misura in cui una revisione dei motivi di censura che le parti possono far valere (e che avranno già proposto all’Autorità) induce, già per semplice evidenza logica e probabilistica, a ridurre il rischio dell’errore, anche se l’intervento del giudice è limitato (ratione temporis) alla sola fase cautelare.
III) Contrasto implicito con giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. nr. 154/95).
Quanto esposto in precedenza trova esplicita conferma nelle considerazioni che già altro giudice remittente aveva fatto proprie nel denunciare alla Corte Costituzionale la illegittimità di una norma regionale che, disponendo in materia elettorale, espressamente impediva la impugnabilità degli atti endoprocedimentali.
Più precisamente, si fa riferimento alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Palermo con ordinanze
nn. 766, 767, 768, 769, 770, 771 dell’11 ottobre 1994, pubbl. su G.U., I°s.s. nr. 3 del 18.01.1995, in relazione alla norma
regionale di cui alla legge regionale Sicilia nr. 11 del 05 aprile 1952 art. 22.
Tale norma (a differenza di quello della norma nazionale) era chiara nel recare la “previsione della impugnabilità delle decisioni della commissione elettorale mandamentale con ricorso, anche di merito, al Consiglio di giustizia amministrativa, dopo la proclamazione degli eletti e non oltre un mese dalla stessa.
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata per la ritenuta violazione del principio affermatosi nella giurisprudenza del Consiglio di stato della immediata impugnabilità, ancor prima della proclamazione degli eletti, del decreto di indizione delle elezioni, dell’ammissione od esclusione di lista o di candidati dalla competizione elettorale con eccesso dai limiti della competenza legislativa della Regione e quindi per la ritenuta incidenza sul diritto di difesa in giudizio, sul principio della tutela giurisdizionale, nonché sui principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (in relazione agli artt. 3, 24, e 97 Cost).
Più precisamente, il giudice a quo dopo aver ricostruito l’evoluzione (a quella data) della giurisprudenza amministrativa sul tema, che era pervenuta a ritenere ammissibile l’impugnazione immediata dell’atto endoprocedimentale immediatamente lesivo, censurava la norma regionale siciliana indicata poiché essa era applicata dal C.G.A. per negare l’ammissibilità di tale impugnativa.
Per tale ragione, ritenuta la disparità di trattamento processuale dei cittadini siciliani rispetto a quelli del resto della Nazione {ai quali era riconosciuta la possibilità di ricorrere immediatamente avverso gli atti endoprocedimentali immediatamente lesivi}, ed essendo stata emanata detta norma in una materia (la disciplina processuale) interdetta al legislatore regionale, se ne sollevava la questione di legittimità costituzionale.
La Corte Costituzionale, con sentenza nr. 154/95, ha dichiarato incostituzionale l’art. 22 della L.R. Sicilia 05 aprile 1952, nr. 11, “poiché detta disposizione, nella parte riprodotta dall’art. 18, ultimo comma, del decreto del Presidente della Regione siciliana n. 3 del 1960, …. , fuoriesce dai limiti della competenza legislativa di tipo esclusivo che l’art. 14, lettera o), e l’art. 15 dello Statuto speciale attribuiscono alla medesima Regione in materia di regime degli enti locali e delle relative circoscrizioni”.
Tuttavia, va rilevato che, anche se la norma regionale siciliana citata è stata annullata dalla Corte per superamento dei limiti della competenza legislativa, nella relativa sentenza non può non riconoscersi (per effetto indiretto della prospettazione della questione da parte del giudice a quo) una implicita conferma del contrasto di tale norma con il principio processuaLe dell’immediata ricorribilità contro gli atti lesivi anteriori alla proclamazione degli eletti.
Nella pronuncia in esame, infatti, è stato ritenuto che “non si è in presenza di un “rinvio improprio”, cioè di un’ipotesi di legge regionale che richiama una legge statale, di per sé applicabile al solo fine di facilitare l’individuazione delle norme regolanti i rapporti indicati (v. sentenza n. 304 del 1986) , ma si ha a che fare con disposizioni di legge regionale, sostanzialmente riproduttive di norme statali, che disciplinano un aspetto del regime delle impugnazioni, vale a dire un profilo inerente alla materia giurisdizionale e processuale.”
