L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 5 del 25 febbraio 2013 pone fine alla querelle degli ultimi anni relativa alla procedura di instaurazione del rapporto di concessione degli spazi pubblicitari stradali tra ente locale e imprese private, da ultimo sollevata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia con ordinanza n. 653/2012.
Abbandonato l’orientamento giurisprudenziale sposato dal rimettente – favorevole ad una qualificazione di tale rapporto come autorizzazione onerosa ex art. 23 Codice della Strada, la cui tariffa compenserebbe l’occupazione di suolo pubblico per l’esercizio del diritto delle imprese alla libera attività di affissione diretta – il Consiglio di Stato, preso atto che il “mercato dell’uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, contingentato” nonché della necessità di garantire il principio di libera concorrenza anche nell’esercizio dell’attività economica privata incidente sull’uso di risorse pubbliche limitate, ha affermato l’obbligatorietà della gara pubblica per la concessione di tali spazi pubblicitari, con offerte in aumento. Solo così infatti si può consentire anche ai nuovi operatori l’accesso a questo mercato, garantendone appieno la libera iniziativa economica.
A seguire, il testo integrale della sentenza in esame.
N. 00005/2013REG.PROV.COLL.
N. 00031/2012 REG.RIC.A.P.
N. 00032/2012 REG.RIC.A.P.
N. 00033/2012 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 31 di A.P. del 2012, proposto dalla s.p.a. Alessi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Girolamo Calandra e Giuliana Ardito, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
Associazione Pubblicità Esterna (ASPES);
contro
Comune di Caltanissetta;
nei confronti di
Inpa Impresa Nazionale Pubblicità e Affissioni Spa, Aapi Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane, Kompo Service di Pio di Salvo & C. Snc, Pma Srl;
sul ricorso numero di registro generale 32 di A.P. del 2012, proposto dalla s.r.l. P.M.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Umberto Ilardo e Fulvio Ingaglio La Vecchia, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Comune di Caltanissetta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giulia Mule', con domicilio eletto presso M. Cristina Lenoci in Roma, via Cola di Rienzo, 271;
sul ricorso numero di registro generale 33 di A.P. del 2012, proposto dalla s.n.c. Kompo Service di Pio di Salvo & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fulvio Ingaglio La Vecchia, Giuliana Ardito e Umberto Ilardo, con domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13; dalla s.r.l. P.M.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuliana Ardito, Umberto Ilardo e Fulvio Ingaglio La Vecchia, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;
contro
Comune di Caltanissetta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giulia Mule', con domicilio eletto presso M. Cristina Lenoci in Roma, via Cola di Rienzo, 271;
per la riforma:
quanto al ricorso n. 31 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Sicilia – Palermo: Sezione III n. 1539 del 2011, resa tra le parti;
rimessione all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia n. 653 del 2012;
quanto al ricorso n. 32 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Sicilia – Palermo: Sezione III n. 1575 del 2011, resa tra le parti;
rimessione all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia n. 654 del 2012;
quanto al ricorso n. 33 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Sicilia – Palermo: Sezione III n. 1575 del 2011, resa tra le parti;
rimessione all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia n. 654 del 2012;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Caltanissetta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2013 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Ingaglio La Vecchia, per delega dell’avvocato Calandra, Ilardo, Ingaglio La Vecchia, e Giglia per delega dell'avvocato Mule';
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Alessi s.p.a., società operante nel settore della diffusione pubblicitaria in Sicilia e la associazione regionale di categoria AS.P.ES. hanno impugnato, con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, la delibera n. 27 del 2010 con la quale il Consiglio comunale di Caltanissetta ha approvato il Piano generale degli impianti pubblicitari, e, con motivi aggiunti, tra l’altro, il bando della gara per la concessione delle superfici individuate dal detto Piano.
Sono intervenute in giudizio ad adiuvandum la Kompo Service di Pio Di Salvo & C. s.n.c., la PMA s.r.l. e l’associazione di settore A.A.P.I.
