L’intelligenza artificiale ha necessità di regole, ovviamente. E si deve trattare di norme “nuove”, occorre cioè che sia inquadrata con paradigmi giuridici costruiti apposta per essa.
A differenza di altre innovazioni, l’intelligenza artificiale è così differente dalle tecnologie di cui già disponevamo, per cui ogni aspetto non esplicitamente regolamentato rappresenta un vuoto normativo non colmabile con l’analogia e con l’interpretazione estensiva di norme pre-esistenti.
In particolare, non si possono estendere ad essa le norme sugli algoritmi tradizionali, che si comportano in modo diverso e a volte del tutto opposto. L’informatica classica è stata sempre basata su una totale predeterminazione dell’operato della macchina, mentre l’intelligenza artificiale rende il computer non-prevedibile. Ooppure, i software tradizionali appaiono trasparenti e tracciabili, mentre i sistemi di machine learning sono caratterizzati da non-conoscibilità del percorso logico che conduce dall’input all’output.
Quindi, ci troviamo in un caso abbastanza raro (ma proprio per questo incredibilmente interessante) nella storia del diritto, in cui un’entità nuova, quasi “aliena” è tra noi, e in quanto tale parte da una condizione di totale non-copertura normativa.
Questa è la situazione di partenza in cui ci siamo trovati, in fondo, molto poco tempo fa, quando con il primo rilascio di Chat GPT a novembre 2022 è iniziata l’era espansiva dei Large Language Models come elementi di vita quotidiana. I legislatori, dovendo disciplinare tutto ciò, si sono trovati di fronte ad una delle più grandi esperienze di costruzione su una tabula rasa normativa.
Oggi però, come sappiamo, non ci troviamo più a quel punto di partenza. È ben noto che c’è stato un momento di svolta determinante (stando nell’Unione Europea) con l’Artificial Intelligence Act, in vigore dall’1 agosto 2024. In quel momento si è avuto un passaggio dalla totale anarchia alla piena regolamentazione di quasi ogni aspetto. Nella frazione di secondo in cui il regolamento n. 1689 del 2024 è entrato in vigore, si è passati dal “niente” al “tutto” o quasi.
Pochi aspetti sono rimasti scoperti, come quello del copyright, certamente non secondario, ma in verità già risolto dalla giurisprudenza internazionale che è concorde nel considerare di pubblico dominio le opere prodotte dalle intelligenze artificiali. Ma, messo da parte questo e pochi altri aspetti, l’Artificial Intelligence Act ha creato davvero una sostanziale copertura dell’intera disciplina.
A questo punto ci si può domandare: questo regolamento rappresenta solo l’inizio di un’imponente costruzione normativa da portare avanti, nel corso dei prossimi anni, con altri atti sia nell’Unione Europea che negli Stati membri? O è un punto di arrivo su cui ci si può fermare?
Ovviamente non si può rispondere in modo semplicistico a questa domanda, ma ci si può riflettere. Molto probabilmente, la risposta è la seconda. L’Artificial Intelligence Act è un atto molto completo, magari non onnicomprensivo, ma certamente ampio nel raggio di operatività, obiettivamente valido, con una solida architettura normativa interna.
Quindi, adesso è opportuno entrare in una fase in cui lo si metabolizza e lo si applica. Invece. se si dovesse andare oltre nella produzione di altri atti legislativi, anche a livello statale, si rischierebbe una ridondanza e un’ipertrofia normativa che non aggiungerebbe molti elementi utili e forse ostacolerebbe l’ottenimento di un quadro normativo certo.
Anche se qualche aspetto perfettibile ovviamente c’è, e alcuni versante rimangono evidentemente scoperti, ci sono almeno due ragioni per ritenere che adesso possediamo gli elementi per fermarci al punto in cui siamo, dal punto di vista della regolamentazione.
La prima ragione è che non necessariamente tutto deve essere normato: qualche aspetto può essere lasciato alla libertà e all’auto-regolazione. L’artificial Intelligence Act copre le parti più ad alto rischio su cui l’anarchia non era ammissibile, per esempio sui rischi di plagio, o sull’uso dei deepfake. Ma una volta ottenuta questa copertura, può essere opportuno non giungere ad un eccessivo imbrigliamento normativo. Ci sono aspetti che possono essere lasciati più svincolati, o magari regolamentati con tempi e modi più lenti e riflessivi.
Il secondo motivo per cui ci si può fermare all’Artificial Intellignce Act, è che regolamenta un elemento comunque contingente, “fotografa” la tecnologia di adesso. Andare oltre nel costruire norme sull’intelligenza artificiale del 2025 (su aspetti a minore impatto di quelli già disciplinati), rischia di creare regole a rapida obsolescenza, e di generare un investimento sproporzionato di risorse.
L’Intelligenza Artificiale, nelle sue forme specifiche, non sfugge alla regola della selezione artificiale informatica, per cui qualcosa rimarrà, altro si estinguerà, qualcos’altro ancora di nuovo sorgerà, probabilmente già nei prossimi cinque anni. Dunque ora, messo al sicuro il nucleo più sensibile, se si andasse oltre con le norme, si rischierebbe di investire sproporzionate risorse in funzione di tecnologie o sistemi destinati ad estinguersi o ad essere sostituiti. Un po’ come quando, circa vent’anni fa, si cercava di inquadrare giuridicamente Second Life spendendo risorse poi rivelatesi non necessarie quando quella piattaforma, semplicemente non è stata premiata dalla selezione naturale tecnologica.
Questo non significa che l’intelligenza artificiale si estinguerà, ciò è molto difficile, ora essa è tra noi e rimarrà, ma verranno meno e cambieranno le singole piattaforme e i modi attraverso cui si esprimerà, anche molto presto.
Per questo, almeno in questo caso, probabilmente è meglio fermarsi all’Artificial Intelligence Act e lasciare che la selezione della specie digitale faccia il suo corso, prima di intensificare ulteriormente il sistema normativo.
Al limite, in questi anni, usiamo tutte le nostre risorse per divulgare l’Artificial Intelligence Act, per farlo conoscere, per far sì che tutti sappiano quali sono le sue potenzialità e siano rassicurati dalla sua esistenza. Questa è, probabilmente, la direzione da intraprendere. Senza aggiungere altro, valorizziamolo.
