Per tale ragione, prosegue la Corte, “poiché la disciplina di tale materia, in base all’art. 108, primo comma, della Costituzione, spetta esclusivamente alla legislazione statale e rispetto ad essa gli organi legislativi regionali, nel disciplinare gli oggetti rientranti nelle loro competenze, anche di tipo esclusivo, debbono astenersi da qualsivoglia interferenza, si .deve pervenire, secondo la costante giurisprudenza di questa corte (v., ad esempio, sentenze nn. 76 del 1995, 303 del 1994, 210 e 113 del 1993, 505 del 1991, 203 del 1987, 72 del 1977), alla declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata”).
La differenza lessicale tra le due disposizioni, quella regionale e quella nazionale, palesemente rappresentata dal giudice a quo è dunque il presupposto logico della questione sollevata ed è altresì il presupposto logico-giuridico dell’avvenuto superamento del limite della potestà legislativa regionale: se le norme fossero state identiche, allora non sarebbe sorta alcuna differenza interpretativa tra la giurisprudenza di appello regionale e quella del resto d’Italia e si sarebbe dovuta riconoscere alla norma regionale il solo mero valore ricognitivo, o di richiamo della norma nazionale, finalizzata ad agevolare l’interprete (cfr. Corte Cost. 304/1986), che non avrebbe giustificato la decisione di accoglimento della questione proposta dai giudici a quo, così come invece emessa.
Nel pensiero della Corte, come espresso nella sentenza in esame, la locuzione “sostanzialmente riproduttiva di quella
nazionale” appare soprattutto la indicazione della coincidenza materiale dell’ambito di disciplina sotteso alla norma regionale (ossia materia processuale), non certo come espressiva di un giudizio di identità dei contenuti.
Da ciò deriva, invero, che la norma regionale è stata considerata dalla Corte come non solo adottata al di fuori dall’ambito legislativo regionale, ma soprattutto come recante differente contenuto da quella nazionale.
Non può non osservarsi, quindi, che la interpretazione di “diritto vivente” della norma di cui all’art. 83/11, imposta dalla rinnovata giurisprudenza del Consiglio di stato e del. C.G.A., fornisce pratica applicazione alla norma “materiale” già dichiarata incostituzionale, con la ulteriore (abnorme) conseguenza che la suddetta norma “materiale”, espunta nel 1995 dall’Ordinamento regionale, è venuta adesso a trovare applicazione in tutto il territorio nazionale.
IV) Violazione dell’art. 3 della Costituzione – irrazionalità della norma – disparità di trattamento processuale – disparità di trattamento sostanziale tra i candidati alle e1ezioni locali e violazione degli artt. 3, 51 comma 1, primo inciso, e 97 della Costituzione.
La norma in esame, come visto, è causa di limitazioni del diritto di difesa, nonché dei diritti politici attivi e passivi; essa causa, inoltre, grave disparità di trattamento e si rivela affetta da illogicità oltre che contraddittorietà con la materia del processo amministrativo e la più generale connotazione dei principi processuali generali sotto vari aspetti.
In ipotesi che, rispetto alla materia elettorale, sono di altrettanta gravità ed importanza per l’interesse pubblico ad esse connesso (cfr. le materie di cui all’art. 23 bis della l. 1034/71) rispetto agli atti endoprocedimentali immediatamente lesivi è oggi possibile una intensa e celere tutela sia cautelare che di merito, ed addirittura la tutela ante causam con la possibilità del ricorso al decreto monocratico di cui all’art. 21 1.TAR.
Si pensi, ad esempio, al caso paradigmatico della impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria o di altro atto intermedio del procedimento di gara (o di pubblico concorso), la quale viene considerata dalla giurisprudenza “mera facoltà del controinteressato” che può anche attendere l’emanazione del successivo provvedimento di aggiudicazione definitiva al fine di. gravare quest’ultimo con tutti i provvedimenti presupposti precedenti (ex multis, da ultimo, TAR Lombardia, Milano, I, 22 novembre 2007, n. 6410; TAR Abruzzo, Pescara, I, 20 ottobre 2007, nr. 833; Consiglio di stato, V, 9 ottobre 2007, nr. 5253; TAR Campania, Salerno, I, 27 settembre 2007, nr. 1991).