E’ intervenuta ad opponendum la I.N.P.A. s.p.a.
2. Il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo (sezione terza), con la sentenza n. 1539 del 2011, dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio della Kompo Service e della P.M.A., ha respinto il ricorso e, per l’effetto, l’intervento della A.A.P.I.
3. La Alessi s.p.a. e la AS.P.ES., con l’appello n. 1317 del 2011 proposto al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Sicilia (in seguito “Consiglio di Giustizia”), hanno chiesto l’integrale riforma della sentenza di primo grado.
La Kompo Service e la P.M.A. hanno proposto ricorso incidentale sostenendo l’ammissibilità del loro intervento in primo grado.
4. Il Consiglio di Giustizia all’udienza pubblica del 28 marzo 2012, in cui la causa è stata trattenuta per la decisione, con ordinanza n. 653 del 2012 l’ha rimessa all’esame dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato per la pronuncia sulle due seguenti questioni:
– la prima, rimessa all’esame dell’adunanza plenaria in applicazione analogica dell’art. 99, comma 5, del codice del processo amministrativo, relativa alla possibilità o meno della parte appellata di costituirsi nell’udienza di merito (essendo stata respinta la richiesta del Comune di Caltanisetta di costituirsi nell’udienza pubblica del 28 marzo 2012);
– la seconda, posta con il terzo motivo dell’appello principale, riguardante la legittimità della messa a gara degli spazi di suolo pubblico per l’installazione degli impianti privati di affissione commerciale, venendo rimesso, poi, alla valutazione dell’adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 4, del codice del processo amministrativo, se, in caso di rigetto del motivo di appello, decidere o meno le ulteriori censure dedotte.
5. Le società Kompo Service e P.M.A., operanti a livello comunale nel settore della diffusione pubblicitaria, hanno impugnato collettivamente, con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, la delibera n. 27 del 2010 con la quale il consiglio comunale di Caltanissetta ha approvato il Piano generale degli impianti pubblicitari; la sola P.M.A. ha poi impugnato con motivi aggiunti, tra l’altro, il bando della gara per la concessione delle superfici individuate dal detto Piano.
E’ intervenuta ad opponendum la I.N.P.A. s.p.a., concessionaria del servizio comunale di pubbliche affissioni.
6. Il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo (sezione terza), con la sentenza n. 1575 del 2011, ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti, perché proposti da una sola delle ricorrenti, ed il ricorso introduttivo, poiché rivolto avverso un atto generale non immediatamente lesivo.
7. La sentenza è stata separatamente impugnata davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Sicilia, chiedendone l’integrale riforma, dalla s.r.l. P.M.A. con l’appello n. 1456 del 2011 e dalla Kompo Service con l’appello n. 1457 del 2011.
8. Il Consiglio di Giustizia all’udienza pubblica del 28 marzo 2012, in cui la causa è stata trattenuta per la decisione, riuniti gli appelli, dichiarata l’ammissibilità del ricorso in primo grado avverso il Piano e respinta la censura di merito sull’asserita difformità del Piano pubblicato rispetto a quello approvato, ha emanato l’ordinanza n. 654 del 2012 di rimessione all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato per la pronuncia sul secondo motivo di appello proposto, concernente la medesima censura dedotta con il terzo motivo del sopra citato appello n. 1317 del 2011, anche in tale caso rimettendo alla valutazione dell’adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 4, del Codice del processo amministrativo, se decidere o meno le ulteriori censure dedotte in secondo grado.
9. All’udienza del 21 gennaio 2012, le cause sono state trattenute per la decisione da parte di questa adunanza plenaria.
DIRITTO
1. Gli appelli in epigrafe possono essere riuniti e decisi congiuntamente.
Con le ordinanze di rimessione sono state infatti portate all’esame dell’adunanza plenaria due questioni, la prima di rito, la seconda di merito relativa alla identica censura proposta, rispettivamente, con il terzo motivo del citato appello n. 1317 del 2011 e con il secondo motivo dei citati appelli n. 1456 e n. 1457 del 2011; sussiste perciò il presupposto della connessione oggettiva tra gli appelli, al fine della loro riunione, considerato che la questione di rito è stata sottoposta al solo fine della enunciazione del principio di diritto e che la questione di merito riguarda il medesimo provvedimento impugnato, è stata identicamente dedotta in tutti gli appelli in epigrafe ed è oggetto di entrambe le ordinanze di rimessione.
