Appalti: certificato di qualità ed avvalimento “a cascata”

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n.2832 del 24 maggio scorso, ha dichiarato legittimità della clausola di un bando di gara che prevede, tra i requisiti di ammissione di capacità tecnica dei concorrenti, il possesso a pena di esclusione  della certificazione attestante “l’ottemperanza alle norme in materia di qualità (…) relative alla gestione per la qualità dei processi di produzione, vendita e assistenza” delle apparecchiature oggetto dell’appalto.

In particolare i Giudici di Palazzo Spada affermano che “è senz’altro logica e proporzionata la richiesta da parte della lex specialis di gara del certificato di qualità relativo alla fase di produzione poiché ciò all’evidenza assicura maggiori garanzie sulla qualità dei prodotti oggetto di fornitura e responsabilizza in via diretta le imprese produttrici anche in caso di avvalimento”.

In quest’ultimo caso occorre rammentare che il ricorso all’istituto dell’avvalimento è previsto per  garantire la massima partecipazione alle gare. Questo strumento consente all’operatore economico che partecipa ad una procedura di gara per l’affidamento di un appalto pubblico, per il quale è richiesto il possesso di determinati requisiti (economico-finanziari o tecnico-organizzativi),  di avvalersi dei requisiti di un altro operatore economico.

Tuttavia, il nostro ordinamento, nelle gare di appalto, non ammette la possibilità di avvalersi di un soggetto che poi a sua volta utilizzi i requisiti di un altro soggetto, sia pure ad esso collegato, posto che in tal modo si realizzerebbe una fattispecie di avvalimento, per così dire, “a cascata”, non ricavabile dall’art. 49 del Codice dei contratti.

Sulla base del superiore principio, nel caso di specie, è stata ritenuta legittima l’esclusione di una ditta che, ai fini di comprovare il possesso del requisito del certificato di qualità relativo alla produzione dei prodotti da fornire, aveva fatto ricorso all’istituto dell’avvalimento, indicando altra impresa, la quale a sua volta, per il possesso del certificato di qualità stesso, aveva fatto rinvio ad altra impresa, anche se facente parte di una medesima holding.

La recente giurisprudenza, infatti, sul punto ha precisato che “il rapporto di partecipazione societaria, anche sotto forma di holding, non è certamente idoneo a dimostrare che una delle imprese della holding medesima possa ipso facto disporre dei requisiti tecnici, organizzativi e finanziari di un’altra, e viceversa”.

Per ulteriori approfondimenti, si rende disponibile il testo della sentenza del C.d.S. n.2832 del 24 maggio 2013.

Redazione

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