In questi casi, si è addirittura affermato che l’impugnazione della esclusione dalla gara può ed anzi, deve essere proposta prima dell’aggiudicazione, la quale, poi, deve essere a sua volta impugnata con motivi aggiunti, in quanto solo così si tutelano “quelle esigenze di speditezza, di concentrazione processuale e di prevalenza della tutela in forma specifica che permeano e giustificano il peculiare regime normativo della tutela giurisdizionale in materia di appalti pubblici” (cfr. Consiglio di stato, V, 1 agosto 2007, nr. 4268).
Il contrasto processuale appare stridente, dunque, se si pone caso al fatto che, secondo la giurisprudenza che aderisce all’A.P. 10/2005, le limitazioni e la (riconosciuta) disparità di trattamento sarebbero giustificate in quanto nel procedimento elettorale opererebbe una esigenza di concentrazione particolare, finalizzata ad evitare ritardi e possibili manipolazioni del “risultato elettorale (cfr. in particolare CGA 907/07): medesime esigenze, queste (ossia la concentrazione processuale, la speditezza e la prevalenza della tutela in forma specifica) che si riconoscono nel sistema di tutela apprestata agli appalti di opere pubbliche (laddove, peraltro, la ripetizione della gara rispetto a quella originaria non avverrebbe, come invece per le elezioni, neppure in un contesto mutevole, essendo soggetta a precise regole
procedurali meccanicistiche e determinate nella lex specialis) ove, come visto, l’impugnativa immediata degli atti
infraprocedimentali immediatamente lesivi è non solo possibile, ma da alcune pronuncie, considerata necessaria.
Ad avviso del Collegio, dunque, l’esigenza di tutela che il giudice di Appello ha individuato nella norma non giustifica,
sotto l’aspetto costituzionale in esame, né la restrizione dei diritti di difesa, né la disparità di trattamento processuale, per più ordini di ragioni che possono essere esaminate come segue.
IV a) Ferma restando l’esigenza di tutelare la maggiore stabilità possibile del risultato elettorale, osserva il Collegio
che la vulnerazione di tale interesse pubblico, ossia ciò che (può) falsa(re) l’andamento corretto e tempestivo della scansione procedimentale elettorale non è l’intervento del giudice, ma il provvedimento (di esclusione o di ammissione) illegittimo dell’Autorit.
Questa semplice considerazione è del tutto pretermessa dal legislatore quando impedisce la immediata tutela giurisdizionale di ,chi viene leso dall’esclusione o dalla ammissione illegittima, nel timore di azioni strumentali alla alterazione del procedimento elettorale.
Invero, la prospettiva da cui muove l’A.P. 10/2005, può essere simmetricamente capovolta (cfr. TAR Catania, I, sent. nr. 1357/06 e quanto esposto oltre sub IVb e V): e, comunque, si può osservare che le ragioni di tutela desunte dalla ratio della norma che l’Adunanza Plenaria, nella sua decisione nr. 10/2005, ha mostrato di condividere quale ragione per negare l’an processuale della esperibilità del rimedio cautelare, potrebbero essere, caso per caso, altrettante motivazioni per un rigetto nel merito della domanda di tutela.
Peraltro, riconoscere al giudice il potere di ricevere la domanda giudiziale e valutare i presupposti di una tutela cautelare (comprese le ragioni di gravità della censura, della particolarità del contesto, dell’apprezzamento della misura da adottarsi) appare al Collegio la migliore garanzia contro azioni strumentali (e quindi a tutela dei principi sanciti nell’art. 97 della Costituzione, come esposto prima sub II).
IV b) Il legislatore ha considerato che, stante la serrata cadenza procedimentale che scandisce la tempistica elettorale, l’intervento del giudice non trova materiali spazi di intervento C.G.A. 907/07); che, anzi, non essendo possibile nei termini del procedimento elettorale una pronuncia definitiva e stante la naturale precarietà della tutela cautelare, tale intervento introduce un elemento di instabilità nell’andamento della procedura elettorale, utilizzabile secundum eventum litis (A. P. 10/2005) .
La lettura della ratio legis accolta nella giurisprudenza di cui all’A.P. 10/2005, a prescindere dai dubbi sulla razionalità di essa, appare esaurire l’ambito dell’indagine sul solo piano processuale, obliterando così il sostrato sostanziale
dell’interesse elettorale e dei vizi del procedimento che lo ledono.
