A) Tesi della giurisdizione amministrativa
Secondo la IV sezione del Consiglio di Stato (cfr. l’ordinanza che si riporta in calce), il diniego di stipula del contratto (o di approvazione dello stesso e a maggior ragione l’annullamento della gara) sono atti interni alla procedura di affidamento, rispetto alla quale sussiste la giurisdizione esclusiva del GA.
Ciò perchè, di norma, la procedura di affidamento viene a concludersi (e cioè a produrre effetti giuridici vincolanti anche per la P.A.) solo con la stipula del contratto ed anzi secondo le regole di contabilità solo con l’approvazione dello stesso, salvi i casi ( oggi in sintesi da ritenersi residuali) di aggiudicazione immediatamente vincolante per entrambe le parti, casi cioè nei quali il contratto formale avrebbe valenza meramente riproduttiva.
Nei casi suddetti l’attività opposta dall’Amministrazione alle aspettative dell’aggiudicatario ha natura veramente provvedimentale, sia per le finalità cui la stessa è preordinata sia per la posizione di sostanziale soggezione in cui versa l’impresa selezionata, la quale oltre tutto nel sistema dell’evidenza pubblica non solo non può rifiutarsi di stipulare pena le varie sanzioni comminate dall’ordinamento ma anzi resta unilateralmente vincolata dal contratto stipulato fino all’approvazione di questo.
L’impresa dopo l’aggiudicazione è dunque titolare di una posizione di interesse (sia pure quanto si vuole qualificato) e non di un diritto alla stipula o all’approvazione: di talchè ogni lesione che alla stessa possa derivare per effetto dei molteplici provvedimenti che travolgono l’aggiudicazione per ragioni di pubblico interesse innesca controversie che hanno sì una colorazione paritetica ma restano naturalmente devolute al giudice dell’attività amministrativa provvedimentale.
La fase del procedimento seguente all’aggiudicazione non può dunque essere ricostruita in termini solo negoziali (di offerta e accettazione fra soggetti pariordinati) ma resta gestita dalla p.a. su parametri tendenzialmente autoritativi.
Nei rapporti tra privati la buona fede in contrahendo coniuga, per il tramite di obblighi tipici di lealtà e salvaguardia, due esigenze di pari livello, la libertà negoziale e la solidarietà contrattuale; invece nelle “trattative” tra l’operatore economico e la Pubblica Amministrazione si tratta di verificare – sia pure applicando la clausola di correttezza – il contemperamento tra esigenze non equiordinate, quelle di tutela dell’affidamento e quelle che impongono alla stessa P.A. il perseguimento senza soluzione di continuità del pubblico interesse.
Infine, dal punto di vista processuale, le controversie risarcitorie in esame sono normalmente azionate in via subordinata alla contestuale impugnazione dell’atto autoritativo: di talchè non sembra congruo individuare il giudice fornito di giurisdizione secundum eventum, e quindi mantenerle al G.A. nel caso di annullamento dell’atto o rinviarle all’A.G.O. nel caso (che innesca appunto la vera controversia precontrattuale) di infruttoso esperimento dell’impugnazione.
Nè corrisponde al principio di concentrazione della tutela imporre al privato di adire ex ante entrambe le giurisdizioni, richiedendo al g.a. l’annullamento del provvedimento e la eventuale tutela aquiliana generale o da contatto ed al g.o. la tutela precontrattuale.
In tal senso si orientano recentissime disposizioni (di cui al citato nuovo art. 21 quinquies della legge n. 241) che devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di indennizzo in caso di revoca “legittima” del provvedimento, ad esempio per sopravvenuti motivi di pubblico interesse.
Vero è che – almeno secondo una interpretazione costituzionalmente orientata – la previsione di tale indennizzo certamente non esclude la risarcibilità (in senso tecnico) dei pregiudizi patiti dall’interessato nel caso di revoca illegittima e non dovrebbe probabilmente escludere la risarcibilità (sempre in senso tecnico) dei danni patiti non per la revoca in sè ma ad esempio per le modalità non adeguatamente protettive con le quali la P.A. sia pervenuta ad adottare il provvedimento.
Potrebbe così in sostanza ritenersi che indennizzo e risarcimento orbitano su piani tendenzialmente diversi e che perciò non necessariamente il giudice munito di giurisdizione sull’indennizzo lo sia anche (per ciò che qui interessa) sulla eventuale domanda di risarcimento a titolo precontrattuale.
Rimane dunque significata una previsione che demanda in generale alla giurisdizione esclusiva le controversie inerenti il ristoro dei pregiudizi che la revoca comporta a fronte dell’affidamento precedentemente ingenerato nel privato.
B) Tesi della giurisdizione ordinaria
Nell’opposta ricostruzione della fattispecie precontrattuale, la lesione si fa sostanzialmente derivare da un mero comportamento della P.A. non conforme al precetto di buona fede.
Già da un punto di vista descrittivo, è infatti evidente che nel caso in esame viene essenzialmente in rilievo non l’attività provvedimentale della P.A. ma una gestione della trattativa meramente “burocratica” e quindi in parte dimentica dell’esigenza dell’operatore economico di non immobilizzare le sue risorse produttive e di allocarle invece profittevolmente secondo l’offerta del mercato.
