L’avvocato e l’Intelligenza Artificiale

Riflessioni sul passato e sul futuro di una delle professioni più antiche del mondo

Quando iniziai la pratica forense, gli atti si scrivevano a mano e poi una dattilografa li batteva con la macchina da scrivere.
Le dimensioni della pagina erano rigidamente stabilite dalla normativa fiscale: i margini e le righe del foglio di carta da bollo erano fissati su tale carta che si comprava dai tabaccai, pagandola tassata (12.000 lire ogni foglio, che valevano assai più dei 6 euro nominalmente corrispondenti oggi).
L’alternativa era l’applicazione delle marche da bollo su fogli dalla stessa struttura.
Insomma, più si scriveva più si pagava.
Certo, la fatica di battere i testi a macchina e il costo elevato dei fogli costituivano un deterrente formidabile alla logorrea.

Le ricerche di giurisprudenza erano effettuate su digesti e massimari cioè poderosi volumi che raccoglievano le massime, classificate per materie e sottomaterie.
Tali ricerche erano laboriose perché non era detto che nella materia o sottomateria si trovasse ciò che si cercava; allora si continuava a scartabellare.
L’attività era svolta con ritmi molto meno intensi di ora, proprie per quelle limitazioni tecniche e materiali.

Tutto è cominciato a cambiare con la diffusione parallela della videoscrittura e delle banche dati su supporti digitali.
Ora le ricerche si fanno semplicemente con le parole chiave, e poi pensa il sistema a selezionare le massime.
E inizia a essere difficile resistere alla tentazione di frequenti copia-e-incolla dai risultati delle ricerche agli atti che si stendono.

Un secondo e amplissimo passo avanti è stato la diffusione della rete.
Sulla rete si trova una quantità sterminata di materiali sicché anche il collega non specialista di una materia può cominciare a farsi un’idea della questione che vuole trattare e poi realizzare un atto corretto nella forma e nel contenuto.
Approvo questa forma di “democratizzazione” delle ricerche giuridiche: pure quando i clienti si presentano in studio con i risultati delle loro ricerche e magari pretendono che l’avvocato li recepisca tal quali. È vero che dà fastidio, ma ci costringe a un maggiore impegno critico e, alla lunga, a migliorare la qualità del lavoro (a condizione che si riesca a riportare il cliente saccente sui giusti binari).

Un cambiamento più profondo di quelli che ho descritto sarà generato adesso dalla diffusione dei programmi di intelligenza artificiale: il cambiamento è in corso benché quelli del secolo precedente come me ancora non lo percepiscono del tutto.
I sistemi risultano essere già in grado di raccogliere e organizzare una grande quantità di materiale per rispondere in modo esteso e sistematico a uno specifico quesito oppure a elaborare direttamente testi di contratti e simili.
Oggi si può demandare a un sistema d’intelligenza artificiale quel lavoro – spesso ingrato – di prima raccolta dei dati e dei precedenti e successivamente di stesura di una prima bozza di atto.
E, quanto più i sistemi saranno nutriti di informazioni, tanto più accurati saranno i testi che elaboreranno.
A quel punto forte sarà la tentazione di lasciare fare tutto alla macchina, limitandosi a una revisione magari distratta per fiducia del sistema.

Tuttavia, lo studio e l’approfondimento non diverranno inutili, almeno per due ragioni.

La prima è che, come già accade con le “comuni” banche dati informatiche, la qualità del risultato della ricerca dipende dall’accuratezza della domanda, oggi “prompt” per i sistemi di intelligenza artificiale.
Solo se chi ricerca delle risposte a determinati casi è riuscito a individuare, grazie alla sua esperienza, gli spunti davvero rilevanti potrà ottenere magari quell’articolo o quella massima risolutivi.
Insomma, a fare la differenza non saranno le risposte, ma le domande.

La seconda ragione è che i sistemi di intelligenza artificiale sembrano per così dire conformisti, perché selezionano le informazioni tra le più diffuse quindi possono non ritrovare le soluzioni più originali.
In alcuni casi il risultato sarà sufficiente, ma più spesso sarà necessario il salto, magari contro-intuitivo, che per ora è tipico dell’intelligenza umana.

Non possiamo però nascondere il pericolo che gran parte del nostro lavoro possa divenire superfluo, perché svolto dalle macchine.
Non ho risposte su questo; mi limito a ricordare che spesso per il cliente l’avvocato non è soltanto il produttore di atti scritti ma una persona che lo ascolta, magari quando si trova scoraggiato oppure quando desidera sfogarsi.
Quando, come nel film “Her”, i sistemi informatici riusciranno a simulare i sentimenti, allora, forse, potremo davvero cambiare mestiere…

Dario Sammartino

Svolge l’attività di avvocato soprattutto nel campo del diritto amministrativo. Ha così vissuto i rapporti con le pubbliche amministrazioni la professione sia dalla parte dei cittadini sia (in misura minore) da quella degli enti; rimane ottimista sulla funzione sociale dell’avvocato amministrativista.