Incidentalmente, deve osservare il Collegio che non è condivisibile l’opinione secondo cui la tutela cautelare non possa essere assicurata compiutamente in breve termine o comunque con tempi tali da inserirsi nella scansione procedimentale, orientandola e non alterandola: invero, nel caso esaminato dalla sentenza del CGA nr. 907/07 (ed oggetto della pronuncia del TAR Catania, I sezione, nr. 2380 del 28 novembre 2006) si è verificato che la fase cautelare ha conosciuto un tempo notevolmente lungo, tanto da essere decisa unitamente al merito della causa, ma ciò è accaduto per fatti eccezionali e niente affatto ordinari (ovvero l’impossibilità di stabilire il contraddittorio perché alcuni tra i
controinteressati non risultavano reperibili agli indirizzi che essi stessi avevano fornito in sede di accettazione delle
candidature), e quindi non è esemplificativo del principio che vorrebbe trarne la giurisprudenza che aderisce all’A.P.10/2005, rivelandosi più che altro una eccezione alla regola dei tempi – ordinariamente -ristretti della fase cautelare (cfr. TAR Catania, nr. 2380/06 e le connesse ordinanze, riportate per esteso nel testo della motivazione della sentenza).
Ma, più approfonditamente, pare evidente al Collegio che la ratio della norma sacrifica i diritti effettivi di difesa non già per assicurare la corretta consultazione elettorale e la correlativa formazione della volontà del Corpo elettorale
(esigenze queste che secondo la giurisprudenza del giudice di appello giustificherebbero la diversità di trattamento), ma per assicurare, invece, solo la cadenza dei tempi procedurali e, quindi, in definitiva, per tutelare il lavoro e l’attività degli organi preposti al governo del procedimento elettorale medesimo.
Sul piano sostanziale, infatti, ammettere o meno la esperibilità dei rimedi giurisdizionali immediatamente o dopo la proclamazione degli eletti non aumenta, né diminuisce la possibilità che le elezioni siano travolte dall’accoglimento dei gravami o dal loro rigetto (a seconda dei casi).
Ciò che può incidere sulla stabilità del risultato elettorale, invero, è solo il concreto andamento delle procedure elettorali ed il loro riflesso diretto sulle consultazioni e sulla campagna elettorale, in particolare circa i tempi della pubblicità elettorale ed il correlativo grado di affidabilità che l’elettore può raggiungere circa la 1egittima partecipazione alle competizioni elettorali delle liste e dei candidati.
Ad esempio, si ipotizzi innanzitutto la fattispecie in cui si ricorre contro un provvedimento di esclusione (di lista o di candidato).
In tale ipotesi, l’eventuale ammissione cautelare dell’esclusa/o, non confermata da una pronuncia nel merito favorevole alla parte ricorrente che l’ha ottenuta e se ne è avvantaggiata, segnerebbe ovviamente la necessità di ripetizione delle elezioni (salvo il caso, peraltro controverso in giurisprudenza, della incidenza della prova di resistenza sul permanere dell’interesse a ricorrere). Tuttavia, ad analoga conclusione si dovrebbe egualmente pervenire se, rinviata l’esperibilità del rimedio giurisdizionale a dopo la proclamazione degli eletti, si ottenesse ex post l’annullamento della esclusione.
Speculare appare quindi il caso del gravame proposto contro la illegittima ammissione di lista o candidato concorrente.
In questo caso, il quadro appare simmetrico e capovolto: una esclusione giudiziale in sede cautelare di una lista o candidato ammessi dall’Autorità comporterà, in caso di successivo rigetto del gravame nel merito o di estinzione del giudizio per altre ragioni, la necessità di rinnovare le procedure elettorali.
Ma, analogamente, l’ammissione disposta dall’Autorità e gravata solo dopo la proclamazione degli eletti, una volta che il relativo ricorso risulterà accolto nel merito, comporterà anche in tal caso l’annullamento delle elezioni (salva, come l’ipotesi precedente, la sola prova di resistenza, nei limiti in cui se ne riconosca la rilevanza).