In termini ricostruttivi, in sostanza, nel caso all’esame è imputata all’Amministrazione non tanto la violazione di norme di azione o lo scostamento (qui in concreto nemmeno dedotto) da specifiche scansioni procedimentali quanto piuttosto il venir meno all’obbligo relazionale di buona fede, che avrebbe imposto di manifestare tempestivamente l’eventualità del recesso, almeno avvertendo la controparte e ponendola quindi in condizione di non limitare a quell’unica trattativa le sue iniziative imprenditoriali.
Vista in questa ottica, la fattispecie della responsabilità precontrattuale viene allora a riguardare – quando coinvolge la P.A. – aspetti non soltanto diversi da quelli relativi alla violazione delle norme sull’evidenza pubblica ma soprattutto ulteriori ( o esterni) rispetto a quelli specificamente desumibili dalla disciplina del procedimento e quindi si sviluppa – come rilevato dalla dottrina amministrativistica– in un’area non coperta da altre disposizioni normative che non siano quelle generali dell’art. 1337 cod. civ..
A questa stregua, dunque, la responsabilità precontrattuale – nella misura in cui fonda esclusivamente su una condotta ritenuta non conforme al precetto della buona fede e nella misura in cui tutela in generale il corretto svolgimento della libertà contrattuale – richiama obblighi comportamentali validi erga omnes ed incombenti perciò anche sulla pubblica amministrazione, la quale, vertendosi in ambito del tutto paritetico e non provvedimentale, non potrebbe al riguardo vantare alcuno statuto particolare.
Di talchè, ai fini della giurisdizione, non rileverebbe la natura peculiare del rapporto tra Amministrazione e Impresa instauratosi con le trattative ma il diritto di questa a pretendere dalla Autorità pubblica (come da ogni controparte) un comportamento in contrahendo ispirato al rispetto di quel canone di buona fede già prefissato dall’art. 1337 cod,. civ., indipendentemente dalla sorte dell’atto di recesso il quale si colloca su un piano diverso: come appunto insegnato da quella giurisprudenza sopra richiamata della Cassazione che distingue i doveri del buon amministratore dagli obblighi del buon contraente.
– – – –
Consiglio di Stato, sezione IV
Sentenza 7 marzo 2005 n.920
(presidente Venturini, estensore Anastasi)
(…)
FATTO e DIRITTO
1. Dopo una riunione tenutasi il 18.3.2002 per esaminare le problematiche connesse alla necessità di “esternalizzare” il servizio di guida di automezzi militari non adibiti a compiti operativi, il Segretariato generale del Ministero della Difesa ha incaricato la Direzione generale Armamenti Terrestri di bandire una gara tra le ditte operanti nel settore, imputando il relativo importo al capitolo 3756 ( esercizio 2002) destinato alle “spese per esercizio, manutenzione e riparazione di armi, munizioni e mezzi di trasporto”.
Con bando pubblicato sulla G.U.C.E. del 14.6.2002 la Direzione ha quindi indetto una procedura accelerata e ristretta, ai sensi del D. L.vo n. 157 del 1995, per l’affidamento annuale del servizio in questione, da aggiudicarsi col criterio del massimo ribasso.
In data 30.7.2002 si è riunita la Commissione la quale, valutate le due offerte pervenute, ha aggiudicato il servizio alla ATI oggi appellata con verbale n. 487.
Con nota del 31.7.2002 l’Ufficiale rogante ha quindi comunicato alla Miccolis l’avvenuta aggiudicazione, invitando la ditta a costituire il deposito cauzionale definitivo, in vista della stipula del contratto.
Nel prosieguo peraltro il Segretariato generale – formalmente interpellato dalla Direzione in data 17.9.2002 – ha invitato la stessa ( con nota 27.9.2002 pervenuta il 3.10.2002) a procedere all’annullamento della gara, essendosi esaurita la disponibilità del capitolo di bilancio.
Pertanto la Direzione, con nota del 4.11.2002, ha comunicato alla Ditta di non poter procedere alla stipula e con provvedimento del 5.11.2002 ha annullato la gara per gravi motivi di interesse ai sensi dell’art. 113 R.D. n. 827 del 1923.
La Miccolis ha quindi impugnato, con ricorso e successivi motivi aggiunti, il diniego di stipula deducendone l’illegittimità sotto vari profili e chiedendo il risarcimento, in via gradata, a titolo contrattuale, aquiliano e precontrattuale.
Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale ha accolto il ricorso, ha annullato gli atti impugnati ed ha condannato l’Amministrazione al pagamento di Euro 214.985,79 per danni da responsabilità precontrattuale.
In particolare il Tribunale ha:
a) rilevato che, dopo l’aggiudicazione, la determinazione di non addivenire alla stipula del contratto per motivi di opportunità ( e quindi di revocare la gara) deve essere esercitata con particolare cautela e postula un onere motivazionale che non può essere assolto semplicemente richiamando l’indisponibilità della provvista;
b) annullato gli atti impugnati per difetto di motivazione;
c) qualificato la condotta posta in essere dall’Amministrazione come illecita per violazione dei principi di correttezza e buona andamento e di tutela dell’affidamento ingenerato nei terzi;
d) inquadrato la domanda risarcitoria nell’ambito precontrattuale, escludendo sia l’ipotesi aquiliana sia che fra le parti fosse venuto in essere un rapporto contrattuale;
e) quantificato il danno emergente tenendo presenti le spese sostenute dalla Ditta per la partecipazione ed il lucro cessante – in sintesi – nel 10% dell’ammontare a base d’asta in una procedura selettiva ( trasporto disabili triennale presso una ASL) alla quale la Miccolis non aveva potuto partecipare in quanto impegnata con la Difesa.
