Concorso pubblico e valutazione oggettiva dei concorrenti

Il concorso, quale emerge
da una ultrasecolare disciplina legislativa e come è stato recepito
dall’art. 97 terzo comma della Costituzione, consiste nella selezione
dei concorrenti in base a oggettive valutazioni dei loro titoli e dei
risultati degli appositi esami da loro sostenuti, o dei titoli e degli
esami secondo i principi di imparzialità e di buon andamento.

Il criterio di attribuzione dei punteggi,
attraverso il metodo proporzionale incide sui punteggi massimi
conseguibili dai singoli che finiscono per dipendere non dal valore in
termini assoluti del loro curriculum studiorum, ma da un elemento del
tutto casuale come il loro rapporto relativo con altri candidati; in tale ottica, tale metodo di valutazione distorce la realtà e viola i
cardini costituzionali di cui all’art. 97 Cost. dell’imparzialità e
della par condicio, che peraltro sono in materia specificamente
ricordati anche dal secondo comma dell’art. 1 del D.P.R. n. 487/94.

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Tar Lazio, sezione 3° quater

Sentenza 2 marzo 2009 numero 2118

(presidente Di Giuseppe, relatore Realfonzo)

(…)

Diritto

Il ricorrente deduce l’illegittimità della sua mancata ammissione alla prova orale, tra l’altro, sotto due profili sostanziali di doglianza, relativi all’illegittimità dei criteri utilizzati dalla Commissione, la quale avrebbe violato delle regole del bando di concorso; del d.P.R. n. 487/1994; e non avrebbe valutato il secondo titolo di studio.

1.1. Quanto ad un primo profilo relativo alla mancata valutazione della seconda Laurea si premette che, con nota del 26 settembre 2007 l’ISTAT ha depositato il verbale n. 9 con cui la Commissione, in via di autotutela, ha valutato anche tale secondo titolo accademico del ricorrente, senza che però da tale circostanza sia derivato alcun mutamento della sua posizione in graduatoria ed in conseguenza senza che lo stesso fosse ammesso alla prova orale.

Tale circostanza fa diventare improcedibile il profilo di cui a pag. 16 del ricorso con cui si lamentava specificamente la mancata valutazione di tale elemento, ma non fa venir meno l’interesse del ricorrente alle restanti censure del ricorso.

1.2. Deve invece esser respinto il profilo (di cui a pag. 7 della parte in fatto) con cui si lamenta la mancata valutazione delle pubblicazioni presentate in quanto la valutazione nel merito delle pubblicazioni appare afferire strettamente al merito amministrativo, come tale estranei al sindacato di questo Giudice.

2. Con il profilo principale di doglianza si lamenta l’illegittimità del criterio di valutazione adottato dalla Commissione, che avrebbe violato i principi generali di cui agli artt. 1, comma 1 e 3, della Legge 241/1990 ed all’art. 97, comma I, Cost. In particolare si lamenta che l’introduzione di uno schema di “riproporzionamento” dei punteggi dei due ambiti di valutazione, “Pubblicazioni” e “Formazione” parametrandoli in base al punteggio del candidato che sarebbe risultato migliore classificato costituirebbe una diretta violazione dell’art. 6 del Bando di concorso. Tale meccanismo non sarebbe stata assolutamente prevista nel Bando di concorso, ad avrebbe finito per costituire una limitazione sperequativa.

Inoltre, non si comprenderebbe la ragione che ha spinto la Commissione a non introdurre analogo criterio di “riproporzionamento” anche per gli altri due ambiti “Titoli di servizio” e “Profilo culturale e professionale”: seguendo la stessa impostazione tutti e quattro gli ambiti di valutazione dei titoli sarebbero stati così riproporzionati, riconducendo la valutazione complessiva dei singoli candidati entro i termini fissati dal Bando. Infine tale determinazione difetterebbe di adeguata motivazione.

L’assunto è fondato nei sensi che seguono.

In linea di principio si deve ricordare come il concorso, quale emerge da una ultrasecolare disciplina legislativa e come è stato recepito dall’art. 97 terzo comma della Costituzione, consiste nella selezione dei concorrenti in base a oggettive valutazioni dei loro titoli e dei risultati degli appositi esami da loro sostenuti, o dei titoli e degli esami secondo i principi di imparzialità e di buon andamento (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 14 aprile 2008 , n. 1685).

Ciò posto deve ancora ricordarsi come, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del bando di concorso, la Commissione esaminatrice disponeva complessivamente per la valutazione dei titoli di un punteggio pari a 100 così ripartito:

a) per le “pubblicazioni/lavori” e la “formazione” un punteggio massimo di 10 punti per ciascuna categoria;

b) per i titoli di servizio un punteggio massimo di 50 punti;

c) per il giudizio complessivo sul profilo professionale e culturale dei candidati un punteggio massimo di 30 punti.

In ogni caso, l’art. 6 del bando, nel fissare il massimo dei punteggi conseguibili, imponeva che i candidati dovessero conseguire esattamente il punteggio che spetta loro attraverso la retribuzione di tutti gli elementi valutabili ma nel massimo di dieci, trascurando quindi l’ulteriore retribuzione dei titoli eccedenti il detto limite.

La Commissione esaminatrice, in sede di definizione dei criteri di valutazione dei titoli, ossia nel verbale n. 1 del 13.11.2006, ha invece stabilito di adottare per la valutazione di tutti i candidati, di una fantasiosa formula di “riproporzionamento”, chissà perché riferita esclusivamente a queste due categorie, consistente nell’assegnare i 10 punti massimi, disponibili per le categorie di titoli “pubblicazioni/lavori” e “formazione”, solo al candidato risultato il migliore sulla base della sommatoria di valori complessivamente ottenuti nelle due predette categorie e nell’attribuire il punteggio agli altri candidati sulla base di detto riproporzionamento, con l’applicazione di una formula matematica (valore/(diviso) valore migliore) x (moltiplicato) per 10”.