Pertanto, ad avviso del Collegio, non si può escludere che, in .entrambi gli scenari (sia nella prospettiva della immediata ricorribilità che in quella della concentrazione processuale dei mezzi di tutela) , si precostituisca un futuro titolo di invalidazione delle elezioni, da utilizzarsi a seconda del loro esito: questa considerazione, peraltro, ha indotto la Sezione, con diversa composizione del collegio, ad invocare in materia l’intervento del legislatore, con motivazioni che è opportuno riportare per esteso, nella parte di interesse (cfr. TAR Catania, I, nr. 1357/06 del 10 agosto 2006).
Dopo aver ricordato le motivazioni della pronuncia dell’Adunanza Plenaria nr. 10/2005, la Sezione afferma che “non può dirsi… che sotto il profilo degli effetti l’esclusione di una lista possa essere equiparata alla illegittima ammissione.
Invero, posto che nel secondo caso dopo l’espletamento dello scrutinio e della proclamazione degli eletti sarà possibile verificare la refluenza della illegittima ammissione di una o più liste (con la prova di resistenza)…, questo stesso risultato sarà comunque, pregiudicato nella diversa ipotesi di illegittima esclusione di una lista, la quale, in quanto esclusa, non potrà mai manifestare l’influenza della sua partecipazione in seno alla competizione elettorale.
… Probabilmente, un giusto punto di equilibrio sarebbe possibile mediante la riforma della disciplina elettorale, con la previsione di una immediata necessità di impugnazione nei casi di provvedimenti riguardanti l’ammissione delle liste, accompagnata con l’anticipazione dei termini per la presentazione delle stesse e con la riduzione dei termini processuali.
In sintesi, sarebbe auspicabile una procedura simile a quella prevista per le elezioni nazionali, che appare compiuta rispetto a detta fase (cfr. T.A.R. Catania, I, 22.4.2006, n. 629; 10.7.2006, n. 1143).
In altri termini, il regolare svolgimento de1le elezioni e la pedissequa possibilità di impugnativa delle fasi antecedenti e compiute, quali quelle relative all’ammissione delle liste elettorali, proprio per la sicura incidenza sul risultato elettorale finale (determinato, si sottolinea, dalla libera scelta dei cittadini elettori), non possono essere lasciate alle scelte, anche “strategiche”, dei cittadini, oveppiù, come nel caso di specie, siano essi, per altro, in parte candidati non eletti.
Il Collegio, in tal senso, ritiene di dover sottolineare come, nel caso di specie, l’intervento del Giudice amministrativo non venga invocato al fine di correggere il risultato elettorale rispetto ad espressioni di voto malamente valutate dagli organi elettorali a ciò preposti, né di evidenziare irregolarità intervenute nelle singole sezioni durante le operazioni di scrutinio, ma si rivolga ad una fase anteriore ed autonoma del procedimento elettorale.
Pertanto, il giudizio, pur essendo volto a sindacare l’illegittima partecipazione o esclusione di liste -rilevabile, diversamente dai suddetti casi di valutazione sulle operazioni di scrutinio, prima della consultazione elettorale – può comportare i medesimi effetti di annullamento del risultato democraticamente conseguito.
In altri termini, qui il vizio attiene ad una fase antecedente e, come tale, non suscettibile di correzione senza il necessario pregiudizio delle libere scelte operate dal corpo elettorale, mentre nelle operazioni di scrutinio è possibile quasi sempre (tranne nelle ipotesi di gravi vizi attinenti alle sezioni in quanto tali) riordinare le irregolarità attinenti all’espressione del voto.
Anzi, a ben vedere, la correzione delle schede ristabilisce l’esatta espressione del voto, a garanzia della democrazia
Come già cennato, ove si abbia riguardo a censure afferenti alle modalità di espressioni di voto, il G.A. non farà altro che correggere il risultato elettorale riconducendolo alla reale volontà degli elettori.
Ove, inoltre, le censure riguardino anomalie formali nelle sezioni, si potrà ripetere l’elezione in maniera parziale (salvando l’espressione di voto generale) e solo ove ciò sia necessario per effetto della prova di resistenza.
Quest’ultima, però, nel caso delle suddette anomalie, appare non solo esattamente quantificabile (in quanto riferita al numero degli elettori nella sezione ed all’esatto numero di voti dagli stessi espressi), ma consente di rispettare l’espressione di voto altrove acquisito.
