La solitudine dei numeri primi è un romanzo di Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega nel 2008.
Mattia e Alice, i protagonisti del romanzo, vengono indicati con due numeri 2760889966649 (per Mattia) e 2760889966651 (per Alice), due numeri primi gemelli, cioè separati da un unico numero pari che non permette loro d’incontrarsi, nonostante siano così vicini.
Che c’entrano i numeri primi con l’Intelligenza Artificiale? C’entrano perché è il modo più semplice per sgamarla.
Io: 17 è numero primo?
AI: Sì, 17 è un numero primo. Ha solo due divisori: 1 e se stesso (17). Quindi soddisfa la definizione di numero primo.
Io: 99991 è un numero primo?
AI: Sì, 99991 è un numero primo. Non ha divisori oltre a 1 e a se stesso, quindi soddisfa la definizione di numero primo.
Quindi? L’AI risponde correttamente?
Sì, ma solo perché centomila numeri, in statistica, sono nulla, è probabilissimo che tra le miliardi di frasi usate per l'”addestramento” ci siano anche queste centomila (è come quando, da bambini, ci dicevano fino a quanto sai contare?)
Ma proseguiamo …
Io: 102001 è un numero primo?
AI: No, 102001 non è un numero primo. Può essere scritto come 101 elevato alla seconda (cioè 101×101). Pertanto, ha divisori oltre a 1 e a se stesso.
Come? Come!
Non solo la risposta è sbagliata, 102001 è un numero primo. Ma l’errore non è di poco conto, 101×101 fa 10201 e non 102001 … C’è “solo” uno zero in mezzo di differenza.
Ah, se l’avessero previsto i matematici indiani e arabi, magari a quest’ora avremmo ancora i numeri romani.
Battuta a parte, questa semplice domanda ci fa capire, se ancora ce ne fosse bisogno, che l’AI è solo “statistica applicata“.
E scambiare 10201 per 102001 è un errore che può anche farci sorridere ma se immaginiamo l’utilizzo dell’AI in campi un po’ più “seri”, allora è da rabbrividire, immaginando le conseguenze a cui può portare.
Ma, in fondo, che fosse statistica lo si sapeva già da almeno un secolo [leggi pure Imparare al tempo dell’Intelligenza Artificiale, n.d.r.].
Harry Nyquist, pioniere della teoria dell’informazione nel 1924 scriveva che con il termine intelligenza ci si deve riferire alla componente statisticamente determinata e decifrabile di un segnale aleatorio, la cui trasmissibilità (senza perdita di intelligenza ovvero di dati) da un dispositivo trasmittente ad uno ricevente dipende dal grado di risoluzione dell’incertezza.
Quindi niente a che vedere con l’intelligenza umana, ma solo il fatto di avere scelto questo termine intrigante per qualificare la trasmissione di un segnale, è bastato perché la provocazione venisse raccolta, qualche decennio più tardi, da un matematico ed esperto di IT del secondo dopoguerra, John McCarthy, che lo ha trasformato nell’icona del XXI secolo.
Con questo articolo mi prenderò una pausa sull’argomento Intelligenza Artificiale. Spero di aver contribuito con la mia “critica” al dibattito.
Nei prossimi interventi scriverò di altro, pur rimanendo, ovviamente, nel campo del digitale e dell’informatica.
C’è bisogno di tornare a parlare di logica formale, di programmazione algoritmica, quella sì, spiegabile, calcolabile, controllabile, utile …
A presto.