La sentenza è impugnata in via principale dall’Amministrazione che ne chiede l’integrale riforma, contestando la ritenuta carenza motivazionale del provvedimento di autotutela doverosamente adottato ed escludendo la sussistenza dei presupposti (cioè del ritardo significativo) per la configurazione di una responsabilità a titolo precontrattuale.
In via subordinata l’Amministrazione contesta i criteri di quantificazione del danno valorizzati dal Tribunale.
Si è costituita l’appellata, tornando a proporre con appello incidentale le richieste (disattese dalla sentenza impugnata) di risarcimento danni a titolo contrattuale (inadempimento) o in subordine per fatto illecito. Anche l’Impresa contesta comunque la quantificazione del danno operata dal Tribunale.
All’Udienza del 25 gennaio 2005 i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
2. I ricorsi vanno riuniti perché rivolti all’impugnazione della stessa sentenza.
Con il primo motivo dell’appello principale l’Amministrazione impugna il capo della sentenza che ha annullato i provvedimenti (diniego di stipula del contratto e annullamento della gara) gravati in primo grado, deducendo l’insussistenza dei vizi di legittimità riscontrati dal Tribunale.
Il mezzo a giudizio del Collegio è fondato.
Al riguardo il Tribunale, dopo aver premesso che la facoltà dell’Amministrazione di non approvare il contratto ai sensi dell’art. 113 del R.D. n. 827 del 1923, deve essere esercitata con particolare cautela e sulla base di una esauriente giustificazione dei motivi di interesse pubblico, ha rilevato che la determinazione con la quale fu comunicata all’aggiudicataria l’intenzione di non addivenire alla stipula non è invece sorretta da alcuna giustificazione concreta atta a consentire l’esercizio da parte della P.A. di siffatto ius poenitendi.
A giudizio del Collegio tale statuizione non resiste alle critiche dell’appellante.
Dal punto di vista formale, i provvedimenti di cui si discute risultano infatti esaustivamente motivati, nella misura in cui espressamente individuano l’indisponibilità di bilancio quale motivo di pubblico interesse che imponeva di non procedere alla stipula del contratto.
Da un punto di vista più sostanziale, è pacifico in giurisprudenza che – come rilevato dal TAR – nelle gare per l’aggiudicazione dei contratti della Pubblica amministrazione, il diniego dell’ approvazione dell’ aggiudicazione è subordinato alla presenza di specifiche ragioni di pubblico interesse non riconducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità. (ad es. V Sez. 28.5.2004 n. 3463).
E tuttavia in concreto, in virtù dei principi desumibili dalle norme di contabilità e prima ancora dagli artt. 81 e 97 della Costituzione, appare evidente che l’inadeguatezza o l’esaurimento della copertura finanziaria costituiscono un fattore obiettivamente preclusivo all’adozione di provvedimenti di spesa.
Ne consegue che nel caso in esame il venir meno dei fondi già all’uopo stanziati, e dunque la conseguente giuridica impossibilità di assunzione dell’impegno di spesa, rappresentava grave motivo di pubblico interesse e – come dedotto dall’Avvocatura – effettivamente legittimava l’Amministrazione a non dar ulteriore corso all’affidamento dell’appalto. (cfr. in termini IV Sez. 19.3.2003 n. 1457).
All’accoglimento, per questa parte, dell’appello principale segue per ragioni logiche l’esame del primo motivo dedotto con l’appello incidentale, mediante il quale l’Impresa contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento danni causati dall’Amministrazione mediante inadempimento contrattuale.
Ragioni di ordine processuale impongono – a giudizio del Collegio – di dichiarare l’inammissibilità del mezzo prima ancora di verificare la effettiva sussistenza della giurisdizione amministrativa su tale profilo contrattuale della controversia.
Al riguardo si osserva infatti che l’appello incidentale – per il suo obiettivo contenuto impugnatorio – non vale ad impedire il passaggio in giudicato interno del capo di sentenza ove è chiaramente affermato che il contratto non era stato concluso.
In effetti, a giudizio del Collegio, l’appellante incidentale nel ricorso si limita a sostenere che il vincolo contrattuale era da ritenersi risorto (con le relative conseguenze risarcitorie) nel momento in cui il Tribunale ha annullato i provvedimenti negativi impugnati.
Soltanto in memoria l’appellante incidentale contesta la statuizione del Tribunale, facendo leva sugli effetti già propriamente contrattuali ricollegabili all’aggiudicazione nelle licitazioni private.
Ne consegue, stante l’obbligo di specificità dei motivi di impugnazione sancito dall’ art. 6 n. 3 R.D. 17 agosto 1907 n. 642, che l’inesistenza di un vincolo contrattuale è questione coperta da giudicato.