Nel caso in esame, relativo alla ammissione delle liste, invece, un’espressione di voto “priva di alcun vizio” e particolarmente consapevole dell’intero corpo elettorale può venire meno per effetto di un errore (altrui) a monte della procedura, in fatto, non più emandabile.
Siffatto risultato, quindi, ad avviso del Collegio, mina le stesse fondamenta dell’espressione della sovranità popolare e del corretto procedimento amministrativo (artt. 1, co. 2, e 97 Cost.), introducendo, per altro, la possibilità di consentire pericolosi ed antidemocratici espedienti, finalizzati a porre nel nulla competizioni elettorali altrimenti determinate in maniera democratica.
In altri termini, la mancata previsione di un termine decadenziale breve rispetto all’impugnativa di provvedimenti conclusivi di una fase antecedente all’effettivo svolgimento della competizione elettorale, consente di restare “alla finestra” in attesa del risultato favorevole o meno e di utilizzare l’arma dell’annullamento dell’intera competizione, in
quanto, per l’appunto, perduta”.
In tutti i casi appena esposti, peraltro, la prova di resistenza non avrà rilevanza alcuna (e quindi non sarà idonea ad
introdurre un correttivo al pericolo del rifacimento delle elezioni) laddove si aderisca alle opinioni espresse nella
sentenza del CGA 907/2007 (che il Collegio, sul punto, condivide) secondo cui non è possibile in ogni caso (specie in presenza di voto disgiunto) ricostruire quale sarebbe stata la volontà dell’elettorato senza la partecipazione di quella determinata lista o candidato che non avrebbe dovuto partecipare alle elezioni e che, quindi, avendo partecipato, ha alterato in maniera irreversibile la genuinità della consultazione.
In entrambi gli scenari interpretativi che si sono illustrati, infatti, non si può escludere che, in forza di una illegittima ammissione di lista o di candidato o di una ammissione provvisoria in base a provvedimento cautelare giudiziale poi non confermato, l’alterazione o inquinamento del procedimento elettorale si verifichi: anche nel caso in cui gli ammessi non conseguano risultati elettorali utili, essi avranno comunque drenato preferenze che sono state quindi potenzialmente sottratte ad altri candidati, anche solo in termini di chances (dovendosi pur sempre considerare l’incidenza degli astenuti) ed in ogni caso non si può ricostruire la reale volontà deg1i elettori in presenza del meccanismo del c.d. voto disgiunto.
Quest’ultima considerazione porta dunque il Collegio a dover disattendere le conclusioni cui pure è pervenuta una parte minoritaria della giurisprudenza, secondo la quale è immediatamente impugnabile solo l’esclusione di una lista o di un candidato, in quanto la lesività di tale provvedimento sarebbe immediata, a differenza del caso in cui ci si dolga di una ammissione illegittima di un concorrente, la cui lesività si potrebbe verificare solo dopo la proclamazione del risultato elettorale (in termini, la recentissima pronuncia del TAR Lombardia, Brescia, nr. 1135 del 6 novembre 2007; cfr. anche Consiglio di Stato, V, nr. 2368 del 16 maggio 2006).
Invero, dunque, la stabilità del risultato elettorale è certamente un interesse meritevole di tutela e assurge ad elemento centrale dell’interesse elettorale, individuale e collettivo: ma non è l’intervento giudiziale né, nella specie, quello cautelare a metterlo in forse, in quanto esso dipende sempre e comunque solo dalla correttezza del procedimento elettorale.
IV c) Si aggiunga che, secondo la esposta lettura dell’art. 83/11 cit., ulteriore evidente contraddittorietà della soluzione perseguita, rispetto alla tutela della esigenza del risultato elettorale, sta nel fatto che la tutela della campagna elettorale e dei relativi tempi sarebbe tale da far preferire la ripetizione delle elezioni, in caso di esito vittorioso della lite di un candidato o di una lista esclusa, anziché – in ipotesi – disporre un breve o brevissimo rinvio delle elezioni in itinerere per il tempo necessario ad assicurare – ove necessario – una proroga dei tempi procedimentali previsti.
