Bozza di Direttiva UE sul procedimento amministrativo telematico europeo: appunti in materia di concorrenza e mercato pubblico dell’informatica (II parte)

Dopo aver analizzato i punti di forza della bozza di direttiva in questione, è la volta delle possibili integrazioni proposte dallo Studio Legale Giurdanella sul testo attuale della bozza di direttiva, che domani l’avvocato Carmelo Giurdanella esporrà nel corso del Congresso Internazionale, che chiude i lavori del progetto di ricerca dell’Università di Cagliari per una Direttiva UE sul procedimento amministrativo telematico europeo.

Le prime osservazioni riguardano i profili più attinenti alla concorrenza ed al mercato dei servizi informatici.

In primis, si analizzi la previsione dello "sportello fisico" (art. 1, comma 2) che "in alternativa all’accesso telematico", le amministrazioni hanno l’obbligo di mettere a disposizione di cittadini e imprese. Tale sportello sarà inoltre "presidiato da un pubblico dipendente che attiverà il procedimento telematico per conto del cittadino o dell’impresa che si rivolgerà ad esso".

La previsione non convince. Se, come sembra chiarire la norma, il procedimento telematico non è un obbligo a carico della PA ma, scendendo leggermente di livello, un diritto dell’utente della PA ("I procedimenti amministrativi ad iniziativa di cittadini ed imprese sono attivabili a mezzo della telematica"), lo sportello fisico finirebbe per costituire per cittadini e imprese una non richiesta "terza via" di attivazione del procedimento amministrativo: da un lato, infatti, le amministrazioni sono già obbligate ad attivare il procedimento telematico laddove l’utente manifesti tale volontà (e la formulazione dell’art. 1 comma 1 sembra essere in tal senso pacifica); dall’altro lato, l’utente che non vorrà servirsi degli strumenti di digitalizzazione del procedimento, potrà recarsi, come ha sempre fatto in passato, presso l’ufficio fisico preposto alla ricezione delle istanze, per avviare il più tradizionale, ma ancora vivo, procedimento "di carta".

Ora, di tale istituto in effetti non si scorge alcuna particolare utilità, nè per l’utente, e ciò per le osservazioni appena formulate; nè per le pubbliche amministrazioni, visti gli importanti aggravi di spesa che ne deriverebbero. Si pensi peraltro che le pubbliche amministrazioni sarebbero tutte obbligate a istituire tale sportello, peraltro preponendo ad esso un proprio dipendente.

Sarebbe dunque maggiormente auspicabile la previsione dello sportello fisico come strumento meramente facoltativo; così, inoltre, si garantirebbe alle PA che vorranno dotarsene di accedere anche al mercato dei servizi informatici, ovviamente secondo le procedure ad evidenza pubblica previste dalla cd. Direttiva Appalti, nonchè sulla scorta del fondamentale principio comunitario di concorrenza. In tal modo, le PA potrebbero scegliere secondo le proprie esigenze – tanto funzionali quanto economiche – di avvalersi o di propri dipendenti o di soggetti privati fornitori dei servizi informatici richiesti.

Scorrendo la bozza di direttiva, si legge l’art. 3, che stabilisce il limite al di sotto del quale le amministrazioni procedenti sono esonerate dalla gestione tecnica del procedimento amministrativo telematico.
Al di sotto di quel limite, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, "provvede una struttura organizzativa di ambito territoriale più vasto, fornendo alla struttura amministrativa procedente un servizio che le consenta di agire per esercitare telematicamente le competenze sostanziali che la legge le affida".

Anche in questo caso, non convince appieno la previsione rigida di un necessitato doppio livello di intervento pubblico (come detto uno amministrativo ed uno tecnico) e ciò per le medesime ragioni di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa di cui sopra. I costi pubblici aumentano, e al contempo si moltiplicano gli ostacoli che si frappongono tra l’utente della PA e l’esito del procedimento telematico da questi avviato: tanto per fare un esempio, l’amministrazione procedente non potrà essere in alcun modo responsabile delle eventuali lungaggini della struttura organizzativa prevista dall’art. 3 comma 2, per cui il cittadino (o l’impresa) sarà due volte utente, con buona pace – nella maggior parte dei casi – della celerità del procedimento telematico avviato.

Una soluzione potrebbe essere quella di sancire, a carico delle amministrazioni al di sotto dei sopradetti limiti "in cui la loro dimensione e potenzialità ne consentono la completa funzionalità", l’obbligo di avvalersi di società di servizi informatici, private, pubbliche o miste che siano, ma in ogni caso mediante il ricorso – ancora una volta – al libero mercato ed alle procedure di gara previste per legge.

Un terzo profilo inerente ancora alla concorrenza riguarda l’art. 6 della bozza di Direttiva, laddove al comma 2 prevede che "i documenti informatici delle pubbliche amministrazioni devono possedere requisiti tecnici che ne assicurino la più ampia leggibilità, non legata a sistemi operativi e software proprietari". Ora, questa previsione porta in dote un effetto diametralmente opposto alle esigenze di interoperabilità del software nonchè, più a monte, al principio della par condicio tra i fornitori di programmi informatici (cd. software house).

In effetti, secondo la norma in esame, i requisiti tecnici del documento informatico sarebbero legittimi anche nella paradossale ipotesi in cui fossero interoperabili con i sistemi informatici a codice sorgente aperto, ma tuttavia non con quelli cd. proprietari. Ciò evidentemente non si sposa con il concetto di interoperabilità delle informazioni nel settore pubblico – peraltro espressamente richiamato nei considerando della bozza –  concetto già sancito più volte a livello comunitario: si vedano ad esempio la Raccomandazione del 26 marzo 2009, nonchè la Direttiva 2003/98/CE.

Qui la I parte delle osservazioni (punti di forza della bozza di Direttiva).

Qui la III parte delle osservazioni (siti web della PA e pubblicazione telematica del provvedimento).