Ciò detto, dal momento che l’appellante ragiona nei tradizionali termini di affievolimento e sostiene che l’annullamento giurisdizionale della “revoca” gli dà titolo a reclamare i danni per inadempimento dell’affidamento “risorto”, una volta qui acclarata la legittimità della revoca (o rifiuto di stipula) il mezzo risulta anche sostanzialmente inammissibile.
3. Con il secondo motivo dell’appello principale è impugnato il capo di sentenza mediante il quale il Tribunale ha dichiarato l’illiceità del comportamento tenuto dall’Amministrazione, avendo questa omesso di verificare la disponibilità delle necessarie risorse finanziarie ed avendo questa violato l’affidamento della aggiudicataria, tardando a comunicare l’intervenuto esaurimento dei fondi stanziati sul capitolo di bilancio.
In sostanza, l’Amministrazione contesta la sussistenza dei presupposti in base ai quali il Tribunale ha nella specie riconosciuto la sua responsabilità precontrattuale.
Il mezzo solleva questioni che possono dare luogo a contrasti giurisprudenziali per quanto riguarda gli ambiti della giurisdizione del Giudice amministrativo e la Sezione ritiene pertanto opportuno rimettere la decisione della causa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Come risulta dalle premesse, la gara che ne occupa è stata bandita nel giugno del 2002 ed aggiudicata alla ATI Miccolis in data 30.7.2002.
Secondo gli atti acquisiti nell’ambito dell’istruttoria disposta dal TAR la disponibilità del capitolo sul quale dovevano gravare le spese – es. 2002 cap. 3756 “spese per esercizio, manutenzione e riparazione di armi, munizioni e mezzi di trasporto” si è esaurita nella prima metà del mese di agosto 2002.
In data 17.9.2002 la competente Direzione generale ha richiesto il formale impegno di spesa al Segretariato generale della Difesa il quale però, accertata l’indisponibilità dei fondi, con nota 27.9.2002 pervenuta il 3.10.2002 ha invitato la Direzione a procedere all’annullamento della gara.
Infine la Direzione, con nota del 4.11.2002, ha comunicato alla Ditta di non poter procedere alla stipula e in data 5.11.2002 ha annullato la gara.
In fatto, da un lato la Miccolis dal 30 luglio sino al 4 novembre ha fatto affidamento sull’aggiudicazione; dall’altro l’Amministrazione nel corrispondente periodo ha tardato a verificare la disponibilità, non ha tempestivamente provveduto in autotutela e comunque ha inspiegabilmente tardato (sicuramente dal 27 settembre al 4 novembre) nell’informare l’aggiudicataria del fatto preclusivo sopravvenuto.
Sotto il profilo formale dunque l’Amministrazione non ha concluso il contratto per condizioni ostative alla stipula, già in precedenza a lei note o conoscibili con la ordinaria diligenza e non comunicate tempestivamente alla controparte.
Al riguardo, il Tribunale ha escluso che la condotta dell’Amministrazione – in quanto connotata dal qualificato contatto prenegoziale – potesse essere sanzionata sotto il profilo generale della responsabilità aquiliana ed ha quindi inquadrato la domanda risarcitoria nella fattispecie della responsabilità precontrattuale.
Tale impostazione poteva prestarsi a rilievi logici in quanto coniugata nella sentenza di primo grado con l’annullamento per illegittimità del diniego di stipula: ma va senz’altro condivisa ora che si è accertata la legittimità del provvedimento finale ed è stato così definitivamente chiarito che non spetta all’Impresa il bene della vita (l’affidamento dell’appalto) da essa principalmente perseguito.
In sostanza, l’inquadramento del caso in esame nella sistematica generale di cui agli artt. 2043 e segg. cod. civ. sembra precluso ove si guardi alla vera natura del pregiudizio che (a questo punto) l’Impresa può lamentare: tale pregiudizio non deriva dal fatto che l’Amministrazione si è determinata a non affidare a Miccolis l’appalto, ma piuttosto dal fatto che la P.A. ha invece fatto uso del suo discrezionale potere di svincolarsi dalle trattative con modalità ( suscettibili di essere considerate) inosservanti del precetto di buona fede.
Ne consegue che nel caso concreto, come già statuito dal TAR, l’azione di risarcimento può fondare solo sulla responsabilità precontrattuale della P.A., la quale del resto è sempre stata ritenuta dalla Cassazione come una species della generale responsabilità aquiliana.
Le conclusioni ora raggiunte comportano ( oltre al rigetto del mezzo incidentale col quale l’Impresa torna a richiedere la tutela generale aquiliana) l’insorgere della questione preliminare che induce la Sezione a deferire la decisione all’Adunanza Plenaria: si tratta infatti ora di stabilire – nel caso in cui l’Adunanza condivida l’iter argomentativo svolto dalla Sezione – se il Giudice amministrativo sia fornito di giurisdizione in materia di responsabilità precontrattuale.
4. Come è noto, la giurisprudenza – pur sollecitata da auguste dottrine amministrativistiche e privatististiche – ha tardato nell’ammettere la configurabilità stessa di una responsabilità precontrattuale della P.A. non agente iure privatorum, in sostanza partendo dal presupposto che ogni indagine al riguardo avrebbe comportato una invasione degli ambiti discrezionali riservati alla autorità amministrativa.