Eppure tale ultima soluzione, ove necessaria, non inciderebbe sulla par condicio dei candidati, se non nei ristretti limiti in cui alcuni tra essi potrebbero avvantaggiarsi di un supplemento di pubblicità elettorale: invece, la ripetizione delle elezioni assicurerebbe, come visto sopra, alla coalizione uscita vittoriosa nelle elezioni illegittimamente tenutesi, la possibilità di consolidare la propria posizione di indubbio vantaggio con un periodo di amministrazione di governo (elemento rilevantissimo per assicurarsi un rafforzamento delle proprie posizioni politiche a scapito dei concorrenti) e non assicurerebbe comunque a nessuno di coloro che erano già stati ammessi alle precedenti elezioni
invalide di essere nuovamente ammessi alle successive dovendosi ripetere il procedimento integralmente: cfr. CGA sent. nr. 907/07).
Sotto questo aspetto, dunque, la disciplina contenuta nell’art. 83/11 è causa di gravissima disparità di. trattamento sostanziale tra i candidati risultati eletti in forza di. elezioni invalide ed i candidati che, ottenuta ragione dal giudice amministrativo, dovranno confrontarsi con i primi in una posizione di svantaggio.
In tal senso, la norma viola il diritto alla pari opportunità nell’esercizio dei diritti politici che è espressamente sancito nell’ art. 51, primo comma, primo inciso della Costituzione.
Ed, infine, la norma in esame collide con 1’esigenza di tutela del pubblico interesse alla correttezza, imparzialità e buon andamento della P.A., sancita dall’art. 97 della Costituzione, perché consente, per definizione, ad un organo elettivo proclamato in carica all’esito di un procedimento elettorale invalido, di governare per un periodo di tempo consistente, senza legittimazione popolare effettiva.
Per tutte le suesposte considerazioni, pertanto, appare evidente al Tribunale, che la norma, così com’è è irrazionale e non consente di offrire adeguata tutela a chi subisce il provvedimento illegittimo dell’Autorità nel procedimento elettorale.
V) Irrazionalità della norma sotto altro profilo impossibilità di interpretazione –
Quest’ultimo aspetto conduce a rilevare ulteriormente che la norma è irrazionale in quanto irrimedibilmente ambigua e come tale viola il principio della certezza del diritto, date le diverse letture che essa, nella sua formulazione letterale, è atta a supportare.
E’ bene premettere, a tale proposito, che l’art. 83/11 del T.U. n. 570 del 1960 (introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di carattere procedurale sono tuttora vigenti in quanto richiamate dall’art. 19 dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034) stabilisce quanto segue: “Contro le operazioni per l’elezione dei consiglieri comunali successive alla emanazione del decreto di convocazione dei comizi, qualsiasi cittadino elettore del Comune, o chiunque altro vi abbia diretto interesse, può proporre impugnativa davanti alla sezione per il contenzioso elettorale (ora: al Tribunale amministrativo regionale – n. d. r.) con ricorso che deve essere depositato nella segreteria entro il termine di giorni trenta dalla proclamazione degli eletti”.
Il dato letterale (“entro il termine di giorni trenta dalla proclamazione degli eletti”) che disciplina il tempo della proponibilità del ricorso, può prestarsi a due diverse interpretazioni.
Secondo la prima, la “decorrenza” è solo un criterio di computo e quindi la perentorietà del termine è riferibile al solo dies ad quem.
Secondo la diversa ,prospettiva della concentrazione dei rimedi processuali, la “decorrenza” ha invece valore giuridico e quindi la perentorietà del termine è riferibile anche al “dies a quo”.
Quest’ultima è l’impostazione di cui alla sentenza de11’Adunanza Plenaria nr. 10/2005: l’orientamento fatto proprio
dalla citata decisione dell’A.P. era stato sostanzialmente seguito dalla prevalente giurisprudenza fino alla fine degli anni ‘ 80 (Consiglio di Stato, V, 27 agosto 1971, nr. 745; 14 dicembre 1971, n. 1460; 14 febbraio 1984, n. 122; 07 marzo 1986, nr. 158).
