Sommario: 1. Perché il Festival di Sanremo dovrà essere affidato mediante gara. 2. Perché il ricorso proposto è stato ritenuto ammissibile. 3. Perché il Tar ha salvato l’edizione 2025 del Festival di Sanremo. 4. Il fondamento del potere del giudice amministrativo di limitare l’effetto caducatorio delle proprie sentenze: 4a. Consiglio di Stato, VI, 10 maggio 2011 n. 2755. 4b. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22 dicembre 2017 n. 13. 4c. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021. 4d. Consiglio di Stato, sez. I, parere del 30 giugno 2020 n. 1233. 4e. La possibilità di prospective overruling da parte del giudice amministrativo può essere ritenuto orientamento giurisprudenziale prevalente?
Il Tribunale Amministrativo, con una sentenza interessante, sotto vari aspetti, ha annullato gli atti di affidamento della gestione e organizzazione del “Festival di Sanremo” alla RAI, adottati dal Comune di Sanremo, titolare del relativo marchio.
Si tratta della sentenza numero 843 del 5 dicembre 2024, depositata dal TAR Liguria (presidente Giuseppe Caruso, relatore Davide Miniussi).
1.- Perché il Festival di Sanremo dovrà essere affidato mediante gara
Il TAR ha stabilito che la convenzione tra il Comune di Sanremo e la RAI “rappresenta, quantomeno nella parte in cui ha ad oggetto la concessione del Marchio, una concessione di beni o, comunque, un contratto attivo, ossia un contratto con cui il Comune di Sanremo dispone di una propria utilitas, che rappresenta un’opportunità di guadagno (in quanto è sfruttabile economicamente), in favore di un soggetto – RAI – privato, il quale corrisponde al Comune un corrispettivo. Trattandosi di un contratto attivo, per le ragioni sopra esposte lo stesso deve essere aggiudicato all’esito di una procedura di evidenza pubblica, come prescritto dall’art. 13, co. 2 e 5 del Codice, sulla base dei principi (tra gli altri) di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità e trasparenza, proporzionalità (art. 3), in modo da consentire al Comune di trarre l’utilità più elevata possibile dalla concessione dell’uso del Marchio”.
E’ vero che il Codice dei contratti pubblici, approvato con decreto legislativo n. 36 del 2023, prevede
“Art. 56. (Appalti esclusi nei settori ordinari)
1. Le disposizioni del codice relative ai settori ordinari non si applicano agli appalti pubblici:
(…)
f) aventi ad oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o coproduzione di programmi o materiali associati ai programmi destinati ai servizi di media audiovisivi o radiofonici che sono aggiudicati da fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici, ovvero gli appalti concernenti il tempo di trasmissione o la fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici”.
E tuttavia
“l’esclusione degli appalti ‘concernenti […] la fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici’ dall’ambito di applicazione del Codice (art. 56, co. 1, lett. f) del Codice) non implica la sottrazione di tale categoria di contratti (categoria cui sarebbe riconducibile la Convenzione RAI) (anche) all’applicazione dei principi generali”.
Infatti, l’art. 13 (Ambito di applicazione), da un canto ribadisce che
“2. Le disposizioni del codice non si applicano ai contratti esclusi, ai contratti attivi e ai contratti a titolo gratuito, anche qualora essi offrano opportunità di guadagno economico, anche indiretto”.
Dall’altro, chiarisce che
“5. L’affidamento dei contratti di cui al comma 2 che offrono opportunità di guadagno economico, anche indiretto, avviene tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3.”
E dunque, l’affidamento della gestione del Festival di Sanremo dovrà avvenire nel rispetto dei principi di risultato (art. 1), fiducia (art. 2) e accesso al mercato (art. 3, che richiama i correlati principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza, proporzionalità). In definitiva, occorrerà, d’ora innanzi, una gara, per affidare la gestione del Festival. Nello specifico, dovrà trattarsi di una procedura competitiva, nel rispetto dei primi tre articoli del Codice, che tuttavia non dovrà applicare necessariamente le previsioni procedurali contenute nel Codice.