Tale nuovo criterio ha avuto un ruolo particolarmente rilevante, in relazione al precetto dell’art. 7 del bando, per il quale, per essere ammessi al colloquio, occorreva riportare nella valutazione dei titoli un punteggio non inferiore a 70/100.

Infatti nel caso del ricorrente una valutazione neutra del titolo formazione lo avrebbe portato a conseguire 10,3 (e quindi sopra al massimo conseguibile di 10 p.ti) per la voce formazione.

Tale formula finiva invece per schiacciare meccanicisticamente i punteggi effettivamente spettanti indistintamente a tutti i concorrenti che, pur in presenza di elementi che avrebbero fatto conseguire loro il massimo, non lo potevano raggiungere in conseguenza di un criterio di retribuzione dei punti agganciato non al suo valore in termini assoluti, ma alla distanza relativa tra il punteggio realmente spettante e quello del primo.

Con il risultato, in via di fatto, sia di retribuire di meno rispetto al dovuto i candidati con un numero di pubblicazioni vicino al massimo; e di valutare le pubblicazioni possedute in misura superiore a quelle minime necessarie per raggiungere il punteggio massimo del bando.

La Commissione ha dunque violato l’art. 6 del bando che pone un limite alla valutabilità di un certo titolo, sull’evidente presupposto implicito dell’irrilevanza, degli ulteriori elementi posseduti dai concorrenti in una misura eccedente a quelli necessari, a costituire un indizio rilevatore della maggiore attitudine del concorrente allo svolgimento delle funzioni poste a concorso (e questo può essere particolarmente vero proprio per le pubblicazioni e la formazione).

La manifesta iniquità del criterio è direttamente comprovata dalla stessa Commissione che l’ha limitata solo a due delle quattro categorie di titoli valutabili.

E ciò è dimostrato proprio dai punteggi conseguiti dai candidati nelle categorie de quibus. Al riguardo basta confrontare i punteggi delle schede di valutazione dei singoli concorrenti (cfr. verbali 2-5) e la graduatoria finale per comprendere l’irragionevolezza radicale del metodo.

A titolo meramente esemplificativo, successivamente alla riconsiderazione in autotutela della posizione del ricorrente, la Commissione ha attribuito per la formazione un totale di p.ti 10,3, ma tale incremento di punteggio per effetto della “riparametrazione” non ha alcun rilievo sulla sua posizione in sede di graduatoria finale (cfr. verbale n. 9/2007 della Commissione).

Certamente il Collegio conosce e condivide l’orientamento giurisprudenziale per cui, in sede di giudizio amministrativo di legittimità, non sono sindacabili i criteri stabiliti dall’amministrazione ai fini dell’attribuzione dei punteggi e della valutazione dei titoli in un pubblico concorso o in un esame di abilitazione, salvo il caso di manifesta e distorcente irrazionalità (cfr. infra multa Consiglio Stato , sez. V, 14 aprile 2008 , n. 1698). Tuttavia, nel caso di valutazione di titoli, il giudizio della Commissione esaminatrice, in coerenza con i principi costituzionali di cui agli artt. 24, 97 e 113 Cost., è pienamente sindacabile quando – come nel caso di specie — emerga l’irragionevolezza, la contraddittorietà, la manifesta ingiustizia e l’apoditticità della motivazione del provvedimento alla luce dei presupposti e delle circostanze di fatto (cfr. ad es. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 18 dicembre 2006, n. 14793).

In definitiva dunque, il criterio di attribuzione dei punteggi, attraverso il metodo proporzionale incide sui punteggi massimi conseguibili dai singoli che finiscono per dipendere non dal valore in termini assoluti del loro curriculum studiorum, ma da un elemento del tutto casuale come il loro rapporto relativo con altri candidati.

In tale ottica, tale metodo di valutazione distorce la realtà e viola i cardini costituzionali di cui all’art. 97 Cost. dell’imparzialità e della par condicio, che peraltro sono in materia specificamente ricordati anche dal secondo comma dell’art. 1 del D.P.R. n. 487/94.

Di qui l’illegittimità del procedimento adottato dalla Commissione.

Il motivo è dunque fondato e deve essere accolto.

In definitiva, in tali esclusivi limiti, il ricorso deve essere accolto e per l’effetto deve essere annullata la valutazione dei titoli e, di conseguenza, la fase dell’ammissione ai colloqui dei concorrenti e la graduatoria finale, con il conseguente obbligo dell’amministrazione resistente di provvedere a rinnovare la valutazione dei titoli (espungendo il c.d. “riproporzionamento”, alla luce di quanto sopra illustrato) ed ai conseguenti adempimenti.

Va, invece, dichiarata – allo stato – inammissibile la domanda di risarcimento del danno, restando impregiudicata ogni ulteriore azione a seguito dell’approvazione della nuova graduatoria in esito agli adempimenti di cui sopra.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore del ricorrente.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio– Sez.III^-quater :

1. accoglie, negli assorbenti profili di cui in motivazione, il ricorso e per l’effetto annulla i provvedimenti di cui in epigrafe.

2. Condanna l’ISTAT al pagamento in favore del ricorrente delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 2.000,00, di cui € 500,00 per spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa. Così deciso dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio– Sez.III^-quater, in Roma, nella Camera di Consiglio del 5 novembre 2008. Depositata in Segreteria il 2 marzo 2009.

Redazione

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