2. Si esamina ora la prima questione rimessa all’esame.
2.1. Il quesito posto è se le parti intimate possano costituirsi in giudizio nell’udienza di merito.
L’ordinanza di rimessione riferisce che al riguardo è emerso un contrasto tra la giurisprudenza del Consiglio di Giustizia, per la quale ciò non è consentito, e quella prevalente delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato che ritiene possibile la costituzione fino all’udienza di discussione con svolgimento però soltanto di difese orali, restando ferma la preclusione alla produzione di documenti e memorie oltre i termini di cui all’art. 73, comma 1, del codice del processo amministrativo (in seguito “codice”) così come alla formulazione di domande che soggiacciono a termini perentori (quali, ad esempio per il giudizio di appello, quelle di cui all’art. 101, comma 2, del codice).
Nell’ordinanza si indica che la posizione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato si basa sul presupposto della natura non decadenziale ma meramente ordinatoria del termine per la costituzione in giudizio delle parti intimate, stabilito in sessanta giorni dal perfezionamento della notificazione del ricorso dall’art. 46, comma 1, del codice (venendo specificato, in questa giurisprudenza, che il termine ha funzione dilatoria poiché a garanzia delle parti intimate affinché, prima del suo decorso, non siano compiuti atti per esse pregiudizievoli; così: III, n. 1070 del 2012, n. 3094 e n. 4601 del 2011; IV, n. 1203 del 2012).
Nell’ordinanza si prospetta che l’indirizzo ora esposto deve essere rimeditato a seguito dell’entrata in vigore del codice per ragioni di carattere formale e sostanziale.
2.2. Per il profilo formale si richiama che:
– la possibilità di costituzione con sola difesa orale è prevista espressamente nell’art. 55, comma 7, del codice per la camera di consiglio in sede cautelare ma non dall’art. 73 per l’udienza di discussione;
– questo silenzio della norma non è superabile per effetto del rinvio esterno (ai sensi dell’art. 39 del codice) all’articolo 370, comma 1, c.p.c., che, nel giudizio per cassazione, consente la partecipazione alla discussione orale della parte intimata che non abbia notificato il controricorso in termine, ovvero all’art. 171, comma 2, c.p.c., che, nel giudizio di merito, consente la costituzione della parte fino alla prima udienza, poiché si tratta di norme connesse a caratteristiche proprie del rito civile e non di quello amministrativo (correlandosi, la prima, ad un giudizio dominato dall’impulso d’ufficio e, la seconda, ad una disciplina specifica nel caso di contumacia del convenuto nonché alla normale destinazione della prima udienza alla comparizione delle parti e non alla spedizione della causa in decisione come è, invece, nel processo amministrativo).
Per il profilo sostanziale si osserva che la possibilità di costituirsi in udienza potrebbe essere lesiva delle prerogative difensive dell’appellante a fronte di eccezioni, questioni in rito o di legittimità costituzionale, sollevate dall’appellato soltanto nell’udienza di discussione; senza perciò che l’appellante abbia potuto conoscerle, e potuto quindi controdedurre adeguatamente, risultando così leso il principio del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità sancito dall’art. 111 della Costituzione.
2.3. L’adunanza plenaria ritiene che le parti intimate possano costituirsi nell’udienza di discussione, con il solo svolgimento di difese orali, per le ragioni che seguono.