2.- Perchè il ricorso proposto è stato ritenuto ammissibile
Il Tar ha premesso che “In base all’orientamento consolidato della giurisprudenza (e ribadito in tre distinte occasioni dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: Cons. St., Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4; 25 febbraio 2014, n. 9; 26 aprile 2018, n. 4), nelle controversie in materia di affidamento di contratti pubblici la legittimazione al ricorso deve, di regola, essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione”.
La contestazione di un affidamento può dunque essere proposta, di regola, solo da un soggetto che abbia partecipato alla medesima procedura.
E tuttavia, precisa il Tar
“Detta regola conosce tre note eccezioni, relative alla legittimazione del soggetto che, alternativamente:
(a) contesta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura;
(b) contesta un affidamento diretto o senza gara;
(c) impugna una clausola del bando escludente.
Con riguardo ai casi (quale quello di specie) di affidamento diretto o senza gara (ipotesi sub b) – con riferimento ai quali il criterio della partecipazione alla procedura è evidentemente inutilizzabile, dal momento che non è stata espletata alcuna procedura di evidenza pubblica – si impone il riconoscimento di una legittimazione più ampia, che “si spiega agevolmente alla luce del giudizio di assoluto disvalore manifestato dal diritto comunitario nei confronti di atti contrastanti con il principio essenziale della concorrenza” (Cons. St., Ad. Plen., n. 4/2011).”
Il riconoscimento di una legittimazione più ampia consente al Tar di sollevare le eccezioni, sollevate in giudizio, circa la ritenuta mancanza, in capo alla società ricorrente dei requisiti di capacità economico – finanziaria e tecnico – professionale “richiesti per l’organizzazione di un evento di portata, complessità e rilevanza notevoli, quale il Festival di Sanremo”.
“In siffatte ipotesi, la legittimazione è riconosciuta all’operatore economico ‘di settore’ (C.G.A.R.S., sez. giur., 16 febbraio 2021, n. 116: ‘ha un astratto titolo a impugnare l’affidamento non preceduto da gara colui che è operatore del settore di mercato cui afferisce l’oggetto del contratto’), qualità che deve essere accertata in base all’oggetto sociale risultante dallo statuto.”
La legittimazione attiva, in tali casi, potrà dunque essere riconosciuta a un operatore di mercato che operi nello stesso settore, sulla scorta del mero esame dell’oggetto sociale inserito nello statuto.
3.- Perchè il Tar ha salvato l’edizione 2025 del Festival di Sanremo
La parte più interessante, e meno pubblicizzata finora, della pronuncia del Tar Liguria sul Festival di Sanremo, riguarda la riflessione sui limiti dell’effetto caducatorio delle pronunce del giudice amministrativo, che ha portato il Tar a salvare l’edizione 2025 (la 75ª) del Festival, prevedendo che gli effetti della propria decisione inizino a valere dall’edizione 2026 in poi:
“A determinare in tal senso l’esito del presente giudizio è il più generale principio di proporzionalità che, nel guidare il Tribunale nel governo in concreto degli effetti della presente sentenza, impone di far prevalere l’interesse dell’Amministrazione e delle controinteressate al mantenimento delle Convenzioni sull’evanescente interesse della ricorrente al travolgimento delle stesse. Ciò in quanto la ricorrente non ha fornito alcuna indicazione in ordine alla prospettata aggregazione con altri soggetti che sola consentirebbe alla stessa (eventualmente) di aggiudicarsi la gara per la concessione del Marchio e di organizzare il Festival.