A partire dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. V, nr. 322 del 03 aprile 1990, si era invece affermato un diverso
indirizzo, secondo il quale si riteneva che oggetto del giudizio elettorale ben può essere la singola fase del procedimento e che, pertanto, sono immediatamente ed autonomamente impugnabili, ancora prima della proclamazione degli eletti, il decreto di indizione delle consultazioni elettorali e l’esclusione di un candidato o di
una lista (cfr. ex plurimis oltre alla decisione citata, anche Consiglio di Stato, V, 31.12.1993 nr. 1408; 30 marzo 1994, n. 217; 15 febbraio 1994, n. 92; Ad. Plen. 24 luglio 1997, n. 15; Consiglio di Stato, Sez. V, 18 giugno 2001, n. 3212; cfr. anche Cons. Stato, Sez. V, 28 gennaio 2005, n. 187; 3 febbraio 1999, n. l16, le cui decisioni sottolineano il carattere facoltativo della impugnazione avverso gli atti endoprocedimentali attualmente lesivi, determinandosi poi la necessità della impugnazione anche della proclamazione degli eletti) .
Anche dopo la sentenza dell’Adunanza Plenaria nr. 10/2005 si sono avute pronuncie di segno opposto: il Consiglio di Stato, V, con pronuncia nr. 2368 del 16 maggio 2006 ha ritenuto che fosse immediatamente impugnabile la esclusione di lista, essendo il profilo della lesività in questo caso diretto ed immediato; analogamente ha ritenuto TAR Lombardia, Brescia, con la sentenza nr 1135 del 6 novembre 2007; questa Sezione, dal canto suo, ha aderito alla Adunanza Plenaria con la sentenza nr. 1357/06, ed in altra fattispecie, con diverso Collegio, ha dapprima ritenuto ammissibile il gravarne precedente alla proclamazione degli eletti, considerando poi irrilevante la questione per la successiva proposizione di tempestivi gravami contro la proclamazione degli eletti (sentenza nr. 2380/2006).
A giudizio di questo remittente, la altalenante (ed esasperante, si potrebbe dire) oscillazione interpretativa giurisprudenziale è prova del fatto che la norma è oggettivamente ambigua e formulata in un contesto che non consente alcuna sicura interpretazione, con evidente lesione dei principi di certezza del. diritto, specie perché, come esposto al paragrafo precedente, non è possibile risolvere detta ambiguità alla luce della ratio legis.
L’impossibilità di interpretazione emerge anche più nettamente se si considera che le interpretazioni di essa sono
addirittura tre (immediata impugnabilità dell’ammissione o dell’esclusione; inammissibilità di tale impugnazione;
ammissibilità della sola impugnazione immediata dei provvedimenti di esclusione) come visto nel paragrafo che precede.
A quanto esposto, consegue dunque che l’insufficienza della norma, derivante dalla sua oramai evidente impossibilità di essere univocamente interpretata, senza offrire inoltre piena tutela agli interessi legittimi ed ai diritti politici dei competitori elettorali, ne impone la declaratoria di incostituzionalità per contrasto con le norme ed i principi costituzionali che si sono indicati o, quantomeno, impone che ne sia dichiarata l’incostituzionalità nella parte in cui può essere interpretata come ostativa alla immediata ricorribilità di fronte al giudice naturale a tutela dai provvedimenti illegittimi di esclusione o di ammissione di liste o candidati.
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Per le suesposte considerazioni, a norma dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la risoluzione della questione incidentale di costituzionalità di cui trattasi, disponendosi conseguentemente le sospensione del giudizio cautelare instaurato col ricorso in epigrafe.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania (sez. 1)_ – ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 83/11 del DPR 570/1960 (introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di carattere procedurale sono richiamate dall’art. 19 dalla legge 6 dicembre 1971, TI. 1034), o, in subordine, dell’art. 83/11 del DPR 570/1960 (introdotto dall’art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di carattere procedurale sono richiamate dall’art. 19 dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034) nella parte in cui. si interpreti nel senso che impedisce la proposizione del ricorso avverso atti endoprocedimentali attualmente lesivi anteriormente alla proclamazione degli eletti, in relazione agli artt. 3, 24, 48, 49, 51, 97 e 113 della Costituzione, SOSPENDE il giudizio in corso ed ORDINA l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale perché si pronunci sulla questione di legittimità costituzionale della norma di legge sopraindicata.
DISPONE che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato della Repubblica, ed al Presidente della Camera dei Deputati.
Così deciso in Catania, nella camera di consiglio del 10/01/2008.”
Depositata in Segreteria il 28 FEB. 2008