Incarichi esterni nel pubblico impiego: le cooperative

La Cassazione interviene sul principio di esclusività nel lavoro pubblico e sul divieto di incarichi extraistituzionali

In tema di pubblico impiego, una questione di notevole interesse, al centro di innumerevoli pronunce giurisprudenziali nonché recente oggetto di nostri studi per finalità difensive, è quella che attiene ai limiti del divieto di espletamento di incarichi extraistituzionali.

Nel nostro ordinamento, infatti, il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione è retto dal principio di esclusività della prestazione in favore delle amministrazioni pubbliche.

Detto principio rinviene il suo fondamento nell’art. 98 della Costituzione, ai sensi del quale “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. […]”, ed è preordinato a garantire il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione.

I giudici contabili hanno ribadito in più occasioni che “il principio di esclusività che regge il rapporto di lavoro con la P.A. trova la sua genesi nell’art. 98 della Costituzione, secondo cui il pubblico impiegato è al servizio esclusivo della Nazione, al fine di conseguire l’obiettivo di garantire l’imparzialità, l’efficienza ed il buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto dei principi sanciti dal precedente art. 97.

Dal principio di esclusività discende una generale incompatibilità degli incarichi esterni con i doveri d’ufficio e ciò allo scopo di salvaguardare le energie lavorative del pubblico dipendente, necessarie per il raggiungimento dei fini istituzionali della P.A.” (così Corte dei conti – Calabria, sez. giurisd., sentenza 20 aprile 2020, n. 115).

Anche l’art. 60, del d.P.R. n. 10 gennaio 1957, n. 3, recante il “Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, rubricato “casi di incompatibilità”, dispone che “l’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del ministro competente”.

Tuttavia, un’espressa deroga è prevista dalla prima parte della disposizione immediatamente successiva, l’art. 61, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che – rubricato “limiti dell’incompatibilità” – dispone che “il divieto di cui all’articolo precedente non si applica nei casi di società cooperative […]”.

In linea generale, dunque, è previsto che il regime di incompatibilità assoluta di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3/1957 non operi allorquando l’incarico extraistituzionale venga assunto dal dipendente pubblico presso una società cooperativa.

Sul punto, la Suprema Corte ha recentemente ricordato che “l’accettazione di cariche sociali in una società cooperativa, nella specie Presidente del Consiglio di amministrazione di una società cooperativa sociale, non incorre nella incompatibilità assoluta di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957, in ragione della deroga prevista dall’art. 61 del medesimo d.P.R. Ciò, tuttavia, non esclude che il lavoratore debba chiedere l’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico extraistituzionale al datore di lavoro”.

In tal modo, i giudici hanno rigettato il ricorso proposto da un infermiere professionale, assunto presso un’Azienda Sanitaria territoriale, che si era visto intimare il licenziamento per essere rimasto ingiustificatamente assente da lavoro un solo giorno, per aver accumulato un debito orario di poco più di trenta ore e per aver svolto, per l’appunto, attività extraistituzionali presso una cooperativa esterna, senza prima chiedere l’autorizzazione all’Amministrazione di appartenenza.

Uno dei motivi di ricorso si fondava, per l’appunto, sull’asserita “violazione e falsa applicazione […] dell’art. 61, del d.P.R. n. 3/1957 – travisamento dei fatti – insufficienza e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui è stato ritenuto legittimo il provvedimento espulsivo per omessa richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività istituzionale”.

A dire del ricorrente, sarebbe evidente il travisamento del contenuto dell’art. 61, del d.P.R. n. 3/1957 operato dai giudici di merito della Corte di Appello che hanno ritenuto che il lavoratore non fosse esonerato dall’obbligo di richiedere l’autorizzazione al datore di lavoro.
E ciò sul presupposto che – pur sussistendo nel nostro ordinamento una deroga espressa al principio dell’incompatibilità assoluta di cui all’art. 60 d.P.R. n. 3/1957, ossia quella stabilita dal richiamato art. 61 d.P.R. n. 3/1957 – rimane fermo quanto previsto dall’art. 53, comma 7, d. lgs. n. 165/2001, rubricato “incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi”, secondo cui “i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. […] In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.

In questo modo la Corte di Cassazione ha inteso effettuare un distinguo sottile, ma di rilevanza centrale: se, da un lato, è corretto affermare che il nostro ordinamento ammette che un dipendente pubblico possa legittimamente svolgere attività extraistituzionale presso una società cooperativa – non prevedendosi per questa a priori un’incompatibilità assoluta, dall’altro è errato sostenere che per ciò solo ogni dipendente pubblico possa liberamente esercitare detta attività senza richiedere l’autorizzazione all’Amministrazione.

Ogni lavoratore alle dipendenze della pubblica amministrazione, dunque, seppur in astratto ammesso dall’ordinamento ad esercitare attività lavorativa extraistituzionale (ad esempio, ai sensi dell’art. 61, d.P.R. n. 3/1957), deve richiedere la preventiva autorizzazione all’Amministrazione e ottenere prima il suo benestare, esponendosi, al contrario, a inevitabili conseguenze sul piano della responsabilità disciplinare, fatte sempre salve le ulteriori e più gravi sanzioni, quali, com’è avvenuto nel caso in commento, il licenziamento.

Si badi, inoltre, che la Suprema Corte, a sostegno della sua decisione, ha altresì richiamato l’art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 – disposizione espressamente fatta salva dall’art. 53, comma 1, d. lgs. n. 165/2001 – a mente della quale “con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro.

Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale.

Il rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale è altresì incompatibile con l’esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso”, così chiarendo come vi fosse un’ulteriore previsione normativa che esclude la possibilità di svolgere liberamente l’incarico extraistituzionale presso una società cooperativa.

Sulla scorta di quanto precede, la Suprema Corte, con sentenza depositata in data 11 aprile 2024, n. 9801, ha rigettato il ricorso e ha interamente confermato la decisione dei giudici di merito.

Adriana Calcaterra

Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Trento con votazione pari a 110 e lode, discutendo una tesi dal titolo "L’onere della prova dinanzi alla Corte dei conti: ragioni e criticità della diversa gravosità nella responsabilità amministrativa e in quella contabile". Entra subito a far parte dello Studio Giurdanella&Partners e svolge un Tirocinio ex art. 73, D.L. 69/2013 presso il Tribunale di Catania, Sezione penale G.I.P./G.U.P. Si abilita all'esercizio della professione forense nel 2024. Particolarmente interessata allo studio e all’approfondimento del diritto amministrativo e del diritto della contabilità pubblica.