Risulterebbe evidentemente sproporzionato e irragionevole incidere sull’edizione del Festival già svolta e sull’edizione che si svolgerà tra pochi mesi, a fronte di un interesse della ricorrente che, in base a quanto dalla stessa rappresentato nel corso del giudizio (ove non ha dedotto – comprensibilmente – alcunché in ordine ad attività preparatorie svolte in vista della partecipazione ad un’eventuale procedura di evidenza pubblica), non può che appuntarsi sull’effetto conformativo della presente sentenza.
L’effetto demolitorio, pertanto, è limitato ai provvedimenti sopra indicati, fermi restando: (a) l’efficacia delle Convenzioni con riferimento ad ogni profilo inerente alla 74ª e alla 75ª edizione del Festival; (b) l’effetto conformativo della presente sentenza con riferimento alle edizioni del Festival successive alla 75ª; effetto tutelabile, sussistendone i presupposti, anche in sede di ottemperanza.”
Il Tar ha dunque fatto applicazione del principio di proporzionalità, ritenendo “sproporzionato e irragionevole” incidere sulla prossima edizione del Festival, calendata a febbraio 2025.
Occorre adesso ripercorrere i passaggi contenuti in sentenza, a giustificazione del potere esercitato dai giudici amministrativi, che hanno inteso espressamente “limitare l’effetto caducatorio determinato dalla propria pronuncia”.
4.- Il fondamento del potere del giudice amministrativo di limitare l’effetto caducatorio delle proprie pronunce
La sentenza dedica il punto 10.2 alla rassegna dei precedenti e delle basi normative a sostegno del potere esercitato, di modulazione degli effetti della sentenza del giudice amministrativo, ammettendo il carattere atipico dell’insieme dei rimedi e dei poteri in capo al giudice, previsti dal Codice del processo amministrativo.
Esaminiamo di seguito le quattro importanti pronunce citate in sentenze.
4a.- Consiglio di Stato, VI, 10 maggio 2011 n. 2755
Il Tar dichiara anzitutto di aderire “all’orientamento del Consiglio di Stato (inaugurato da Cons. St., sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2755) che ha riconosciuto la possibilità, per il giudice amministrativo, di modulare gli effetti delle sue decisioni (argomentando dagli artt. 21-novies, legge n. 241/1990 e 34, co. 1, lett. a) cod. proc. amm. ed evidenziando l’assenza di una previsione normativa circa l’inevitabilità della retroattività degli effetti dell’annullamento di un atto, rispettivamente, in sede amministrativa e giurisdizionale), financo derogando alla regola della retroattività degli effetti dell’annullamento dell’atto impugnato e, in particolare (e alternativamente): (a) limitando parzialmente la retroattività di detti effetti; (b) stabilendone una decorrenza ex nunc; (c) escludendone del tutto la produzione. Modulazione, quella sopra descritta, che è ammessa allorché l’applicazione della regola della retroattività degli effetti dell’annullamento risulti, alternativamente, ‘incongrua e manifestamente ingiusta’ (ed è il caso di specie; cfr. infra, par. 10.3), oppure “in contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale” (Cons. St., n.2755/2011, cit.)”.
La sentenza citata, WWF / Regione Puglia (Luigi Maruotti presidente, Rosanna De Nictolis consigliere anziano, Fabio Taormina estensore) merita di essere letta (paragrafi da 15 a 18), al seguente link: https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/nodeRef=&schema=cds&nrg=201001846&nomeFile=201102755_11.pdf&subDir=Provvedimenti
Ne riportiamo qui alcuni utili stralci: “- la normativa sostanziale e quella processuale non dispongono l’inevitabilità della retroattività degli effetti dell’annullamento di un atto in sede amministrativa o giurisdizionale (cfr. l’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo);
– dagli articoli 121 e 122 del Codice emerge che la rilevata fondatezza di un ricorso d’annullamento può comportare l’esercizio di un potere valutativo del giudice, sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronuncia;
– quanto al principio di effettività della tutela giurisdizionale, desumibile dagli articoli 6 e 13 della CEDU, dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione e dal Codice del processo amministrativo, si deve ritenere che la funzione primaria ed essenziale del giudizio è quella di attribuire alla parte che risulti vittoriosa l’utilità che le compete in base all’ordinamento sostanziale;
– quanto alla rilevanza nel sistema nazionale dei principi europei (anch’essi richiamati dall’art. 1 del Codice), va premesso che – per l’articolo 264 del Trattato sul funzionamento della Unione Europea – la Corte di Giustizia, ove lo reputi necessario, può precisare ‘gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi’;
– in una materia quale quella ambientale, per la quale vi è la competenza concorrente dell’Unione e degli Stati — gli standard della tutela giurisdizionale non possano essere diversi, a seconda che gli atti regolatori siano emessi in sede comunitaria o nazionale (e, dunque, che la controversia vada decisa o meno dal giudice dell’Unione)”.
4b.- Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22 dicembre 2017 n. 13
Il Tar ligure osserva che “il ricorso alla tecnica della graduazione nel tempo degli effetti della sentenza, peraltro, è stato legittimato (seppure in ambito del tutto diverso) anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. Plen., 22 dicembre 2017, n. 13, che, in adesione alla teoria del prospective overruling elaborata negli ordinamenti di common law, ha limitato al futuro l’applicazione del principio di diritto ivi affermato in contrasto con l’orientamento prevalente in passato), sulla base (oltre che delle argomentazioni già utilizzate da Cons. St., n. 2755/2011):
(a) dell’analogo potere (espressamente) riconosciuto alla Corte di giustizia, proprio con riguardo alla giurisdizione di annullamento, dall’art. 264, par. 2 TFUE, trasferibile nell’ordinamento nazionale in virtù dell’art. 1 cod. proc. amm. (“[l] la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”);
(b) dell’analoga tecnica cui, da tempo, fa ricorso anche la Corte costituzionale (tra le pronunce più significative al riguardo: Corte cost., 11 febbraio 2015, n. 10; 17 marzo 2021, n. 41);
(c) di quanto espressamente stabilito dagli artt. 121 e 122 cod. proc. amm. con riguardo alla possibilità per il giudice amministrativo di non dichiarare l’inefficacia del contratto o di stabilire la decorrenza di detta inefficacia”.
La sentenza 13/2017 dell’Adunanza Plenaria, sempre in materia ambientale, Energia rinnovabile ambientale s.r.l. / Regione Molise (presidente Alessandro Pajno, estensore Francesco Bellomo, nel collegio giudicante anche Fabio Taormina, già estensore del Cons. St., n. 2755/2011), affronta il tema della “possibilità di modulare la portata temporale delle decisioni giurisdizionali”, riprendendo la sentenza 2755 del 2011, al paragrafo 6, che è possibile leggere per esteso seguendo questo link:
https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=201603657&nomeFile=201700013_11.html&subDir=Provvedimenti
L’Adunanza Plenaria, nel dare atto che “il Consiglio di Stato ha già fatto applicazione di codesti principi (leading case Cons. Stato, sez. VI, n. 2755 del 2011)”, ribadisce dunque il richiamo a:
– i poteri della Corte di Giustizia (art. 264 del Trattato sul funzionamento della Unione Europea e art. 1 del Codice del processo amministrativo);
-l’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e all’art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo;
-gli artt. 121 e 122 del Codice del processo amministrativo.
Aggiunge un richiamo anche ai precedenti di caducazione con effetti ex nunc da parte della Corte Costituzionale (Corte cost., 11 febbraio 2015 n. 10 sulla “Robin Tax”).
La Corte Costituzionale in quel caso aveva affermato che: “Considerato il principio generale della retroattività risultante dagli artt. 136 Cost. e 30 della legge n. 87 del 1953, gli interventi di questa Corte che regolano gli effetti temporali della decisione devono essere vagliati alla luce del principio di stretta proporzionalità. Essi debbono, pertanto, essere rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari presupposti: l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento e la circostanza che la compressione degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco” (sent. 10/2015).
Infine, con specifico riferimento ai poteri del Consiglio di Stato, quando riunito in sede plenaria (art. 99 del Codice del processo amministrativo), la sentenza 13/2017 osserva che:
“all’Adunanza Plenaria è concessa la possibilità di limitare al futuro l’applicazione del principio di diritto al verificarsi delle seguenti condizioni:
a) l’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare;
b) l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata;
c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche”.
4c.- Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021
Il Tar in commento osserva che “Ulteriore applicazione dei principi sopra menzionati, ancorché a fattispecie non coincidente (trattasi del differimento dell’operatività della disapplicazione di norme nazionali incompatibili con norme europee ad effetto diretto), si rinviene nelle decisioni dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021”.
Si tratta di due note pronunce, in materia di concessioni demaniali marittime, Comet s.r.l. / Autorità di Sistema Portuale dello Stretto e Comune di Lecce / Associazione Federazione Imprese Demaniali (presidente Filippo Patroni Griffi, estensori Sara Raffaella Molinaro e Roberto Giovagnoli, nel collegio della prima anche l’estensore del primo Consiglio di Stato, 2755 del 2011), rinvenibili qui:
https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202105584&nomeFile=202100017_11.html&subDir=Provvedimenti.
L’Adunanza Plenaria, in quel caso, ha previsto l’applicazione differita della propria pronuncia, e la correlata disapplicazione delle norme nazionali in contrasto con i principi eurounitari di concorrenza, con un differimento di due anni, così stabilendo: “le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023”.
E’ utile richiamare il principio di diritto stabilito in quel caso: “Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.”
4d.- Consiglio di Stato, sez. I, parere del 30 giugno 2020 n. 1233
Il Tar Liguria, infine, richiama i seguenti passaggi di un recente articolato parere del Consiglio di Stato (WWF / Regione Toscana, presidente Mario Luigi Torsello, estensore Vincenzo Neri), alla cui lettura integrale si rinvia (e in particolare ai paragrafi da 16.2 a 16.9):
“da ultimo, il Consiglio di Stato, nell’esaminare ex professo il tema delle tecniche di governo dell’efficacia delle pronunce giurisdizionali, ne ha confermato l’utilizzabilità, precisando (rispetto alla graduazione degli effetti demolitori delle sentenze di annullamento; nel caso di specie, alcune associazioni ambientaliste avevano impugnato un piano di prevenzione degli incendi boschivi), tra l’altro, nel replicare ai rilievi mossi sul punto dalla dottrina, che:
(a) la disponibilità, da parte del giudice, degli effetti demolitori (ritenuta da alcuni incompatibile con la natura costitutiva della sentenza di annullamento), si giustifica alla luce dell’atipicità dell’apparato rimediale configurato dal Codice del processo amministrativo; a detta atipicità, infatti, deve riconoscersi altresì “una declinazione di tipo contenutistico, nella misura in cui la decisione del giudice esprime una sintesi degli interessi in conflitto non astrattamente predeterminabile dal legislatore. Ed in specie, l’estensione dell’oggetto della cognizione al rapporto giuridico controverso, al di là dei confini imposti dal mero scrutinio di legittimità dell’atto impugnato, può giustificare il riconoscimento di poteri valutativi in ordine alla perduranza degli effetti dell’atto illegittimo, nell’ottica del bilanciamento fra le esigenze di tutela fatte valere dalla parte ricorrente ed i controinteressi generali e particolari rilevanti nel caso concreto. Il governo degli effetti delle sentenze costitutive di annullamento appare dunque ammissibile nel quadro di atipicità rimediale e contenutistica che permea la moderna struttura del processo amministrativo” (Cons. St., sez. I, parere del 30 giugno 2020, n. 1233);
(b) non è riscontrabile alcuna violazione della riserva di legge stabilita dall’articolo 113, co. 3 Cost., nella parte in cui affida all’intermediazione legislativa la determinazione (dei casi e) degli effetti dell’annullamento giurisdizionale, in quanto “il vigente assetto processuale, oltre a rimettere al giudice la valutazione circa la necessità dell’annullamento dell’atto illegittimo (articolo 34, comma 3, c.p.a.), accentua il carattere conformativo delle decisioni adottabili” (ibidem);
(c) non si ravvisa alcuna violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), in quanto l’oggetto della domanda di annullamento comprende, indefettibilmente, la domanda di accertamento circa l’illegittimità dell’atto impugnato;
(d) l’ammissibilità del ricorso alla tecnica in questione è ulteriormente confermata dall’espressa previsione normativa di deroghe alla retroattività dell’annullamento del contratto a tutela dell’incapace (art. 1443 cod. civ.) e dei terzi acquirenti in buona fede a titolo oneroso (art. 1445 cod. civ.), “così confermando che gli effetti possono essere calibrati in ragione degli interessi coinvolti” (ibidem).”
Qui il link al testo integrale del parere
https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=consul&nrg=202000252&nomeFile=202001233_27.html&subDir=Provvedimenti
4e.- La possibilità di prospective overruling da parte del giudice amministrativo può essere ritenuto orientamento giurisprudenziale prevalente?
Il prospective overruling “consiste, segnatamente, nel modificare il precedente applicabile a quel caso perché oramai inadeguato, stabilendo però che tale modifica, l’overruling appunto, valga per tutti i casi che si presenteranno in futuro (da cui l’aggettivazione prospective)” (Clarice De Donne, https://www.judicium.it/giudici-e-norme-di-diritto-nel-cono-dombra-del-prospective-overruling-a-margine-di-un-libro-recentee-di-una-celebre-dottrina/#:~:text=Il%20prospective%20overruling%20noto%20all,autoattribuisce%20quando%20decide%20un%20caso.).
Ci si chiede, in conclusione, se la possibilità di esercizio di tale potere sia da ritenersi o meno ammesso dalla giurisprudenza amministrativa prevalente.
Richiamiamo sul punto, l’efficace parere del Cons. Stato, 1233 del 2020:
“16.8. La Sezione non ignora che le tesi sostenute con la citata sentenza n. 2755 del 2011 siano state solo occasionalmente accolte dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado (cfr. TAR Abruzzo – Pescara, sentenza 13 dicembre 2011, n. 700; TAR Lazio – Roma, Sez. III-bis, sentenza 9 aprile 2014, n. 3838; TAR Molise, sentenza 21 novembre 2014, n. 637).
E ciò ancorché ancora recentemente la Sezione VI del Consiglio di Stato, con sentenza 6 aprile 2018, n. 2133, ha affermato che “il giudice amministrativo – anche in sede di cognizione – può comunque determinare se, nel caso di fondatezza delle censure poste a base di una domanda di annullamento, sussistano i presupposti per applicare il principio generale per il quale l’atto illegittimo vada rimosso con effetti ex tunc, oppure vada rimosso con effetti ex nunc, ovvero l’atto stesso non vada rimosso, ma debba o possa essere sostituito, con un ulteriore provvedimento, a sua volta se del caso avente effetti ex nunc (cfr. Cons. St., Sez. VI, sentenza 10 maggio 2011, n. 2755; Cons. St., Ad. plen., sentenza 22 dicembre 2017, n. 13).”
Così conclude il parere: “In effetti il giudice amministrativo fa un uso molto avveduto del potere in esame, limitandolo alle sole ipotesi in cui un temperamento alla regola della caducazione retroattiva degli atti illegittimi si renda strettamente necessario per la tutela degli interessi rilevanti nel caso concreto, così come s’è visto accade oltralpe.”