Solo a partire dalla metà degli anni sessanta si è affermato un diverso orientamento, sul rilievo che altro è la discrezionalità e altro è il mancato rispetto dei criteri di lealtà e correttezza nelle trattative.
La ricca casistica giurisprudenziale da allora formatasi ha naturalmente avuto sempre riguardo a fasi dell’attività amministrativa ( tipico il caso del ritardato invio del contratto comunale all’organo di controllo) successive alla vera e propria procedura di evidenza pubblica finalizzata alla scelta del contraente.
In tal senso, insegna da tempo la Suprema Corte che una responsabilità precontrattuale della p.a., per violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. non è configurabile con riguardo allo svolgimento del procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, nell’ambito del quale l’aspirante alla stipulazione del contratto è titolare esclusivamente di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta, onde difettano le condizioni strutturali per la configurabilità di «trattative» fra due soggetti e quindi di un diritto soggettivo dell’uno verso l’altro all’osservanza delle regole della buona fede, come stabilito dalla citata norma. (ad es. SS.UU. 6.10.1993 n. 9892).
Ne segue che la violazione delle norme d’azione che predefiniscono il comportamento dell’Amministrazione nella procedura concorsuale ben può dare luogo ( come dopo SS.UU. n. 500 del 1999 si ammette) a forme di responsabilità risarcitoria variamente qualificabili alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali; ma la responsabilità precontrattuale propriamente detta non può configurarsi se non con riguardo ad un segmento della procedura posteriore rispetto a quello di vera evidenza pubblica.
Per quanto qui rileva, gli esposti criteri di riferimento sembrano trovare conferma e applicazione nella più recente giurisprudenza amministrativa la quale ( ricorrendone i presupposti) configura ipotesi di responsabilità precontrattuale propria qualora la P.A. – dopo l’aggiudicazione – interviene con provvedimenti di vario tipo ( revoche, annullamenti, dinieghi di stipula o approvazione) che vanificano dall’esterno gli esiti della procedura di selezione.
Per quanto riguarda i Tribunali Amministrativi, il riconoscimento di una responsabilità precontrattuale della P.A. nel contesto dell’adozione di provvedimenti “legittimi” di tal genere è costante (cfr. in generale TAR Napoli 26.8.2003 n. 11259).
In tal senso si è ad esempio affermato che la reiezione della domanda di annullamento di un provvedimento di revoca dell’aggiudicazione definitiva di una gara d’ appalto non esclude che possa sussistere una responsabilità precontrattuale in capo all’ Amministrazione, dal momento che nella fase antecedente alla stipulazione del contratto deve ritenersi immanente al procedimento il principio dell’affidamento, che impone alle parti di comportarsi secondo correttezza e buona fede ai sensi degli artt. 1337 e 1338 Cod. civ. ( TAR Salerno 16.3.2004 n. 163).
Analogamente si è rilevato che è configurabile la responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione la quale, dopo aver bandito una gara d’ appalto e dopo la sua aggiudicazione provvisoria, ne ritiri d’ ufficio gli atti con inescusabile ritardo sulla base della loro manifesta non conformità alla legge e ai principi della logica e della buona amministrazione, con ciò evidenziando superficialità e negligenza della condotta. ( TAR Lecce 8.7.2004 n. 4921).
Anche per riguarda questo Consiglio di Stato, sembra prevalente l’orientamento che appunto ricollega la responsabilità precontrattuale a quei casi in cui la P.A. non dà seguito all’ aggiudicazione – come è in suo potere – ma secondo modalità comportamentali non improntate alla regola di correttezza.
Pienamente espressiva di tale indirizzo è senz’altro quella già citata decisione della Sezione la quale ( definendo una controversia proprio originata dall’annullamento ex post di una gara per mancanza di fondi) ha statuito che il comportamento pur legittimo della P.A. concreta una violazione del principio che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede anche nelle attività precontrattuali e, per conseguenza, determina il configurarsi, a carico della P.A., della responsabilità di cui all’ art. 1337 Cod. civ. nei confronti della società che abbia partecipato alla selezione avendo pieno titolo a confidare sulla affidabilità degli atti di gara. (IV Sez. 19.3.2003 n. 1457).
A tale indirizzo sembra aderire anche altra decisione della Sezione la quale – giudicando di una controversia relativa al mancato seguito di una gara ufficiosa bandita in vista di una trattativa privata – ha rilevato che l’ individuazione del migliore offerente ( col quale la P.A. si riserva di contrattare a trattativa privata in un momento successivo) lascia piena libertà all’Amministrazione di non dar corso ai lavori salvi gli eventuali profili di responsabilità precontrattuale. (IV Sez. 28.12.2000 n. 6996) .
Da tale indirizzo sembra invece discostarsi radicalmente la decisione della V Sez. n. 6389 del 2002 (proprio relativa alla revoca di aggiudicazione del servizio di distribuzione gas) la quale in realtà non inquadra in modo differente la fattispecie, ma piuttosto esclude in radice la configurabilità di una responsabilità precontrattuale per adozione di provvedimenti.
In tal senso è affermato con particolare vigore che l’eventuale illiceità della condotta della p.a., idonea a determinare il diritto al risarcimento del danno a favore del privato, presuppone il preventivo accertamento da parte del giudice amministrativo dell’illegittimo esercizio della funzione amministrativa che può sostanziarsi sia nella emanazione di un atto contra legem, sia nella mancata, ingiustificata adozione di un provvedimento conforme alle aspettative giuridicamente tutelate del privato destinatario e non già della considerazione di tali “comportamenti” alla stregua dei principi di buona fede e correttezza. (V Sez. 18.11.2002 n. 6389).
In sintesi, secondo tale impostazione, nel vigente ordinamento i principi generali di tutela dell’affidamento operano solo in ambito negoziale e quindi recedono a fronte dell’espletamento di attività amministrativa provvedimentale.
A giudizio della Sezione, l’impostazione estensiva appare più in sintonia con l’attuale tendenza dell’ordinamento (cfr. ad es. nuovo art. 21-quinquies della legge n. 241) volta a valorizzare le esigenze di certezza e affidamento nel rapporto fra privato e pubblica amministrazione.
Peraltro, come è ovvio, la questione – ora evocata nel contesto di un tentativo di inquadramento giurisprudenziale della problematiche connesse alla fattispecie – non può essere presa in considerazione ai fini decisori senza previamente risolvere la questione di giurisdizione.
6. Procedendo allora all’esame di tale profilo, si premette che il Tribunale non si è pronunciato al riguardo per cui il relativo difetto potrebbe comunque essere rilevato d’ufficio in sede d’appello.
Ciò detto, si ricorda che in origine la giurisprudenza della Suprema Corte risulta storicamente orientata nel senso che spetta al giudice ordinario accertare, sia pure con estrema cautela, la sussistenza della responsabilità precontrattuale della P.A. – configurabile in tutti i casi in cui l’ente pubblico, nelle trattative e nelle relazioni con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la p. a., nell’ambito del rispetto dei doveri primari – qualora la P.A. medesima, col suo comportamento, abbia ingenerato nei terzi, anche se per mera colpa, un ragionevole affidamento poi andato deluso in ordine alla conclusione del contratto.
E ciò poichè l’accertamento della buona fede della p. a. non è rivolto ad accertare se la p.a. si sia comportata da corretto amministratore, compito questo che esula dai poteri del giudice ordinario, ma verte unicamente sull’adempimento del dovere civilistico della stessa amministrazione di agire da corretto contraente. ( cfr. Cass., 10.12.1987 n. 9129).
Analogo criterio di devoluzione operava, come è ovvio, nel caso in cui l’Amministrazione avesse agito iure privatorum ed al di fuori di ogni procedimentalizzazione. ( SS.UU. 23.9.1994 n. 7842.)
Per contro, erano invece devolute al giudice amministrativo le domande risarcitorie dirette a far valere la responsabilità ex art. 1337 cod. civ. ma proposte dal mero partecipante alla gara poi annullata e quindi – come si è visto – da soggetto privo della qualità giuridica di futuro contraente. ( SS.UU. 26.5.1997, n. 4673).
In questo omogeneo quadro di riferimento, la giurisprudenza della Suprema Corte esibisce relative diversificazioni soltanto nell’individuazione del criterio specifico di riparto valorizzato ai fini della devoluzione al G.O. della giurisdizione in materia di responsabilità precontrattuale.
Tale criterio di riparto è ravvisato nella posizione soggettiva dedotta da SS.UU. 26.6.2003 n. 10160 secondo la quale l’azione di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale nei confronti della Pubblica amministrazione in relazione all’affidamento di appalto di lavori pubblici, è devoluta alla cognizione del giudice ordinario, avendo la pretesa al risarcimento del danno natura di diritto soggettivo.
Per contro SS.UU. 16.7.2001 n 9645 e 19.11.2002 n. 16319 sembrano predicare l’irrilevanza di una previa qualificazione della posizione soggettiva osservando che l’ azione di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale nei confronti di un Ente pubblico in relazione a procedura di affidamento di appalto pubblico, deve intendersi riservata alla cognizione del giudice ordinario, non essendo in contestazione atti o provvedimenti della procedura, o relativi all’individuazione del contraente a seguito dell’ aggiudicazione, o all’ aggiudicazione stessa, ma unicamente l’ ingiustificato recesso delle trattative a seguito di una condotta ritenuta non conforme al precetto della buona fede, nell’ irrilevanza della qualificazione in termini di diritto o di interesse legittimo della situazione soggettiva dedotta in discussione come fonte del lamentato danno ingiusto.
Prescindendo dal considerare il periodo intercorrente fra l’entrata in vigore dell’originario art. 33 del D. L.vo n. 80 del 1998 e la dichiarazione di illegittimità costituzionale dello stesso per difetto di delega ad opera di Corte cost. n. 292 del 2000, dalla data di entrata in vigore della legge 21.7.2000 n. 205 sono state espressamente devolute alla giurisdizione esclusiva ( per quanto qui rileva) tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi comprese quelle relative alle procedure di affidamento: per conseguenza, come desumibile a contrario dalla motivazione delle stesse pronunzie della Corte regolatrice ora citate, la materia della responsabilità precontrattuale connessa all’affidamento di servizi pubblici è venuta a rientrare nella giurisdizione esclusiva.
In questo ambito di riferimento normativo si collocano appunto le sentenze e decisioni del giudice amministrativo sopra richiamate le quali pur senza affrontare funditus il profilo di giurisdizione (salvo che nel caso di TAR Napoli n. 11359 del 2003 cit.) hanno comunque statuito su controversie di stampo precontrattuale, appunto in vigenza della legge n. 205.
In tale ottica, anzi, la V Sezione ha ritenuto la propria giurisdizione in un caso in cui la responsabilità precontrattuale della P.A. si riconnetteva alla repentina e immotivata chiusura di una trattativa privata per l’affidamento del servizio smaltimento rifiuti. ( dec. 12.9.2001 n. 4776).
La fondatezza di tale impostazione va oggi verificata alla luce della sentenza della Corte costituzionale 6.7.2004 n. 204 con la quale non soltanto è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 33 del D. L.vo n. 80 novellato, ma sono stati dettati principi assai rilevanti ai fini in esame e dei quali l’interprete non può non tenere adeguato conto.
Per quanto riguarda i principi, essi come già evidenziato dall’ordinanza n. 875/2005 con la quale la Sezione ha rimesso all’Adunanza Plenaria – tra l’altro – le questioni di giurisdizione relative al danno da ritardo, sono per quanto rileva ai fini di causa compendiabili nei rilievi:
a) che la giurisdizione esclusiva sussiste solo se l’Amministrazione agisce autoritativamente e non può radicarsi sul dato puramente oggettivo del normale coinvolgimento del generico pubblico interesse che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi;
b) che l’attribuzione al giudice amministrativo del risarcimento del danno ed il superamento della vecchia regola del doppio giudizio costituisce coerente svolgimento del precetto di cui all’art. 24 della Costituzione.
Per quanto riguarda invece gli effetti immediati della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 33, il quadro normativo che ne deriva vede confermata la giurisdizione esclusiva in tutte le controversie relative al solo affidamento di un pubblico servizio, ferma restando ai sensi dell’ art. 6 legge n. 205 la stessa g.e. nelle controversie relative a procedure di affidamento comunitario di servizi.
Ciò posto, nel caso in esame la soluzione della questione di giurisdizione sembra postulare una indagine incentrata su due profili.
Da un primo e pregiudiziale punto di vista, viene infatti in rilievo la collocazione – all’esterno o all’interno della procedura di affidamento – del rifiuto di stipula del contratto.
Sotto un profilo più generale, poi, la giurisdizione viene a dipendere dalla qualificazione in termini pubblicistici o paritetici dell’attività spiegata dall’Amministrazione e dalla corrispondente individuazione del petitum sostanziale dedotto a fini risarcitori.
7. A giudizio della Sezione, applicando i criteri di indagine suddetti dovrebbe ritenersi che la controversia rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo.
In proposito, deve infatti osservarsi che di norma la procedura di affidamento viene a concludersi ( e cioè a produrre effetti giuridici vincolanti anche per la P.A.) solo con la stipula del contratto ed anzi secondo le regole di contabilità solo con l’approvazione dello stesso, salvi i casi (oggi in sintesi da ritenersi residuali) di aggiudicazione immediatamente vincolante per entrambe le parti, casi cioè nei quali il contratto formale avrebbe valenza meramente riproduttiva.
Quindi, il diniego di stipula del contratto (o di approvazione dello stesso e a maggior ragione l’annullamento della gara) sono atti interni alla procedura di affidamento, rispetto alla quale sussiste appunto la giurisdizione esclusiva.
Chiarito tale aspetto, è poi da osservare che nei casi suddetti l’attività opposta dall’Amministrazione alle aspettative dell’aggiudicatario ha natura veramente provvedimentale, sia per le finalità cui la stessa è preordinata sia per la posizione di sostanziale soggezione in cui versa l’impresa selezionata, la quale oltre tutto nel sistema dell’evidenza pubblica non solo non può rifiutarsi di stipulare pena le varie sanzioni comminate dall’ordinamento ma anzi resta unilateralmente vincolata dal contratto stipulato fino all’approvazione di questo.
In termini formali classici, l’Impresa dopo l’aggiudicazione è titolare di una posizione di interesse ( sia pure quanto si vuole qualificato) e non di un diritto alla stipula o all’approvazione: di talchè ogni lesione che alla stessa possa derivare per effetto dei molteplici provvedimenti che travolgono l’aggiudicazione per ragioni di pubblico interesse innesca controversie che hanno sì una colorazione paritetica ma restano naturalmente devolute al giudice dell’attività amministrativa provvedimentale.
In breve, la fase del procedimento seguente all’aggiudicazione non può essere ricostruita in termini solo negoziali (di offerta e accettazione fra soggetti pariordinati) ma resta gestita dalla p.a. su parametri tendenzialmente autoritativi.
In termini sostanziali, nei rapporti tra privati la buona fede in contrahendo coniuga, per il tramite di obblighi tipici di lealtà e salvaguardia, due esigenze di pari livello, la libertà negoziale e la solidarietà contrattuale; invece nelle “trattative” tra l’operatore economico e la Pubblica Amministrazione si tratta di verificare – sia pure applicando la clausola di correttezza – il contemperamento tra esigenze non equiordinate, quelle di tutela dell’affidamento e quelle che impongono alla stessa P.A. il perseguimento senza soluzione di continuità del pubblico interesse.
Infine è da considerare, dal punto di vista processuale, che le controversie risarcitorie come quella in esame sono normalmente azionate in via subordinata alla contestuale impugnazione dell’atto autoritativo: di talchè non sembra congruo individuare il giudice fornito di giurisdizione secundum eventum, e quindi mantenerle al G.A. nel caso di annullamento dell’atto o rinviarle all’A.G.O. nel caso (che innesca appunto la vera controversia precontrattuale) di infruttoso esperimento dell’impugnazione.
Nè corrisponde al principio di concentrazione della tutela imporre al privato di adire ex ante entrambe le giurisdizioni, richiedendo al g.a. l’annullamento del provvedimento e la eventuale tutela aquiliana generale o da contatto ed al g.o. la tutela precontrattuale.
Suggestioni nel senso ora esposto possono anche trarsi dalle recentissime disposizioni (di cui al citato nuovo art. 21 quinquies della legge n. 241) che devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di indennizzo in caso di revoca “legittima” del provvedimento, ad esempio per sopravvenuti motivi di pubblico interesse.
Vero è che – almeno secondo una interpretazione costituzionalmente orientata – la previsione di tale indennizzo certamente non esclude la risarcibilità (in senso tecnico) dei pregiudizi patiti dall’interessato nel caso di revoca illegittima e non dovrebbe probabilmente escludere la risarcibilità (sempre in senso tecnico) dei danni patiti non per la revoca in sè ma ad esempio per le modalità non adeguatamente protettive con le quali la P.A. sia pervenuta ad adottare il provvedimento.
Potrebbe così in sostanza ritenersi che indennizzo e risarcimento orbitano su piani tendenzialmente diversi e che perciò non necessariamente il giudice munito di giurisdizione sull’indennizzo lo sia anche (per ciò che qui interessa) sulla eventuale domanda di risarcimento a titolo precontrattuale.
E tuttavia non può non rilevarsi la significatività di una previsione che demanda in generale alla giurisdizione esclusiva le controversie inerenti il ristoro dei pregiudizi che la revoca comporta a fronte dell’affidamento precedentemente ingenerato nel privato.
8. Tanto premesso, non può però nemmeno escludersi la plausibilità di una opposta ricostruzione della fattispecie precontrattuale, nella quale la lesione si faccia sostanzialmente derivare da un mero comportamento della P.A. non conforme al precetto di buona fede.
Già da un punto di vista descrittivo, è infatti evidente che nel caso in esame viene essenzialmente in rilievo non l’attività provvedimentale della P.A. ma una gestione della trattativa meramente “burocratica” e quindi in parte dimentica dell’esigenza dell’operatore economico di non immobilizzare le sue risorse produttive e di allocarle invece profittevolmente secondo l’offerta del mercato.
In termini ricostruttivi, in sostanza, nel caso all’esame è imputata all’Amministrazione non tanto la violazione di norme di azione o lo scostamento (qui in concreto nemmeno dedotto) da specifiche scansioni procedimentali quanto piuttosto il venir meno all’obbligo relazionale di buona fede, che avrebbe imposto di manifestare tempestivamente l’eventualità del recesso, almeno avvertendo la controparte e ponendola quindi in condizione di non limitare a quell’unica trattativa le sue iniziative imprenditoriali.
Vista in questa ottica, la fattispecie della responsabilità precontrattuale viene allora a riguardare – quando coinvolge la P.A. – aspetti non soltanto diversi da quelli relativi alla violazione delle norme sull’evidenza pubblica ma soprattutto ulteriori (o esterni) rispetto a quelli specificamente desumibili dalla disciplina del procedimento e quindi si sviluppa –come rilevato dalla dottrina amministrativistica– in un’area non coperta da altre disposizioni normative che non siano quelle generali dell’art. 1337 cod. civ..
A questa stregua, dunque, la responsabilità precontrattuale – nella misura in cui fonda esclusivamente su una condotta ritenuta non conforme al precetto della buona fede e nella misura in cui tutela in generale il corretto svolgimento della libertà contrattuale – richiama obblighi comportamentali validi erga omnes ed incombenti perciò anche sulla pubblica amministrazione, la quale, vertendosi in ambito del tutto paritetico e non provvedimentale, non potrebbe al riguardo vantare alcuno statuto particolare.
Di talchè, ai fini della giurisdizione, non rileverebbe la natura peculiare del rapporto tra Amministrazione e Impresa instauratosi con le trattative ma il diritto di questa a pretendere dalla Autorità pubblica (come da ogni controparte) un comportamento in contrahendo ispirato al rispetto di quel canone di buona fede già prefissato dall’art. 1337 cod,. civ., indipendentemente dalla sorte dell’atto di recesso il quale si colloca su un piano diverso: come appunto insegnato da quella giurisprudenza sopra richiamata della Cassazione che distingue i doveri del buon amministratore dagli obblighi del buon contraente.
9. In conclusione, poiché la questione di giurisdizione ora rappresentata riveste particolare rilievo ed è suscettibile di dare luogo a contrasti giurisprudenziali, il Collegio stima opportuno rimettere, d’ufficio, la decisione dell’affare all’Adunanza plenaria delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 45 comma 1 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, rimette l’affare all’Adunanza Plenaria delle Sezioni Giurisdizionali. Così deciso in Roma il 25 gennaio 2005.