Per il profilo formale dalla normativa del codice si evince che:
– l’art. 46, comma 1, dispone che le parti intimate “possono” e non “devono” costituirsi entro il termine e non prevede, se il termine sia decorso, la decadenza dal potere di costituirsi (nel medesimo articolo, nel comma 2, è stabilito che l’amministrazione nello stesso termine “deve” produrre gli atti e documenti ivi previsti);
– mentre, quando nel codice si è ritenuto l’effetto decadenziale ovvero la perentorietà dei termini, ciò di norma è stato richiamato espressamente (articoli 41, comma 2, 45, comma 1, 52, comma 1, nonché 54, comma 1, in relazione all’art. 73, comma 1), dovendosi perciò ritenere, in linea di principio, l’applicazione dell’art. 152 c.p.c. ai sensi del rinvio esterno di cui all’art. 39 del codice;
– non sembra inoltre che dalla normativa vigente risulti una disciplina nettamente diversa da quella precedente, come richiamato nella relazione finale al codice (luglio 2010), in cui si indica che “per quanto riguarda la costituzione delle parti intimate, sono stati ribaditi i termini, ordinatori, già in atto previsti…”; ed in effetti nella normativa antecedente il termine per la produzione di memorie, di cui all’art. 23, comma 4, della legge n. 1034 del 1971, era ritenuto perentorio mentre era qualificato ordinatorio quello per la costituzione delle parti intimate;
– in questo quadro la previsione espressa di cui all’art. 55, comma 7, da un lato, non vale, per sé sola, a far ritenere che la medesima possibilità sia da escludere per l’udienza pubblica e, dall’altro, si giustifica con l’esigenza di chiarire e assicurare che la rapidità dei tempi della fase cautelare non è a discapito della possibilità di difesa delle parti intimate.
Sotto il profilo sostanziale, poi, si osserva che il giudice per ovviare al rischio di una lesione del diritto di difesa della controparte può comunque disporre il rinvio dell’udienza a data fissa, nel termine che riterrà congruo rispetto alla rilevanza delle questioni sollevate in udienza per consentirne la valutazione a garanzia del contraddittorio sostanziale.
E si può anche osservare che l’eventuale privilegio difensivo di cui le parti intimate godrebbero per effetto della costituzione in udienza è bilanciato dalla perdita delle facoltà processuali nel frattempo decadute per il decorso dei relativi termini, anzitutto con riguardo alla presentazione di scritti e documenti ai sensi dell’art. 73, comma 1.
Sarebbero lese, per converso, le prerogative difensive delle parti intimate se fosse loro vietata la costituzione in giudizio per il solo decorso di un termine non stabilito come decadenziale; ne risulterebbe infatti che il soggetto che non ha dato impulso al processo ma che vi è stato chiamato non potrebbe assumere una partecipazione attiva al giudizio, pur non essendogli ciò precluso da alcuna norma espressa.
2.4. Per completezza va anche esaminata la posizione talvolta sostenuta in giurisprudenza per cui, chiarito che il termine di cui all’art. 46, comma 1, del codice non ha carattere decadenziale, essendo posto a tutela della parte intimata, si afferma che “in ogni caso la costituzione in giudizio non può intervenire oltre il termine di trenta giorni individuato dall’art. 73, co. 1, CPA… per il deposito delle memorie difensive illustrative, avente carattere perentorio in quanto espressivo di un precetto di ordine pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio e dell’ordinato lavoro del giudice” (Cons. Stato, Sez. V, n. 1058 del 2012).
Anche questa tesi “intermedia” non è condivisibile. La norma infatti ha una portata oggettiva chiara e inequivoca quella cioè della produzione di memorie e documenti: non può ritenersi dunque corretto estendere la rigorosa preclusione ivi prevista all’esercizio di una diversa facoltà volta alla diversa funzione della mera costituzione in giudizio.
3. Si esamina ora la seconda questione.
3.1. Il quesito è se sia legittima l’indizione di un’asta con offerta economica al rialzo per l’assegnazione degli spazi pubblici disponibili per gli impianti pubblicitari ad affissione diretta, come previsto, nella specie, nel Piano generale degli impianti pubblicitari approvato dal Consiglio comunale del Comune di Caltanisetta impugnato nei giudizi davanti al T.a.r. per la Sicilia.
Nell’ordinanza di rimessione si indica che in giurisprudenza sono emersi due indirizzi che portano il primo a negare ed il secondo ad affermare la legittimità della procedura suddetta.
Secondo la prima tesi, sostenuta dapprima dal Consiglio di Stato (sez. V, n. 44 del 2007) e condivisa dal Consiglio di giustizia (n. 762 e n. 976 del 2009; n. 1306 del 2010), gli imprenditori sono titolari di un diritto alla libera attività di affissione diretta (implicitamente riconosciuta come tale dalla Corte costituzionale; sentenza n. 355 del 2002) sottoposto soltanto ad autorizzazione, ai sensi degli articoli 23 del codice della strada e 53 del relativo regolamento di esecuzione.
La pubblicità stradale è perciò un’attività economica che, al fine della salvaguardia dei valori estetici, ambientali e viabilistici, è soggetta ad autorizzazione onerosa, essendo previsto un “prezzo” (tariffa) pagato dall’autorizzato anche per compensare l’occupazione del suolo pubblico ed essendo inglobata la relativa tassa (Tosap) nell’imposta comunale sulla pubblicità (Cass. civ. sez. trib. n. 17614 del 2004, n. 105 del 2010).
Consegue da ciò che il Comune che condiziona l’accesso alla pubblicità stradale oltre che ad autorizzazione anche a concessione, con gara per l’attribuzione dell’area, eccede dalle previsioni della normativa primaria che ha attribuito all’ente locale un potere di pianificazione per la sola salvaguardia dei valori sopra indicati.
Con il secondo e diverso indirizzo, definito con la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato 2 febbraio 2009, n. 529, e largamente condiviso dai Tribunali amministrativi regionali, è stato affermato che il mercato dell’uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, contingentato, a motivo della limitatezza degli spazi disponibili e della consequenziale prescrizione, di cui all’art. 3, comma, 3 del d.lgs. n. 507 del 1993, recante norme sul regolamento comunale sulla imposta di pubblicità, per la quale i Comuni devono determinare “la quantità degli impianti pubblicitari”. In questo quadro, è la concessione degli spazi tramite gara che si pone quale strumento per la piena attuazione del principio costituzionale di libera iniziativa economica, poiché consente a nuovi operatori l’ingresso in un mercato che resterebbe altrimenti riservato a quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all’uso degli spazi più remunerativi.
3.2. L’adunanza plenaria ritiene che la messa a gara degli spazi pubblici per la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali sia legittima per le ragioni che seguono.
Alla definizione della disciplina della collocazione degli impianti pubblicitari concorrono la normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati [art. 23, comma 4, del codice della strada (d.lgs. n. 285 del 1992)], quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici [articoli 49 e 153 del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004)], se gli impianti incidano su tali profili, e la normativa tributaria, posta in particolare dal d.lgs. n. 507 del 1993 (e poi dal d.lgs. n. 446 del 1997).
In fatto la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane, che qui interessa, è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili all’interno del territorio comunale, ulteriormente ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità sia di tutela dei beni culturali gravanti sul territorio. Ciò motiva la statuizione di cui all’art. 3, comma 3, del citato d.lgs. n. 507 del 1993, per cui ciascun Comune “deve” determinare, oltre la tipologia, anche “la quantità” degli impianti pubblicitari e approvare un “piano generale degli impianti”, con la delimitazione della superficie espositiva massima dei diversi tipi di impianti (nella prassi ripartita tra le zone del territorio urbano), definendosi con ciò un mercato contingentato.
La normativa sulla installazione degli impianti a tutela della sicurezza stradale, e dei valori culturali, si raccorda così a quella ulteriore basata sul presupposto, necessitato e condizionante, del contingentamento dell’attività in questione poiché comportante l’uso di una risorsa pubblica scarsa qual è il suolo pubblico.
Si configura con ciò un rapporto tra l’ente locale e il privato il cui modello di riferimento, alla luce della sua qualificazione sostanziale, è quello concessorio “atteso che è giustappunto una concessione di area pubblica il provvedimento iniziale che conforma il rapporto” (Cons. Stato, n. 529 del 2009 citata), potendo disciplinare il regolamento comunale anche “le modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione” (art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993), confluendo nel quadro di tale rapporto, di conseguenza, la regolazione unitaria dei profili di tutela della sicurezza stradale e dei valori culturali.
Ciò rilevato ritiene l’adunanza plenaria che sia corretto allocare l’uso degli spazi pubblici contingentati con gara, dovendosi altrimenti ricorrere all’unico criterio alternativo dell’ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili, che è di certo meno idoneo ad assicurare l’interesse pubblico all’uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei privati al confronto concorrenziale.
Il procedimento di gara non contrasta infatti con la libera espressione dell’attività imprenditoriale di cui si tratta, considerato, in linea generale, che la procedura ad evidenza pubblica è istituto tipico di garanzia della concorrenza nell’esercizio dell’attività economica privata incidente sull’uso di risorse pubbliche e che, in particolare, la concessione tramite gara dell’uso di beni pubblici per l’esercizio di attività economiche private è istituto previsto nell’ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa economica anche nell’accesso al mercato degli spazi per la pubblicità (Cons. Stato, V, n. 529 del 2009, cit; cfr. anche VI, 9 febbraio 2011, n. 894).
Quanto sopra è peraltro coerente con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza; questo Consiglio ha infatti chiarito da tempo che, sul presupposto per cui con la concessione di un’area pubblica si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie), si impone di conseguenza una procedura competitiva per il rilascio della concessione, necessaria per l’osservanza dei ricordati principi a presidio e tutela di quello, fondamentale, della piena concorrenza (Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168).
3.3. Con riguardo, infine, al profilo impositivo, questo Consiglio ha affermato, con indirizzo che non vi è motivo di non condividere, che “non è certo il tipo giuridico del modello prescelto dalla singola amministrazione…a condizionare le sorti dell’impianto pubblicitario sul piano del suo assoggettamento o meno al canone (quale corrispettivo per la fruizione del bene pubblico) e/o alla tassa per l’occupazione di suolo pubblico (avente natura di prelievo tributario), oltre naturalmente al pagamento della imposta sulla pubblicità. Con il che, ritornando al tema di partenza, risulta dimostrata l’indifferenza, quantomeno ai fini impositivi, del titolo giuridico grazie al quale i privati gestiscono propri impianti pubblicitari su aree pubbliche” (V, n. 529 del 2009, cit.).
4. Per le ragioni che precedono l’adunanza plenaria, riuniti gli appelli in epigrafe, li respinge nella parte in cui censurano il ricorso alla procedura di asta competitiva per la concessione degli spazi pubblici urbani in cui collocare gli impianti di pubblicità commerciale di cui si tratta; rinvia al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, remittente, ai sensi dell’art. 99, comma 4, del codice del processo amministrativo, per la decisione sulle residue questioni controverse fra le parti, restando riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione.
5. Sulle questioni rimesse all’esame dell’adunanza plenaria vengono quindi enunciati i seguenti principi di diritto:
– a) “Il termine per la costituzione in giudizio delle parti intimate previsto dall’art. 46, comma 1, del codice del processo amministrativo ha natura ordinatoria; esse possono perciò costituirsi in giudizio anche nell’udienza di merito ma svolgendo solo difese orali senza possibilità di produrre scritti difensivi e documenti”.
– b) “E’ legittima la previsione di una procedura competitiva ad evidenza pubblica per la concessione degli spazi pubblici da utilizzare per la collocazione di impianti pubblicitari per affissione commerciale da parte di operatori economici privati”.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (adunanza plenaria), riuniti gli appelli in epigrafe, li respinge in parte come da motivazione.
Rinvia al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, remittente, per la decisione sulle residue questioni controverse fra le parti, restando riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2013, con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Coraggio, Presidente
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Paolo Numerico, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Antonino Anastasi, Consigliere
Marzio Branca, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/02/2013
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione